Risorse naturali e trasparenza fiscale, finalmente si inizia a scavare nei bilanci delle società

Dal G8 appena iniziato in Irlanda del Nord si attendono progressi sul fronte aperto dall’Ue

[17 Giugno 2013]

Finalmente ci sono buone nuove, in Europa: le società attive nello sfruttamento delle risorse naturali e delle foreste primarie sono obbligate dalle nuove leggi europee a rivelare i loro profitti ed i pagamenti fiscali in ciascun singolo paese dove operano – e non in forma aggregata come avvenuto nei loro bilanci consolidati fino ad oggi. L’obbligo di dichiarazione paese per paese è una richiesta di lungo corso da parte della società civile europea e mondiale, attiva per fermare l’emorragia di capitali dai paesi poveri a quelli ricchi e porre rimedio all’evasione ed elusione fiscale delle multinazionali in Europa come nel Sud del mondo.

Mercoledì scorso il Parlamento europeo in seduta plenaria a Strasburgo ha infatti adottato a stragrande maggioranza la revisione delle direttive sulla contabilità e sulla trasparenza. Il provvedimento del Parlamento europeo è senza dubbio un passo importante anche nella lotta alla corruzione, alla distruzione ambientale e contro le violazioni dei diritti umani.

Nelle decisioni della scorsa settimana si può individuare l’eco che hanno sollevato le recenti indagini a partire dal Regno Unito negli schemi aggressivi di elusione fiscale attuati da grandi società quali Apple, Google, Starbucks in Europa, insieme allo scandalo wikileaks che ha reso pubblici i nomi di tanti ricchi e noti evasori europei. In tal senso le nuove leggi europee aiuteranno ad incalzare alcune grandi multinazionali, poiché renderanno di pubblico dominio quanti profitti sono spostati in legislazioni a bassa tassazione, erodendo così lo stesso imponibile nei paesi a tassazione più elevata, come l’Italia.

Va però sottolineato che l’obbligo di dichiarazione dei bilanci paese per paese riguarda solo uno specifico settore produttivo. Il Parlamento europeo aveva già richiesto al Consiglio di applicarlo pure per il settore bancario e l’annuncio dei capi di Stato e governo europei dello scorso maggio si è mosso in questa direzione. Al momento, però, non sono ancora arrivati i necessari passi legislativi.

In attesa di questi ultimi, la Commissione europea ha preso coraggio e presentato una nuova proposta di legge per espandere lo scambio automatico di informazioni all’interno dell’Unione europea a tutti i tipi di redditi di capitale, inclusi i dividendi e i capital gain. Vedremo come procederà il negoziato sul tema tra i paesi membri, dove alcuni ben noti, in primis il paradiso fiscale di Lussemburgo, da sempre muovono resistenza e ostruzionismo.

Politicamente la nuova iniziativa della Commissione europea è un segnale importante per il vertice del G8, che si apre proprio oggi in Irlanda del Nord. In materia economica, oltre al commercio internazionale, la presidenza inglese ha dato priorità al tema della giustizia e della trasparenza fiscale. Sotto la pressione della crisi economica e l’inevitabile innalzamento delle tasse combinato con misure di austerità, il governo Cameron deve dimostrare che anche i soliti noti evasori dovranno iniziare a pagare le tasse per mantenere un consenso politico nel paese. Da qui la spinta del G8 a muovere tutti i paesi a firmare quantomeno l’accordo Ocse sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che oggi trova resistenze soprattutto nei paradisi fiscali.

Un primo passo, che si spera sia più concreto di quello che decise sulla lotta ai paradisi fiscali lo storico G20 di Londra di inizio aprile 2009: una revisione della lista nera dei paesi neri che però è subito diventata vuota. La prova per il G8 targato Cameron e per i governi europei in particolare è nel budino, come dicono gli inglesi.