Aspettativa di vita in crescita in (quasi) tutto il mondo. Ma aumentano gli anni di malattia e disabilità

L’Italia è il Paese con il livello più basso di perdita di salute e l'ottavo per aspettativa di vita sana. L’Africa in fondo alla classifica

[28 Agosto 2015]

A partire dagli anni ’90, a livello mondiale l’aspettativa di vita è aumentata di più di 6 anni, ma se la speranza di vivere in buona salute cresce, aumentano anche cardiopatie, infezioni respiratorie ed ictus. E’ quello che emerge dallo studio “Global, regional, and national disability-adjusted life years (DALYs) for 306 diseases and injuries and healthy life expectancy (HALE) for 188 countries, 1990–2013: quantifying the epidemiological transition” pubblicato su i The Lancet che sottolinea: «Le persone in tutto il mondo vivono più a lungo, anche in alcuni dei Paesi più poveri, ma un complesso mix di disturbi letali e non provoca un enorme quantità di perdita di salute». Dall’analisi di Lancet  sulle principali malattie e cause di morte in 88 Paesi viene fuori che, grazie alla forte diminuzione negli ultimi 10 dei morti per Aids e malaria, ai significativi progressi fatti nell’affrontare le malattie trasmissibili, la mortalità materna e neonatale e i disturbi alimentari, «La salute è migliorata in modo significativo in tutto il mondo. La speranza di vita globale alla nascita per entrambi i sessi è aumentata di 6,2 anni (da 65,3 nel 1990 ai 71,5 nel 2013), mentre la speranza di vita in buona salute, o HALE, alla nascita è aumentata di 5,4 anni (da 56,9 nel 1990 a 62,3 nel 2013)». La speranza di vita in buona salute prende in considerazione non solo la mortalità, ma anche l’impatto delle condizioni non fatali e riassume anni vissuti con disabilità e gli anni persi a causa della mortalità prematura. Lo studio evidenzia che «L’aumento della speranza di vita in buona salute non è stato così eccezionale come la crescita della speranza di vita, e, di conseguenza, le persone vivono più anni con malattia e disabilità».

Le differenze tra “ricchi” e “poveri” restano comunque elevate: i Paesi con la più alta aspettativa di vita in buona salute sono nell’ordine: Giappone, Singapore, Andorra, Islanda, Cipro, Israele, Francia, Italia, Corea del Sud, Canada, mentre in fondo alla classifica dell’aspettativa di vita sana troviamo: Lesotho, Swaziland, Repubblica Centrafricana, Guinea Bissau, Zimbabwe, Mozambico, Afghanistan,  Ciad, Sud Sudan, Zambia.

Lo studio è stato realizzato da un consorzio internazionale di ricerca che lavora al progetto Global Burden of Disease  e che è ospitato dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’università di Washington. Il principale dello studio, Theo Vos dell’IHME, spiega che «Il mondo ha compiuto grandi progressi nel campo della salute, ma ora la sfida è quella di investire nella ricerca di modi più efficaci per prevenire o curare le principali cause di malattia e disabilità».

Se per  la maggior parte dei Paesi c’è un aumento significativo della speranza di vita in buona salute, in decine di paesi, tra cui Botswana, Belize e Siria, nel 2013 la speranza di vita non era amentata rispetto agli anni ’90. In alcuni dei questi Paesi, tra cui il Sudafrica, il Paraguay e la Bielorussia, la speranza di vita in buona salute è in realtà diminuita e in Lesotho e Swaziland chi è nato nel 2013 può aspettarsi di vivere almeno 10 anni in meno in buona salute rispetto a chi ci è nato 20 anni prima. In Paesi come il Nicaragua e la Cambogia si vive molto di più e più in salute che begli anni ‘90, rispettivamente 14,7 anni e 13,9 anni, mentre in Botswana e Belize si vive in salute rispettivamente  2 anni e 1,3 anni, di meno.

Ma è nell’aspettativa di vita media che l’ingiustizia del mondo viene furi in tutta la sua evidenza: chi ha la sfortuna di essere nato in Lesotho ha un’aspettativa di vita sana di 42 anni, un giapponese vive in media senza grossi problemi fino a 73,4 anni. Differenze che sono notevoli anche nelle stesse regioni: i cambogiani e i laotiani nati nel 2013 hanno un’aspettativa di vita sana  di soli 57,5 ​​ e 58,1 anni, ma i thailandesi e i vietnamiti potranno vivere quasi 67 anni in buona salute.

L’Etiopia è uno dei Paesi dove più aumenta l’aspettativa di vita lunga e sana: nel 1990, gli etiopi vivevano in media 40,8 anni in buona salute, ma nel  2013 la loro aspettativa di vita sana è cresciuta di 13,5 anni, più del doppio della media mondiale Tariku Jibat Beyene dell’università di Addis Abeba  spiega che «L’Etiopia nel corso degli ultimi due decenni ha fatto progressi impressionanti in materia di salute, con diminuzioni significative nei tassi di malattie diarroiche, infezioni delle basse vie respiratorie e disturbi neonatali. Ma disturbi come le malattie cardiache, BPCO e ictus stanno causando una crescente quantità di perdita di salute. Dobbiamo restare vigili per affrontare questa nuova realtà della salute etiope».

Gli scienziati hanno stilato anche le cause di DALY o perdita di salute leader a livello mondiale per entrambi i sessi: 1 Cardiopatia ischemica; 2 infezione respiratorie; 3 ictus;  4 Dolori alla schiena e al collo; 5 infortuni stradali; 6 malattie diarroiche; 7 broncopneumopatia cronica ostruttiva; 8 complicazioni neonatali alla nascita; 9 HIV/AIDS; 10 malaria.

Tra il 1990 e il 2013  la causa di malattia invalidante in più rapida crescita è stato l’’HIV/AIDS, che è aumentato del 341,5%. Ma dal 2005 la perdita di salute a causa dell’AIDS è diminuita del 23,9%, mentre le altre malattie “da benessere” sono cresciute e sono diminuite quelle da “povertà”, come le  malattie diarroiche, le complicazioni neonatali, le infezioni respiratorie.

I paesi con i più alti tassi di DALY sono quelli più poveri del mondo, i Paesi con i livelli più bassi di perdita di salute sono l’Italia, la Spagna, la Norvegia, la Svizzera e Israele. Insomma, l’Italia delle badanti e della sanità pubblica sotto accusa (e sotto minaccia di altri tagli) è il Paese dove si resta più in salute.

Nel mondo in media aumentano le malattie non trasmissibili e diminuiscono quelle trasmissibili, la mortalità materna e neonatale e i disordini nutrizionali

Lo studio esamina anche il ruolo che lo status socio-demografico  – una combinazione di reddito pro capite, età della popolazione, tassi di fertilità e anni di scuola – gioca nel determinare la perdita di salute. I risultati dei ricercatori sottolineano che «Questo rappresenta più della metà delle differenze viste tra  i Paesi e nel tempo per alcune cause di DALY, tra i disturbi materni  neonatali». Ma lo studio rileva che «Lo status socio-demografico è molto meno responsabile della variazione osservata per disturbi come le malattie cardiovascolari e il diabete».

Il direttore dell’IHME Christopher Murray, sottolinea che «Fattori quali reddito ed istruzione hanno un impatto importante sulla salute, ma non raccontano tutta la storia. Guardare la speranza di vita in buona salute e la perdita della salute a livello nazionale può contribuire a indirizzare le politiche per garantire che ovunque le persone possano avere una vita lunga e sana, non importa dove vivono».