La Rai e gli alberi, una brutta storia di (dis)informazione

Le associazioni scrivono a presidente e direttore Rai: vi spieghiamo perché gli alberi sono utili

[1 Giugno 2020]

Legambiente, Sisef, PeFC Italia, Uncem, Federforeste, Kyoto Club, Aiel, Conaf, Federparchi, Slow Food Italia, FSC Italia, Fondazione Symbola, Centro di Ricera FL Crea, Conai BO, Pro Silva Italia hanno scritto una lettera congiunta al presidente della Rai Marcello Foa e al direttore della Rai, Giuseppe Carboni, per protestare contro un servizio diffuso dal TG1. Ecco il testo della lettera:  

 

le scriventi associazioni pongono una estrema attenzione nella divulgazione di informazioni scientifiche, consapevoli dell’impatto  che hanno i temi ambientali sulla opinione pubblica in generale e, soprattutto,  in questa particolare fase. Per questa ragione siamo molto meravigliati della banalizzazione con cui il servizio del TG1 ambiente del 26 maggio 2020, “Alberi per purificare l’aria”, di Marilù Lucrezio, ha raccontato agli ascoltatori che piantare alberi potrebbe non contribuire, anzi in alcune circostanze danneggiare, la lotta alla crisi climatica.

La fonte del servizio è con tutta probabilità l’articolo di Michael Marshall “Planting trees doesn’t always help with climate change”, pubblicato su BBC Future[1] lo stesso 26 maggio. Tuttavia, la versione andata in onda in Italia ne ha banalizzato alcuni punti, arrivando al punto di comunicare che in Europa e in Nord America piantare alberi sarebbe climaticamente inutile.

Secondo la miglior scienza disponibile, l’insieme di tutte le soluzioni basate sulla natura, che comprendono piantare alberi, gestire le foreste esistenti in modo climaticamente intelligente, fermare la deforestazione tropicale, conservare le aree umide e le torbiere, praticare l’agricoltura conservativa potrebbe aiutarci a conseguire il 30% della mitigazione climatica necessaria al 2030 per  contenere il riscaldamento a fine secolo entro 2°C rispetto all’epoca preindustrale[2]. La sola espansione delle foreste in tutte le aree disponibili (escludendo quelle agricole, urbane e ad alto contenuto di biodiversità come le savane) potrebbe garantire, tramite la fotosintesi aggiuntiva, un sequestro addizionale di oltre 10 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno[3]. Un contributo non sufficiente, da solo, ma di cui non è possibile fare a meno se si vuole raggiungere l’obiettivo degli accordi di Parigi.  Un contributo che però non è scontato.

Anzitutto, per realizzare questo potenziale occorre piantare gli alberi giusti al posto giusto, e assicurare alle nuove foreste cura e protezione dalla siccità e degli incendi, soprattutto nei primi

anni. La scienza oggi conosce bene le tecniche migliori per realizzare foreste resistenti, resilienti e funzionali, e che siano in grado di auto-sostenersi ecologicamente una volta arrivate a maturità[4]

In secondo luogo, come suggerisce il servizio del TG1 Ambiente, ci sono situazioni in cui piantare alberi potrebbe innescare conseguenze opposte a quelle desiderate. Sono i cosiddetti effetti biofisici dovuti al fatto che alberi e foreste hanno altri modi, oltre alla fotosintesi, per modificare il clima locale:

 

  • il cambiamento di colore della superficie terrestre, da bianco (aree innevate senza alberi) o marrone (suoli tropicali deforestati) a mediamente scuro (nuove aree con alberi). Nel primo caso,

corrispondente alle zone artiche e boreali, un colore superficiale più scuro si tradurrebbe in un riscaldamento, per lo stesso fenomeno che sperimentiamo quando entriamo in una automobile scura in una calda giornata d’agosto.

  • la maggiore evaporazione di acqua da parte dei nuovi alberi, che può favorire la formazione di nubi (effetto raffreddante) ma anche aumentare la quantità di vapore acqueo in atmosfera, un gas serra naturale (effetto riscaldante);
  • l’aumento della rugosità superficiale, che favorisce la dispersione di calore mediante turbolenze (effetto raffreddante);
  • la produzione di metano, un gas serra, da parte di foreste delle aree caldo-umide o paludose (effetto riscaldante), e l’emissione dalle foglie di composti organici volatili che possono favorire la formazione delle nuvole (effetto raffreddante).

Tuttavia, le poche ricerche condotte finora hanno fornito risultati contrastanti sul loro effetto complessivo – un dibattito estremamente attivo, ma non raccontato dal servizio del TG1 (come invece fatto dal pezzo della BBC).

Questa incertezza è determinante, perché secondo l’IPCC,  c’è un’alta probabilità che su scala locale gli effetti biofisici siano più importanti di quelli determinati dalla fotosintesi. In realtà, il bilancio netto sul clima dipende dall’area geografica dove si piantano le nuove foreste, dalla specie utilizzata, e dall’umidità del suolo.  Secondo i modelli considerati dall’IPCC, un aumento di foreste ai tropici causerebbe un rinfrescamento sia globale che locale (2,5 gradi in meno nel Sahel, 1.2 in meno in Cina, e fino a 8 gradi in meno nel Sahara occidentale).

Contrariamente a quanto riportato da TG1 ambiente, il cui claim  è basato  su una ricerca vecchia ormai di 13 anni[1] e superata da nuovi studi, secondo il rapporto speciale dell’IPCC anche in Europa e Nord America un effetto rinfrescante è possibile come risultato dell’espansione delle foreste, tranne nelle zone più aride, dove non c’è abbastanza acqua da far evaporare e l’effetto inscurimento sarebbe prevalente.

Secondo alcuni ricercatori, le ondate di calore del 2003 e del 2010 in Europa sarebbero state molto più deboli in caso di afforestazione su larga scala. L’unica area dove i due effetti si compensano a vicenda sembra essere quella boreale-artica dove, a causa dell’effetto-colore, la messa a dimora di

nuove foreste avrebbe un effetto climatico tre volte meno efficace rispetto alle zone tropicali [2]. Secondo gli studi più recenti, considerando sia gli effetti biofisici che la fotosintesi, l’afforestazione

di 800 milioni di ettari a livello mondiale risulterebbe in una diminuzione della temperatura di 1 grado nelle regioni temperate e 2,5 in quelle boreali[3].

Ma c’è un terzo punto, il più importante.

Le città del mondo stanno subendo le più dure conseguenze dei cambiamenti climatici: ondate di calore estivo, precipitazioni intense e improvvise, il peggioramento della qualità dell’aria. E gli alberi hanno, nei confronti di queste minacce, poteri eccezionali.

Non tanto tramite l’assorbimento di CO2, di entità estremamente limitata in confronto alle emissioni di una città, ma facilitando l’adattamento dei cittadini. Rinfrescando l’aria durante le ondate di calore, assorbendo parte degli inquinanti e delle polveri sottili, riducendo il deflusso delle acque superficiali. Migliorando in sintesi, la salute e il benessere dei cittadini, in modo “altamente probabile” – come conclude anche il rapporto IPCC su Climate Change e Land.

Confidando nell’utilità di questa nostra comunicazione per migliorare l’informazione del servizio pubblico, con l’occasione si  inviano cordiali saluti.

[1] https://www.bbc.com/future/article/20200521-planting-trees-doesnt-always-help-with-climate-change

[2] Griscom, B.W. et al., 2017a: Natural climate solutions. Proc. Natl. Acad. Sci., 114, 11645–11650, doi:10.1073/pnas.1710465114

[3] PCC Special Report on Climate Change and Land, 2019

[4] esempio: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/rec.13035

[5] Bala, G., K. et al., 2007: Combined climate and carbon-cycle effects of largescale deforestation. Proc. Natl. Acad. Sci., 104, 6550–6555, doi:10.1073/pnas.0608998104.

[6 Arora, V.K. and A. Montenegro, 2011: Small temperature benefits provided by realistic afforestation efforts. Nat. Geosci., 4, 514–518, doi:10.1038/ngeo1182.

[7] Sonntag, S. et  al., 2018: Quantifying and comparing  effects of climate engine ring methods on the Earth system. Earth’s Futur., doi:10.1002/eft2.285.