Rapporto United in science: il Covid-19 non ha fermato il cambiamento climatico

L’Onu e le grandi istituzioni scientifiche: così impossibile rispettare l’Accordo di Parigi

[10 Settembre 2020]

Il lockdown per la pandemia di Covid-19 non ha fermato il cambiamento climatico, «Le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera stanno raggiungendo livelli record e continuano ad aumentare. Dopo un temporaneo calo dovuto al contenimento e al rallentamento dell’attività economica, le emissioni stanno tornando al livello pre-pandemico. Il mondo è sulla strada per vivere i suoi cinque anni più caldi mai registrati – una tendenza che probabilmente continuerà – e non è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo concordato di mantenere l’aumento della temperatura media del pianeta ben al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli preindustriali o per limitare la salita a 1,5° C».

E’, sinteticamente, quanto emerge da un nuovo rapporto “United in Science 2020”, realizzato dalle Agenzie Onu e dalle principali organizzazioni scientifiche mondiali – World meteorological organization (Wmo), Global carbon project (Gcp), Unesco Intergovernmental Oceanographic Commission (Unesco-Ioc), Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), United Nations environment programme (Unep) e UK Met Officeche mette in evidenza «gli effetti crescenti e irreversibili del cambiamento climatico, che colpiscono i ghiacciai, l’oceano, la natura, le economie e le condizioni di vita e spesso si manifestano attraverso rischi idrologici come siccità o inondazioni». Il rapporto dimostra anche come il  Covid-19 abbia ostacolato la nostra capacità di monitorare questi cambiamenti all’interno del sistema di osservazione globale.

Nella prefazione del rapporto, il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Ricorda che «Questo è un anno senza precedenti, sia per le persone che per il pianeta. La pandemia di Covid-19 ha cambiato le vite in tutto il mondo. Nel frattempo, il riscaldamento del nostro pianeta e il cambiamento climatico continuano. La necessità di una transizione pulita, inclusiva e a lungo termine per affrontare la crisi climatica e realizzare uno sviluppo sostenibile non è mai stata così chiara. Dobbiamo approfittare della ripresa dalla pandemia per renderla una reale opportunità per costruire un futuro migliore.  Abbiamo bisogno di scienza, abbiamo bisogno di solidarietà e abbiamo bisogno di soluzioni».

Il rapporto presenta i dati e le scoperte scientifiche più recenti sui cambiamenti climatici per informare le politiche e le azioni globali e il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas, evidenzia che «Le concentrazioni di gas serra – che non sono mai state così alte in 3 milioni di anni – hanno continuato ad aumentare. Vaste aree della Siberia hanno sperimentato un’ondata di caldo prolungata ed eccezionale durante la prima metà del 2020, che sarebbe stata altamente improbabile senza il cambiamento climatico antropogenico. E il periodo 2016-2020 sta rapidamente diventando il quinquennio più caldo mai registrato. Questo rapporto mostra che mentre nel 2020 molti aspetti della nostra vita sono stati sconvolti, il cambiamento climatico è continuato senza sosta».

Secondo i dati Wmo, le concentrazioni atmosferiche di CO2 non hanno mostrato segni di livellamento e hanno continuato a salire fino a raggiungere nuovi record. Le stazioni di riferimento della rete Global Atmosphere Watch (GAW) della Wmo hanno riportato concentrazioni di CO2 superiori a 410 parti per milione (ppm) durante la prima metà del 2020, Mauna Loa (Hawaii) e Cape Grim (Tasmania) hanno registrato rispettivamente 414,38 ppm e 410,04 ppm a luglio 2020, contro 411,74 ppm e 407,83 ppm a luglio 2019.

Alla Wmo avvertono che «La riduzione delle emissioni di CO2 nel 2020 avrà solo un piccolo impatto sul tasso di aumento delle concentrazioni atmosferiche, che sono il risultato delle emissioni passate e attuali e della lunghissima durata della CO2. Per stabilizzare il cambiamento climatico, le emissioni devono essere ridotte su base sostenibile fino a quando le emissioni nette non saranno ridotte a zero».

Il Global carbon project stima che  nel 2020 le emissioni di CO2  diminuiranno dal 4 al 7% a seguito delle politiche di contenimento relative al Covid-19. Ma l’entità esatta del declino dipenderà da come progredirà la pandemia e da cosa faranno i governi per affrontarla. Il Gcp spiega che «Durante il picco del lockdown  all’inizio di aprile 2020, le emissioni giornaliere globali di CO2 da combustibili fossili sono diminuite del 17% rispetto al 2019, il che non ha precedenti. Nonostante ciò, le emissioni sono rimaste intorno ai livelli del 2006, sottolineando sia la forte crescita che hanno registrato negli ultimi 15 anni sia la continua dipendenza dalle fonti di combustibili fossili. All’inizio di giugno 2020, le emissioni globali giornaliere di CO2 da combustibili fossili erano praticamente tornate ai livelli del 2019, attestandosi intorno al 5% (intervallo 1 – 8%) al di sotto dei valori di quell’anno, che aveva raggiunto il nuovo record di 36,7 gigatonnellate (Gt), con un aumento del 62% rispetto al loro livello all’inizio dei negoziati sul cambiamento climatico nel 1990».

Negli ultimi 10 anni, le emissioni globali antropiche  di metano hanno continuato ad aumentare e «Le attuali emissioni di CO2 e metano non sono compatibili con le traiettorie di emissioni per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

L’Unep evidenzia il gap tra le esigenze di riduzione delle emissioni e le prospettive: «Devono essere effettuati profondi cambiamenti se si vogliono raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi non possono più essere rimandati. Il rapporto del 2019 sul divario tra le esigenze di riduzione delle emissioni e le prospettive ha dimostrato che le emissioni globali, tra il 2020 e il 2030, dovrebbero essere ridotte di quasi il 3% all’anno per raggiungere un obiettivo di 2° C, e più del 7% all’anno in media per raggiungere l’obiettivo di 1,5° C dell’Accordo di Parigi».

Per limitare il riscaldamento globale a meno di 2° C, Il gap tra i bisogni e le prospettive di riduzione delle emissioni nel 2030 è stimato in 12-15 gigatonnellate di CO2 equivalente (GteqCO2). Per l’obiettivo di 1,5° C, la differenza è stimata in 29-32 GteqCO2, che equivale approssimativamente alle emissioni dei sei maggiori Paesi emettitori messe insieme.

Secondo l’Unep «E’ ancora possibile colmare il gap, ma questo  richiede un’azione urgente e concertata da parte di tutti i Paesi e in tutti i settori. A breve termine, possiamo già fare un grande passo in questa direzione rafforzando le politiche esistenti che hanno dimostrato il loro valore, ad esempio nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica, utilizzando mezzi di trasporto low-carbon e abbandonando gradualmente il carbone. Oltre l’orizzonte del 2030, sono necessarie nuove soluzioni tecnologiche e un cambiamento graduale dei modelli di consumo a tutti i livelli. Esistono già soluzioni realistiche sia tecnicamente che economicamente».

La Wmo e il Met Office britannico si sono occupati dello stato del clima globale e avvertino che «La temperatura media globale per il periodo 2016 – 2020 dovrebbe essere la più alta mai registrata, circa 1,1° C al di sopra dei valori 1850-1900, il periodo di riferimento per le variazioni di temperatura dall’era preindustriale e 0,24° C al di sopra della temperatura media globale per il 2011-2015. Nel quinquennio 2020-2024 , la probabilità che la temperatura media superi per almeno un anno di 1,5° C i livelli preindustriali è del 24%, con una probabilità molto bassa (3%) rispetto a rischio che la media del periodo di cinque anni superi questo valore. E’ probabile che nei prossimi cinque anni le temperature per uno o più mesi (circa il 70% di probabilità) superino i livelli preindustriali di almeno 1,5° C».

Tra il 2016 e il 2020, l’estensione del ghiaccio marino artico è stata ogni anno inferiore alla media. Il periodo 2016-2019 ha visto una maggiore perdita di massa di ghiaccio rispetto a qualsiasi altro periodo quinquennale dal 1950.  A livello globale. il tasso di innalzamento medio del livello del mare è aumentato tra il 2011 – 2015 e il 2016 – 2020.

Wmo e Met Office ricordano che «Gli eventi meteorologici e climatici estremi hanno avuto gravi ripercussioni. Per molti di loro, L’impronta del cambiamento climatico antropogenico è evidente.

L’ipcc si è occupato di Oceano e criosfera nel contesto del cambiamento climatico e le conclusioni non sono per m niente buone: «Il cambiamento climatico dovuto alle attività umane sta interessando l’intera biosfera, dalle cime delle montagne alle profondità dell’oceano, determinando un’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare, con effetti a cascata per gli ecosistemi e l’ambiente. la sicurezza delle persone. Ciò rende sempre più difficili l’adattamento e le misure di gestione del rischio integrate. La massa di calotte polari e ghiacciai è diminuita in tutto il mondo. Tra il 1979 e il 2018, l’estensione del ghiaccio marino artico è diminuita per ogni mese dell’anno. L’aumento degli incendi boschivi, lo scongelamento improvviso del permafrost e il cambiamento dell’idrologia delle aree artiche e montuose hanno modificato la frequenza e l’intensità dei disturbi agli ecosistemi».

L’oceano non ha smesso di riscaldarsi dal 1970 e ha assorbito oltre il 90% del calore in eccesso accumulato nel sistema climatico. L’Ipcc sottolinea che « Dal 1993, il tasso di riscaldamento degli oceani, e quindi il suo assorbimento di calore, è più che raddoppiato. Le ondate di caldo marine sono raddoppiate in frequenza e sono diventate più lunghe, più intense e colpiscono aree più ampie, portando a fenomeni di sbiancamento dei coralli su larga scala».

Impatti che riguardano anche la vita marina: «L’oceano dagli anni ’80 ha assorbito dal 20 al 30% delle emissioni totali di CO2 antropiche, il che ha accentuato la sua acidificazione. Dal 1950 circa, l’area geografica e le attività stagionali di molte specie marine sono cambiate in risposta al riscaldamento degli oceani, ai cambiamenti nel ghiaccio marino e alla perdita di ossigeno».

L’Ipcc conferma che «Il livello medio del mare sta aumentando a livello globale con un’accelerazione negli ultimi decenni a causa della crescente perdita di ghiaccio dalle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide, oltre alla continua perdita di massa ghiacciai e espansione termica dell’oceano. Il tasso di innalzamento medio del livello del mare tra il 2006 e il 2015, 3,6 ± 0,5 mm/anno, non ha precedenti nel secolo scorso».

La Wmo ha preso in esame anche il rapporto tra clima e risorse idriche e ne è venuto fuori che «Gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire principalmente attraverso la modifica delle condizioni idrologiche, in particolare a livello della dinamica della neve e del ghiaccio. Entro il 2050, il numero di persone a rischio di inondazioni aumenterà da 1,2 miliardi a 1,6 miliardi». All’inizio e fino alla metà degli anni 2010, 1,9 miliardi di persone, ovvero il 27% della popolazione mondiale, vivevano in aree nelle quali l’acqua poteva essere scarsa. Nel 2050 saranno colpite tra 2,7 e 3,2 miliardi di persone. Nel 2019, il 12% della popolazione mondiale ha bevuto acqua da fonti non gestite e  antigeniche. Oltre il 30% della popolazione mondiale, 2,4 miliardi di persone, vive senza poter usufruire di servizi igienici.

La Wmo prevede che «Il cambiamento climatico aumenterà il numero di aree soggette a stress idrico e aggraverà la carenza nelle aree in cui c’è già carenza d’acqua». La criosfera è un’importante fonte di acqua dolce nelle montagne e nelle regioni a valle. Il contributo idrologico annuale ghiacciai è molto probabile che, al più tardi alla fine del XXI secolo, diminuisca, il che non sarà senza conseguenze per le riserve idriche. Si stima che il picco sia già stato raggiunto nell’Europa centrale e nel Caucaso e che tra il 2030 e il 2050 sarà la volta  dell’altopiano tibetano, ma il contributo di acqua proveniente dal manto nevoso, permafrost e ghiacciai di questa regione contribuisce fino al 45% alla portata totale dei corsi d’acqua, una riduzione della portata avrebbe conseguenze sulle risorse idriche sulle quali contano 1,7 miliardi di persone.

Unesco-Ioc e Wmo hanno tenuto sotto controllo il sistema Terra durante l’esplosione della pandemia di Covid-19 e ora dicono che «ha avuto un impatto significativo sui sistemi di osservazione globale, il che a sua volta ha influito sulla qualità delle previsioni e di altri servizi meteorologici, climatici e oceanici».  La riduzione dal 75 all’80% in media delle osservazioni da  velivoli in marzo e aprile ha degradato le capacità di previsione dei modelli meteorologici. Da giugno abbiamo osservato solo una leggera ripresa. Anche le osservazioni effettuate presso le stazioni meteorologiche manuali, soprattutto in Africa e Sud America, sono state gravemente disturbate. Per quanto riguarda le osservazioni idrologiche come quelle relative alla portata dei fiumi, la situazione è analoga a quella delle misurazioni atmosferiche in situ . I sistemi automatizzati continuano a fornire dati mentre sono interessate le stazioni di misurazione i cui dati devono essere letti manualmente. Nel marzo 2020, quasi tutte le navi da ricerca oceanografica sono state richiamate nei loro porti di origine. Le navi commerciali non erano in grado di fornire osservazioni essenziali sull’oceano e sul tempo e le boe oceaniche e altri sistemi non potevano essere manutenuti. Sono stati cancellati 4 studi su variabili come carbonio, temperatura, salinità e alcalinità dell’acqua, a tutte le profondità dell’oceano, che vengono eseguiti solo una volta per decennio. Sono cessate anche le misurazioni del carbonio superficiale effettuate dalle navi, che ci raccontano l’evoluzione dei gas serra.

Unesco-Ioc e Wmo concludono: «Gli impatti sul monitoraggio dei cambiamenti climatici saranno di lunga durata. E’ improbabile che saranno impossibili o che saranno limitati il bilancio di massa dei ghiacciai o le indagini sullo spessore del permafrost, che di solito vengono eseguite alla fine del periodo di disgelo. Tutte queste interruzioni nelle osservazioni causeranno interruzioni nella serie temporale di variabili climatologiche essenziali necessarie per monitorare la variabilità climatica e il cambiamento climatico e le loro conseguenze».