Onu: i profughi climatici non possono essere rimpatriati

Le persone in fuga da un pericolo immediato a causa della crisi climatica non possono essere costrette a tornare a casa

[21 Gennaio 2020]

Sta facendo scalpore la recente sentenza “Views adopted by the Committee under article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 2728/2016” dell’Human Rights Committee dell’Onu che è incentrata sul caso di Ioane Teitiota, la cui casa nel piccolo Stato insulare di Kiribati, è minacciata dall’innalzamento del livello del mare.

Nel 2013 Teitiota aveva chiesto asilo in Nuova Zelanda come profugo climatico, ma il governo neozelandese lo aveva rispedito a Kiribati. Teitiota ha fatto prima ricorso alla giustizia neozelandese, respinto nelle varie fasi di giudizio dall’Immigration and Protection Tribunal, dalla Corte di appello e dalla Corte suprema della Nuova Zelanda, e anche l’Onu alla fine non ha accolto la sua richiesta perché «non era in pericolo immediato» ma, così come formulata, la sentenza dell’Human Rights Committee rappresenta un precedente e apre la possibilità ad altri di chiedere asilo come profughi climatici.

Infatti, nella sentenza si legge che rinviare in patria i richiedenti asilo quando le loro vite sono minacciate dalla crisi climatica «può esporre le persone a una violazione dei loro diritti», in particolare «del loro diritto alla vita». Inoltre, «Dato che il rischio che un intero Paese venga sommerso dall’acqua è un rischio così estremo, le condizioni di vita in un Paese del genere possono diventare incompatibili con il diritto a una vita dignitosa prima che il rischio si realizzi». Inoltre l’Human Rights Committee avverte che «Senza solidi sforzi nazionali e internazionali, gli effetti del cambiamento climatico negli Stati di accoglienza possono esporre le persone a una violazione dei loro diritti ai sensi degli articoli 6 o 7 del Patto, innescando così gli   obblighi di non respingimento degli Stati di invio».

La sentenza dell’Human Rights Committee dell’Onu non è vincolante, ma mette tutti i Paesi in guardia sul fatto che potrebbero violare i diritti umani di una persona se la rimandassero in un paese a rischio di pericolo immediato per il clima. Questo non ha impedito all’Onu di respingere la richiesta di Teitiota che asseriva che la sua vita e quella della sua famiglia erano in pericolo a Kiribati. Teitiota viveva a South Tarawa, un’isola che nel 1947 – quando le Kiribati erano ancora la colonia britannica delle Gilbert ed Ellice – aveva solo 1.641 e che nel 2010 ne aveva circa 50.000 nel 2010, perché l’innalzamento del livello del mare aveva reso inabitabili le isole vicine. Un sovraffollamento che ha portato a tensioni sociali, disordini e violenza. Inoltre, secondo Teitiota, su Kiribati i raccolti sono già insufficienti e in rovina a causa del clima e della penuria di acqua e «probabilmente l’isola diventerà inabitabile entro i prossimi 10-15 anni». L’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) ha definito Kiribati come una dei 6 Paesi insulari del Pacifico più minacciati dall’innalzamento del livello del mare. Gli Arcipelaghi che compongono Kirinbati potrebbero diventare inabitabili entro il 2050.

Un rapporto della Environmental Justice Foundation ha avvertito che, entro il prossimo decennio, decine di milioni di persone potrebbero diventare profughi a causa dei cambiamenti climatici, mentre nel 2018 la Banca mondiale ha dichiarato che i cambiamenti climatici costringerebbero oltre 140 milioni di persone a lasciare le loro case in Asia meridionale, Africa sub-sahariana e America latina.

In un’intervista del 2015 a BBC News, Teitiota aveva paragonato la sua situazione a quella dei rifugiati che fuggono da un conflitto: «Sono come le persone che fuggono dalla guerra. Loro hanno paura di morire e io lo stesso». Ma né i tribunali neozelandesi che l’Onu hanno accettato questo paragone. L’Human Rights Committee dell’Onu ha detto che, anche se Kiribati è davvero a rischio di diventare inabitabile, «il periodo di tempo compreso tra 10 e 15 anni, come suggerito [da Teitiota], potrebbe consentire l’intervento della repubblica di Kiribati, con l’assistenza della comunità internazionale, per adottare misure certe per proteggere e, se necessario, ricollocare la sua popolazione».

Due membri dell’Human Rights Committee dell’Onu hanno formalmente dissentito dalla sentenza e hanno sostenuto la richiesta di Teitiota. L’Ugandese Duncan Laki Muhumuza ha dichiarato che «Le condizioni di vita presentate del richiedente, derivanti dai cambiamenti climatici nella Repubblica di Kiribati, sono significativamente gravi e rappresentano un rischio reale, personale e ragionevolmente prevedibile di minaccia per la sua vita. ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’International Convention on Civil and Political Rights. Inoltre, il Comitato deve gestire le questioni critiche e significativamente irreversibili dei cambiamenti climatici, con un approccio che cerchi di sostenere la santità della vita umana».

Ma Kate Schuetze, esperta di Pacifico di Amnesty International, vede molte possibilità nella formulazione della sentenza: «La decisione stabilisce un precedente globale: dice che uno Stato violerà i suoi obblighi in materia di diritti umani se restituirà qualcuno in un Paese in cui – a causa della crisi climatica – la sua vita è a rischio o in pericolo di trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Il messaggio è chiaro: gli Stati delle isole del Pacifico non devono finire sott’acqua prima di poter vedere attivati obblighi in materia di diritti umani per proteggere il diritto alla vita. Tutti gli Stati hanno il dovere di proteggere i diritti umani e le persone dagli effetti dannosi della crisi climatica, incluso lo sfollamento. E’ pertanto indispensabile che si intervenga urgentemente per  mantenere l’aumento della temperatura più basso possibile e non superiore a 1,5 ° C .  Le isole del Pacifico sono il canarino nella miniera di carbone per i migranti indotti dal clima. Stati insulari poco elevati come Kiribati e Tuvalu sono solo uno o due metri sul livello del mare. Lì, oggi le persone sono esposte a gravi impatti climatici incluso l’accesso limitato alla terra abitabile, all’acqua potabile e a una vita di sussistenza. I governi devono prendere in considerazione questa pericolosa realtà e l’imminente minaccia di un pianeta che si riscalda per la vita e il sostentamento delle popolazioni del Pacifico».