Legambiente presenta il report sui ghiacciai alpini e lancia un pacchetto di 12 proposte

SOS ghiacciai italiani: sempre più minacciati da crisi climatica e inquinamento

Negli ultimi 150 anni, ridotta del 60% la superficie dei ghiacciai nelle Alpi, con punte dell’82% nelle Alpi Giulie e 97% nelle Marittime

[10 Dicembre 2020]

Domani è la Giornata internazionale della Montagna e Legambiente la celebra in anticipo presentando il report finale della  “Carovana dei ghiacciairealizzato in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano (CGI), dal quale arriva la conferma che «La crisi climatica mette sempre più in pericolo i ghiacciai alpini. Il riscaldamento climatico determina sulle Alpi italiane pesanti e molteplici effetti ambientali, tra i quali la perdita di neve e ghiaccio e la degradazione del permafrost. Si stima che la superficie glacializzata dell’arco alpino si sia ridotta del 60% negli ultimi 150 anni».

Secondo i dati dcel CGI, «La deglaciazione colpisce soprattutto le Alpi Orientali dove, nello stesso intervallo di tempo, i ghiacciai delle Alpi Giulie hanno visto ridursi il proprio volume del 96% e la propria area dell’82%. Situazione non buona anche per i ghiacciai delle Alpi Occidentali e Centrali: sulle prime, sono praticamente scomparsi i ghiacciai delle Alpi Marittime e vi sono molti ghiacciai in cui l’arretramento della fronte ha superato le decine di metri all’anno; sulle Alpi Centrali preoccupa lo stato di salute del grande ghiacciaio dei Forni che, con un’estensione areale di circa 11 km2, è il più esteso in Italia dopo quello dell’Adamello. Il ghiacciaio dei Forni mostra oggi una fronte appiattita e coperta di detrito, crepacciata, con fenomeni di collasso e cavità in ghiaccio».

Ma i ghiacciai  sono anche silenziosi e sensibili testimoni della qualità dell’aria e Legambiente è molto preoccupata per la presenza ad alta quota del fenomeno del black carbon, «costituito da polveri derivanti dall’inquinamento atmosferico di origine antropica proveniente da incendi e da inquinanti che arrivano dalla pianura. Questa componente fa sì che il ghiacciaio fonda più rapidamente. La presenza di black carbon, di tracce di microplastiche e di vari inquinanti, come su tutti i ghiacciai del pianeta, è un altro lampante segnale dell’invadenza dell’impatto antropico sulla terra«.

Nel report, oltre a raccogliere osservazioni d’insieme sui tre settori alpini occidentale, centrale e orientale, grazie anche ai dati raccolti in questi anni dal CGI,  anche attraverso una serie di mappe, grafici e descrizione dettagliate, Legambiente fa il punto sullo stato di salute dei 12 ghiacciai alpini, differenti per dimensioni, tipologia e reattività ai cambiamenti cli­matici, monitorati dal 17 agosto al 4 settembre 2020 nel corso della prima edizione di Carovana dei ghiacciai, campagna pensata nell’ambito di ChangeClimateChange. «Obiettivo   – ricorda il Cigno Verde – riaccendere i riflettori sui ghiacciai, testimoni del clima che cambia e sentinelle della qualità dell’aria; essi ci ricordano che la loro regressione comporta anche preoccu­panti conseguenze a valle, sulle risorse idriche, oltre che un aumento dei fenomeni di instabilità naturale, causa di erosione del suolo e di dissesto idrogeolo­gico».

Nelle Alpi Orientali preoccupa la situazione del ghiacciaio della Marmolada che in base agli ultimi dati raccolti dai ricercatori potrebbe scomparire nell’arco di 15-20 anni. Nel settore delle Alpi centrali, monitorato con il contributo del Servizio Glaciologico Lombardo, procede incessante da numerosi anni, soprattutto sui ghiacciai lombardi, la contrazione delle fronti, particolarmente mar­cata nel 2018. La contrazione dei ghiacciai lombardi è sottolineata da numerosi apparati che sono scarsamente alimentati o addirittura qua­si completamente privi di neve residua alla fine della stagione di ablazione. Tra i gruppi montuosi più esposti vi sono il Gruppo Ortles – Cevedale, il Gruppo Badile – Disgrazia e il Gruppo Bernina e anche il Gruppo Adamello. Nell’ultima campagna del Comitato Glaciologico Italiano, quella del 2019, il Gruppo Disgrazia regi­stra i ritiri più consistenti, con il ghiacciaio omonimo che ha perso 35 m alla fronte e il Ghiacciaio della Ventina che è arretrato di 40 m; nel Gruppo Bernina, il Ghiacciaio di Scer­scen superiore ha perso 86 m rispetto al 2017. Nelle Alpi occidentali sulla base dei censimenti più recenti, sono presenti circa 300 ghiacciai, che occupano una superficie complessiva di 160 km2. I dati raccolti dal CGI mostrano che le caratteristiche glaciologiche di questo settore sono tuttavia estremamente variabili, ri­sentendo delle marcate differenze altimetriche, latitudinali e climatiche dei massicci montuosi che lo compongono. In anni recenti, i ritiri frontali sono sovente valori a due cifre, ma in alcuni casi possono raggiungere le centinaia di metri (-335 m al Ghiacciaio del Gran Paradiso nel 2019). L’arretramento delle fronti, tuttavia, rappresenta solo in parte la drammatica perdita di massa gla­ciale documentata dai bilanci di massa effettuati su alcuni ghiacciai selezionati del settore: il Ghiacciaio del Grand Etrèt (Gran Paradiso) ha perso negli ultimi 20 anni quasi 20 m di spessore.

Il rapporto è stato presentato stamattina durante un  webinar che è stato anche l’occasione per proporre un pacchetto di 12 proposte per affrontare adeguatamente l’acuirsi dei cambiamenti climatici in montagna: 1. Approfondire le ricerche sulle variazioni dei ghiacciai e del permafrost, sul loro comportamento futuro in relazione alle notevoli implicazioni ambientali e economiche; 2. Acquisire nuovi scenari idrologici sui bacini montani in relazione al riscaldamento climatico, per comprendere come cambierà in futuro la disponibilità idrica; 3. Rivedere la delimitazione delle zone a rischio di tutte le regioni montane secondo procedure armonizzate e sempre aggiornate, tenendo conto dei rischi indotti dai cambiamenti climatici (frane, valanghe, colate detritiche torrentizie, inondazioni, incendi …) e adeguare di conseguenza i documenti urbanistici, individuando perimetri di sicurezza sufficienti. 4. Pianificare e gestire le aree di alta quota in funzione dell’adattamento ai cambiamenti climatici con particolare attenzione ai bacini soggetti a rischi naturali legati alla trasformazione di neve, ghiaccio e permafrost, per modulare i loro possibili contributi alle inondazioni, e aumentare la resistenza delle valli montane ai fenomeni meteorologici estremi; 5. Affrontare le conseguenze economiche del riscaldamento climatico, come quelle sull’industria del turismo invernale riconoscendo la necessità di convertire progressivamente quei modelli di sviluppo che espongono i territori alla continua incertezza stagionale; 6. Considerare le regioni alpine e appenniniche come aree soggette a crescente siccità, in cui la gestione della scarsità d’acqua è una indispensabile misura di adattamento ai cambiamenti climatici, da realizzarsi potenziando la preparazione e il coordinamento a scala di bacino, anche a livello transfrontaliero; 7. Favorire il miglioramento della filtrazione naturale dell’acqua e della ricarica delle falde acquifere grazie al river restoration e a natural basic solution; 8. Sostenere un uso equo ed economico delle risorse idriche (collegando le diverse reti, trovando fonti alternative, utilizzando tecniche di efficienza e risparmio idrico) – compreso un uso più parsimonioso dell’acqua per l’innevamento artificiale nelle stazioni sciistiche; 9. Attuare strategie e piani adeguati per affrontare i sempre più numerosi conflitti relativi agli usi plurimi dell’acqua; 10. Rafforzare le sinergie fra scienza, politica e società, indispensabili per nuove forme di governance capaci di produrre nuove strategie e misure di adattamento; 11. Individuare opzioni di adattamento a breve e lungo termine per i vari settori, a partire dall’esame delle eventuali buone pratiche e misure già esistenti; 12. Promuovere percorsi di pianificazione partecipata, attività di autoprotezione e responsabilità condivise tra le popolazioni interessate per una “governance integrata” del territorio che consideri l’insieme delle risorse e dei rischi che lo contraddistinguono.

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ha sottolineato che  «Con i dati raccolti in questo report e con la campagna Carovana dei ghiacciai abbiamo voluto evidenziare in maniera concreta e tangibile gli effetti che il riscaldamento climatico sta già avendo anche sul nostro Paese e sui ghiacciai alpini. Per questo occorre agire adesso e al più presto, senza perdere altro tempo, se non vogliamo che il riscaldamento climatico produca effetti devastanti e irreversibili sui territori alpini. Un appello che rilanciamo nuovamente al Governo a pochi giorni dal quinto anniversario dalla firma degli Accordi di Parigi. Occorre mettere in campo misure e politiche ambiziose sul clima con lo scopo di arrivare a emissioni nette pari a zero al 2040, in coerenza con l’Accordo di Parigi, ed è urgente definire approfonditi piani di gestione ed adattamento, risultato di politiche e di investimenti che sappiano valorizzare il grande lavoro di studio che si sta producendo sulla montagna al fine di tradurlo in strategie concrete volte ad aumentare la resilienza delle popolazioni e del territorio».

Il lavoro instancabile di ricercatori e operatori del CGI ha permesso di mantenere dalla fine dell’800 la memoria dei segnali di ritiro glaciale nelle Alpi, producendo serie storiche di dati indispensabili per avviare analisi retrospettive e interpretare gli scenari futuri. Per la catena alpina, questi dati parlano chiaro: «Dal 1850 ad oggi, mentre la temperatura media annuale aumentava di 2°C (il doppio della media globale), le aree coperte dai ghiacciai alpini si riducevano di oltre il 60%. Le prospettive future si ricavano dal confronto coi dati più recenti: dalla fine del decennio 1980 la contrazione dei ghiacciai si è notevolmente accelerata e i delicati equilibri degli ambienti glaciali d’alta quota sono sconvolti dal progredire del riscaldamento climatico».

Marco Giardino, segretario del CGI, ha concluso: «Attraverso la Carovana dei ghiacciai” abbiamo iniziato un’opera di comunicazione per trasformare queste evidenze scientifiche in un patrimonio di conoscenza condiviso con la società: infatti, solo attraverso una diffusa consapevolezza della dimensione del ritiro glaciale vi può essere una chiara percezione della gravità delle sue conseguenze. Passi indispensabili per giungere eventualmente alla messa in atto di adeguate misure di adattamento».