Petrolio, come sarà il mercato mondiale nel XXI secolo?

La benzina a un centesimo di dollaro al litro? Le previsioni di Slon

[28 Dicembre 2015]

A che punto si fermerà la caduta dei prezzi del petrolio? Se lo chiede il portale russo Slon, che analizza i fattori che hanno portato all’attuale situazione del mercato del greggio.

Infatti, dopo il crollo del prezzo del petrolio, 80, 60, 40 dollari al barile, molti esperti hanno pronosticato una rapida inversione di tendenza mano a mano che la produzione del greggio diventava meno redditizia e grazie ad una nuova ripresa economica che avrebbe ridotto il surplus di offerta di petrolio.  Ma è evidente che si sbagliavano perché, secondo Slon, «Non si teneva conto di un importante fattore che differenzia il mercato petrolifero dal resto dei mercati delle materie prime. Parlando di una inevitabile riduzione della produzione in caso che i prezzi andassero sotto i prezzi di costo, gli specialisti si dimenticano quali sono i principali protagonisti del mercato quale è la loro motivazione. Mentre alle 10 compagni più ricche del mondo, tra le quali ci sono ExxonMobil, PetroChina, Chevron ecc., corrisponde solo un 14% della produzione petrolifera mondiale, il resto del mercato appartiene  a compagnie sotto il controllo statale diretto o indiretto. Tra le 10 compagnie con le riserve più grandi, non ce n’è nessuna che non appartenga ai governi».

Un altro fattore importante  è che per la maggioranza di questi Paesi, a cominciare dall’Arabia saudita, il petrolio costituisce più del 90% delle loro esportazioni, quindi, anche se i prezzi sono molto bassi, nessuno dei principali produttori di greggio inizierà per primo a ridurre la produzione: meglio avere basse entrate che non averne per niente e uscire dal mercato a causa di prezzi tropo alti.

Solo gli USA, il Paese più “orientato al mercato”, c’è stato un calo della produzione che nel 2015 si è attestata sui 9,39 milioni di barili di greggio al giorno, l’1,5% al di sotto del record segnato nel dicembre 2014. Un’inezia rispetto agli 1,4 milioni di barili/giorno in più rispetto alla quota Opec o agli 800.000 barili/giorno, che l’Iran è pronto ad immettere sul mercato non appena verranno revocate le sanzioni economiche occidentali. «In altre parole – scrive il portale russo – il calcolo che i prezzi bassi comporteranno una minore produzione, non ha in sé nessuna giustificazione».

Secondo Slon, per il mercato petrolifero potrebbe accadere quel che è successo negli ultimi anni nei mercati finanziari: «Fino a poco tempo fa, i tassi di riferimento delle banche centrali del mondo vacillavano intorno allo zero, mentre i tassi di interesse di deposito della Banca centrale europea, della Banca del Giappone, così come quelli delle banche nazionali di Svizzera, Svezia e Danimarca, continuavano ad essere negativi. In questo modo le banche centrali tentavano di riattivare l’economia dei loro Paesi»

Slon si domanda se «Per caso qualcosa di simile può accadere in altri settori controllati dallo Stato. Può succedere che la benzina costi 0,01 dollari al gallone e il greggio sia accettato nei porti e alla frontiera dei Paesi consumatori con i  produttori che lo pagano tra i 2 ei 3 dollari al barile?» e risponde: «Anche se una situazione del genere sembra incredibile, 50 anni fa anche i tassi di interesse negativi sembravano una fantasia natalizia».

Se a questo si aggiungono le energie rinnovabili sempre più competitive e a buon mercato, la ripresa che stenta nei Paesi ricchi e rallenta in quelli emergenti e in via di sviluppo, la progressiva fine degli incentivi alle fonti fossili approvata dalla COP21 Unfccc di Parigi… è difficile davvero credere in un rimbalzo del petrolio che lo riporti ai record di soli pochi anni fa.