Zimbabwe, l’ex granaio dell’Africa affamato per colpa degli uomini

Un disastro politico e i cambiamenti climatici hanno messo in ginocchio lo Zimbabwe. Solo tre Paesi in guerra hanno lo stesso livello di insicurezza alimentare

[29 Novembre 2019]

Hilal Elver, la special rapporteur dell’Onu per il diritto umano al cibo, ha detto che «Nonostante una protezione costituzionale sul diritto all’alimentazione e un insieme sofisticato di leggi e di politiche nazionali fondate sui diritti umani, la fame causata dall’uomo si fa lentamente strada nello Zimbabwe».

Dopo aver visitato i Paesi dell’Africa australe dal 18 al 28 novembre, la Elver ha raccontato che «Un funzionario governativo che ho incontrato ad Harare mi ha detto che “la sicurezza alimentare è la sicurezza nazionale”. Questo non è mai stato così vero come nello Zimbabwe di oggi: più del 60% della popolazione di un Paese che prima era considerato “il granaio dell’Africa” soffre di insicurezza alimentare. A causa dell’iper-inflazione, la maggior parte delle famiglie non possono procurarsi cibo a sufficienza per soddisfare i loro bisogni fondamentali».

Durante la sua missione nelle zone colpite dalla siccità,, in particolare a Masvingo e Mwenezi, due località situate nella regione più secca dello Zimbabwe, la Elver ha raccolto le testimonianze della gente sulla sofferenza quotidiana che vive la popolazione e nel suo rapporto preliminare scrive: «Le persone mi hanno detto che mangiano solo una porzione di mais cotto al giorno. Le donne, le persone anziane e i bambini sono appena in grado di soddisfare i loro bisogni alimentari minimali e dipendono ampiamente dall’aiuto alimentare, mentre la maggior parte degli uomini sono all’estero per cercare lavoro. Senza accesso a un’alimentazione diversificata e nutritiva, gli zimbabweani delle zone rurali, in particolare i bambini piccoli, sopravvivono appena, Il sistema agricolo e alimentare deve essere riformato immediatamente».

E’ la certificazione del disastro compiuto dall’ex dittatore Robert Mugabe con una riforma terriera “socialista” che ha espropriato le terre ai farmers bianchi per consegnarle teoricamente alla popolazione rurale nera, ma gran parte delle fattorie espropriate è invece finita nelle rapaci mani del clan di Mugabe e degli alti papaveri del Partito al potere: lo Zimbabwe African National Union – Patriotic Front (Zanu-PF).

Lo Zimbabwe fa parte dei 4 Stati più colpiti dall’insicurezza alimentare, insieme a Paesi devastati da guerre e conflitti interni, e la Elver fa notare che «Intanto l’insicurezza alimentare e la cattiva gestione delle terre aumentano i rischi di disordini civili», per questo ha invitato il governo di Harare, i partiti politici dello Zimbabwe e la comunità internazionale a «Unirsi per mettere fine alla spirale di questa crisi, prima che si trasformi in un vero e proprio conflitto».

Intanto l’insicurezza alimentare si estende e nelle zone rurali ha già colpito 5,5 milioni di persone a causa di un forte calo delle piogge. L’esperta dell’Onu evidenzia che «Le condizioni climatiche irregolari hanno delle ripercussioni sui raccolti e i mezzi di sussistenza. Un situazione che rende maggiormente fragili le donne e i bambini che soffrono di più la crisi».

La maggioranza dei bambini incontrati dalla Elver soffrivano di ritardi della crescita e di insufficienza ponderale e la special rapporteur dell’Onu ha ricordato che «I decessi di bambini dovuti alla malnutrizione grave sono aumentati nel corso degli ultimi mesi. Il 90% dei bambini zimbabweani da 6 mesi a 2 anni di età non hanno un regime alimentare minimo accettabile. Ho visto gli effetti devastanti della malnutrizione sui bambini privati dell’allattamento al seno a causa della mancanza di accesso delle loro madri a un’alimentazione adeguata».

Nel tentativo disperato di trovare altri mezzi di sussistenza. Diverse donne e bambini sono costretti a ricorrere a meccanismi di adattamento a una situazione terribile che violano le loro libertà e i loro diritti umani fondamentali: in tutto lo Zimbabwe sono in aumento l’abbandono scolastico, il matrimonio precoce, la violenza domestica, la prostituzione e lo sfruttamento sessuale.

Ma la Elver ha fatto notare che «La crisi nelle città dello Zimbabwe non è meno grave che nelle zone rurali. Si stima che 2,2 milioni di persone soffrano di insicurezza alimentare e non hanno accesso a un minimo di servizi pubblici, in particolare la salute e l’acqua potabile».

L’esperta dell’Onu ha detto di essere stata testimone diretta di alcune delle conseguenze devastanti della crisi economica nelle strade della capitale Harare, «Dove la gente aspetta per ore in lunghe file davanti alle stazioni di servizio, alle banche e ai distributori d’acqua. Gli zimbabweani con cui ho parlato ad Harare e nella sua periferia mi hanno spiegato che anche se il cibo è ampiamente disponibile nei mercati, l’erosione dei loro redditi, insieme a un’inflazione che è schizzata verso l’alto a più del 490%, li fa soffrire per l’insicurezza alimentare, colpendo gravemente la classe media. Queste cifre sono scioccanti e la crisi continua ad aggravarsi a causa della povertà e della disoccupazione elevata, della corruzione generalizzata, delle gravi instabilità dei prezzi, della mancanza di potere di acquisto, della bassa produttività agricola, delle catastrofi naturali, delle siccità ricorrenti e delle sanzioni economiche unilaterali».

Il 25 ottobre, su invito del governo, ad Harare e in altre città migliaia di persone hanno marciato per protestare contro le sanzioni economiche imposte nel 2002 dagli Usa e dall’Unione Europea e che continuano nonostante la caduta della dittatura di Mugabe. Secondo il presidente Emmerson Mnangagwa – anche lui dello Zanu-PF – le sanzioni «Stanno paralizzando lo sviluppo dello Zimbabwe». L’opposizione ha risposto che le proteste facevano parte della propaganda del regime per distrarre la gente dai veri problemi: il malgoverno e la grave crisi economica che colpisce da anni il Paese.

Come spiega Africa – la rivista del continente vero, «Le sanzioni internazionali allo Zimbabwe sono state imposte nel 2002 per violazioni dei diritti umani e i sequestri di fattorie di proprietà di cittadini bianchi da parte dell’amministrazione dell’ex presidente Robert Mugabe, rovesciato dall’esercito nel novembre 2017 e morto lo scorso 6 settembre all’età di 95 anni. Le restrizioni attualmente in vigore non coinvolgono l’intero Paese, ma colpiscono 85 persone fisiche (tra cui Mnangagwa) e 56 aziende. Diversi Paesi africani si sono uniti all’appello di Harare per la revoca delle sanzioni».

A ottobre gli Usa hanno imposto sanzioni anche contro il ministro per la sicurezza nazionale dello Zimbabwe, Owen Ncube e secondo il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, «il Dipartimento ha informazioni credibili secondo le quali Ncube è stato coinvolto in gravi violazioni dei diritti umani. Siamo profondamente turbati dalle violenze da parte del governo dello Zimbabwe nei confronti dei manifestanti pacifici e della società civile, nonché dei leader dell’opposizione». Poi ha chiesto al governo di Harare di «fermare la violenza, indagare e consegnare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani e degli abusi nello Zimbabwe».

Anche la Elver, in base alle informazioni ricevute, denuncia che «La distribuzione delle terre o del cibo è stata manipolata a fini politici negli ultimi decenni, favorendo coloro che sostenevano il partito politico al potere. Chiedo quindi al governo dello Zimbabwe di rispettare il suo impegno a favore della fame zero, senza alcuna discriminazione».

La special rapporteur dell’Onu ha concluso il suo resoconto esortando il governo di Harare a «Prendere le misure necessarie per ridurre la dipendenza del Paesedai prodotti alimentari importati, in particolare il mais, e a sostenere il rimpiazzo con il grano per diversificare l’alimentazione. IL governo dovrebbe creare le condizioni necessarie per la produzione di sementi tradizionali per assicurare l’autosufficienza e la preparazione del Paese agli shock climatici che lo colpiscono. Allo stesso tempo chiedo che a livello internazionale vengano prese delle misure che mettano fine a tutte le sanzioni economiche. Il popolo zimbabweano straordinariamente resistente non merita niente di meno».