Sudan, dopo le inondazioni torna la guerra: migliaia di persone costrette a fuggire in Ciad

Nel poverissimo Ciad ci sono 476.000 rifugiati e richiedenti asilo. Profughi climatici e delle guerre tribali per le risorse

[12 Agosto 2020]

Il Sudan si è liberato della trentennale dittatura fascista-islamista di Omar Ḥasan Aḥmad al-Bashīr, ma dopo un anno di governo di transizione non ha ancora trovato pace. Dopo che le piogge stagionali si sono trasformate in inondazioni che hanno colpito oltre 50.000 persone  e fatto numerose vittime e distrutto migliaia di case e molte infrastrutture in almeno 14 dei 18 Stati del Paese, in uno degli Stati scampati alle peggiori conseguenze delle alluvioni, il Darfur Occidentale, è scoppiata nuovamente la guerra tribale, costringendo migliaia di rifugiati sudanesi a fuggire nel vicino Ciad.

L’United Nations High Commissioner for Refugees (Unhcr) sottolinea che «Dalla fine di luglio 2020, almeno 2.500 persone hanno attraversato il confine internazionale, mentre i disordini di matrice etnica hanno colpito circa 20.000 persone all’interno del Darfur occidentale del Sudan, la maggior parte delle quali sono donne e bambini. Gli attacchi, imputati a gruppi di nomadi armati, il 25 luglio hanno ucciso 61 persone della comunità Masalit e ne hanno ferite almeno 88 nella città di Masteri, nel Darfur occidentale. Inoltre, nella città e nei villaggi circostanti le case sarebbero state bruciate al suolo. Molti dei rifugiati coinvolti ​​erano tornati a casa nel Darfur dal Ciad orientale all’inizio di quest’anno».

Attualmente il Ciad, uno dei Paesi più poveri del mondo e tra i più colpiti dai cambiamenti climatici, ospita 476.000 rifugiati e richiedenti asilo, di cui circa 365.000 provenienti dal Sudan e «L’Unhcr è grata al governo del Ciad per aver consentito l’accesso al suo territorio a coloro che fuggono dalle persecuzioni, nonostante il confine sia stato chiuso a causa del Covid-19».

Più dell’80% delle persone che sono arrivate nella poverissima città di frontiera ciadiana di Adré sono donne, bambini e anziani e l’Unhcr dice che «Molti hanno assistito a violenze estreme. Una donna di 25 anni ha riferito al personale dell’Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati,  che suo marito è stato pugnalato a morte davanti ai suoi occhi e che è dovuta fuggire insieme ai tre figli, intraprendendo il viaggio verso il Ciad a dorso di un asino per un giorno intero».

L’Unhcr, in collaborazione con il governo del Ciad e i suoi partner nazionali, sta trasferendo i rifugiati dalle aree di confine al campo rifugiati di Kouchaguine-Moura, che ospitava già oltre 6.000 sudanesi arrivati ​​nel febbraio 2020, ma evidenzia che «Tuttavia, i trasferimenti tramite convoglio stanno procedendo a rilento, a causa delle cattive condizioni delle strade e delle forti piogge. ​​I primi due convogli con 443 rifugiati sono arrivati la scorsa settimana. Nel campo rifugiati di Kouchaguine-Moura, ai rifugiati, che si stanno unendo a quelli arrivati in precedenza, vengono forniti riparo, acqua, cibo e generi di prima necessità. Il campo fornisce anche servizi relativi all’igiene e alla salute, compresi unità di isolamento, come parte della risposta al Covid-19».

Dopo gli attacchi armati, nel Darfur occidentale la situazione si è stabilizzata ma rimane imprevedibile: «Gli sfollati interni, molti dei quali risiedono a Geneina, sono ancora restii a tornare a casa e chiedono maggiore protezione – dicono all’Unhcr – Secondo quanto riferito, le autorità federali di Khartoum hanno dispiegato forze aggiuntive per controllare e calmare la situazione, mentre una delegazione di Masalit e di capi tribù arabi è arrivata da Khartoum a Geneina il 4 agosto e sta conducendo colloqui di pace tra le due parti».

Una missione congiunta condotta dalle agenzie umanitarie per valutare i rischi di protezione e le esigenze di assistenza delle famiglie sfollate ha evidenziato «la mancanza di beni di prima necessità e di alloggi. Tuttavia, le cattive condizioni delle strade, la stagione delle piogge e la situazione di sicurezza sono tra le sfide che dobbiamo affrontare, mentre organizziamo la nostra risposta e monitoriamo la situazione di protezione».