Semplicemente reMIVEri: la fine del viaggio

[28 Maggio 2015]

E fu sera e fu mattina: settimo giorno. Il giorno che tutti noi abbiamo tanto anelato. Il giorno dello sbarco a Venezia La notte è trascorsa velocemente. Stamattina ci prepariamo con maggior calma; alle 9.30 scendiamo nuovamente sul pontile. Abbiamo dormito di più, ma forse non tutti hanno avuto tempo sufficiente per recuperare la stanchezza che si sta accumulando giorno dopo giorno. E’ trascorsa ormai una settimana. Mi rendo conto che ormai siamo quasi alla fine. Ed è subito malinconia. Il delta del Po è vicino, il vento già porta odore di mare. Il programma della giornata è semplice: passare una serie di canali (Po di Levante, Po di Brondolo, Canale di Rosalina e Canale di Valle) che dal Po portano a Chioggia intersecando il fiume Adige e il Brenta, e da lì dritti fino a Venezia.

Siamo sul pontile. Pioviggina appena, ci congediamo dagli amici dell’Agriturismo Casa Ramello che son venuti a salutarci alla partenza. Prima di rimettere in acqua le due imbarcazioni, le giriamo per svuotarle dall’acqua piovana. Ancora piove, e così pioverà tutto il giorno. E’ di nuovo il mio turno al timone. Ieri, per affrontare i fatidici 100 km abbiamo ruotato tutti e cinque ogni 20 km in quella postazione. Sotto la pioggia sottile scruto l’orizzonte alla ricerca di un barlume di sole. Vacua speranza. Dopo circa 10 km, salutiamo il grande fiume Po mentre ci apprestiamo ad imboccare la serie di canali e di chiuse che ci faranno porteranno in laguna.

Tra le chiuse un incontro inaspettato ma gradito. Il famoso drago Tarantasio. Un’altra barca che come noi ha deciso di riscoprire il fiume Po. Sapevamo che li avremmo incontrati già da prima di partire. Il dove e il quando erano incogniti. Una delle nostre barche inizia una competizione goliardica col dragone. Si scherza e si ride tra le numerosi chiuse in attesa che le paratie si chiudano e si riaprano davanti a noi. Al grido scaramantico di “Risucchio. Risucchio” si lascia una conca per puntare a quella successiva. Ancora Piove, ma adesso più forte e forse con più vento.

Ancora sto immobile, ritto al timone. In quella staticità inizio ad accusare i primi segni del freddo. A momenti tremo e già le punta delle dita perde sensibilità al tatto della corda fradicia del timone. Triste destino quello di un timoniere in una fredda giornata di pioggia. Almeno i vogatori si possono scaldare nella ripetizione della loro elegante palata. Alcune ore di remata e siamo a Chioggia. Sono ormai le 15.00. La pioggia è ormai battente, accompagnata da un forte vento. Siamo stanchi e affamati; io coi primi sintomi di ipotermia non riesco quasi più sgranchire le gambe. I miei compagni non lo sanno non li voglio far preoccupare. Solo Max, il capovoga, comprende il mio doloroso e silenzioso stato. Decidiamo d attraccare in un pontile per cercare un te caldo e cambiarci al timone. Non troviamo un approdo agevole per entrambe le barche così dobbiamo separarci. Noi della prima imbarcazione riusciamo a scorgere quello che sembra il pontile di una scuola. Attracchiamo. Tra noi e l’edificio una piccola cancellata. Urliamo. Un buon uomo ci apre e ci offre riparo. E in un secondo una moltitudine di bambini festosi ci circonda e rotea urlando intorno a noi. Palline da ping-pong volano da tutte le parti.  Don Marco ci ha accolto nell’oratorio salesiano di Chioggia. Tutto quel calore umano e la tazza di te caldo offertaci riscaldano i nostri animi stanchi e infreddoliti. Don Marco prima di congedarci ci da gli ultimi consigli su come affrontare la laguna.

Torniamo in barca, San Marco è proprio là a soli 25 km da noi. Tanto vicino e tanto lontano. Rinforza il mare. Il moto ondoso alla bocca di porto -che separa la laguna dal mare aperta tra la cittadina di Chioggia e l’isola di Pellestrina- è considerevole. Il secondo equipaggio da solo tenta l’attraversata. Le onde travolgono la loro fiancata. Un mare violento rende i remi ingovernabili. In pochi minuti si ritrovano l’imbarcazione piena d’acqua. Sono preoccupati perché le nostre barche da canottaggio da fiume non sono adatte alla navigazione in mare. Sono basse e non hanno gli scalmi basculanti. Decidono dunque di fermarsi a Chioggia. Noi di conseguenza, siamo costretti a fermarci senza neanche tentare l’attraversata. O insieme o niente. Non da soli si può arrivare a Venezia.  Lo sconforto ci piomba pesante addosso e il nulla avanza nei nostri cuori. Venezia tanto lontana e tanto vicina. Oggi non arriveremo a Venezia. Si può solo sperare nella clemenza del tempo del giorno seguente. Le previsioni non sono confortanti: domani è ancora brutto con pioggia. Forse la mattina vi sarà meno vento, e meno onda…forse. L’incertezza aleggia nell’aria. Lasciare le barche a Chioggia è un macinio immenso che spezza ognuno di noi nella sua motivazione dopo tanta strada e dopo tanta fatica.

E fu sera e fu mattina ottavo giorno. Di nuovo sul pontile. Di nuovo sotto la pioggia. Lo sconforto ha fatto posto alla grinta. Concludere ciò che abbiamo iniziato, ciò in cui noi e tutti i nostri amici e cari hanno creduto, non è solo una sfida personale è la voglia di mostrare a tutti che si può davvero remare da Milano a Venezia. Barche in acqua e si riparte. Il vento per fortuna è debole, l’onda meno insidiosa. La lucidità è certamente maggiore di ieri, ma la stanchezza e il freddo si fanno comunque sentire. Sopra e sotto solo acqua. Voghiamo. Palestrina, il Lido, Poveglia, San Spirito e San Clemente. Il freddo non ci da tregua. Il primo giorno di voga abbiamo toccato i 30 gradi, oggi arriviamo a malapena ai 16. Le mani violacee faticano a stringere i remi, le gambe paralizzate non voglio più piegarsi. L’acqua ha ormai raggiunto le nostre viscere penetrando in tutti gli interstizi delle ossa. In tre ore siamo in sacca S. Biagio alla Giudecca, attracchiamo alla sede di canottaggio del CUS-Venezia. Max che ha preso il mio posto al timone si butta sotto una doccia bollente: è triste il destino di un timoniere in una fredda giornata di pioggia. Siamo a Venezia! Tanti esultano. Per me la vera gioia sarà domani: a S. Marco si terminerà il nostro viaggio. Per ora abbiamo un pomeriggio di riposo… E fu Venezia. E fu gioia e fu spritz. Quel rosso risaldò di nuovo i nostri corpi. Solite soste obbligate al Cantinone Schiavi e alla Hosteria Barbarigio a ritrovare il nostro amico oste e il suo cane Wesley.

Domenica, il giorno della Vogalonga. Incredibilmente rispunta il sole. Dopo tutta quell’acqua sembrava impossibile che si rifacesse nuovamente vivo. Migliaia di barche solcano il bacino di San Marco ognuna con i suoi colori. Più di ottomila vogatori da tutto il modo si sono dati oggi appuntamento per festeggiare Venezia, la sua laguna e l’amore per il remo. Alle nove in punto, colpo di cannone. Via alla Vogalonga. Dalla Giudecca a S. Marco: l’ultima tappa dell’impresa. In due ore e mezza terminiamo il percorso assieme al gruppo di testa. Nessuno è interessato al piazzamento. Il sole ci riscalda, il cielo è sereno. Burano, Murano e Venezia risplendono. La bellezza ci circonda festante. Passiamo sotto il ponte dei tre archi ed imbocchiamo il canal Grande. Sventola la nostra bandiera: è bellissimo ed emozionante. Vogando è iniziato il nostro viaggio e con lo stesso semplice gesto concludiamo questa fantastica ed irripetibile avventura. Siamo undici persone normali che hanno voluto cimentarsi in qualcosa di grande. Abbiamo osato rompere gli schemi della normale quotidianità. Ci siamo messi alla prova per dimostrare al mondo che il Grande Fiume è ancora là col suo lento scorrere ad aspettare i viaggiatori naviganti dello spirito. Ce l’abbiamo fatta: solo con le nostre forze abbiamo raggiunto Venezia -senza motore- sospingendo le nostre barche o vogando o in bicicletta. E’ veramente la fine. Piangiamo e ridiamo. Orgogliosi di noi stessi: siamo commossi, siamo sfiniti, siamo felici. Siamo i reMIVEri, e da ora lo saremo per sempre.