Le risorse minerarie non stanno finendo (ma non è una buona notizia)

Ugo Bardi (Club di Roma): «Molto prima di finirle termineremo quelle economiche»

[23 Ottobre 2013]

Questa è una versione scritta del discorso che tenuto da Ugo Bardi  all’incontro tenutosi a Bucarest in occasione del ventesimo anniversario della fondazione della sezione rumena del Club di Roma (ARCoR) il 17 ottobre 2013

Signore e signori, è un privilegio e un onore per me rappresentare oggi il Club di Roma. Posso quindi portarvi i saluti e le congratulazioni dei co-presidenti del Club, Anders Wijkman e Ernst Weizsacker, così come quello del Segretario Generale, Ian Johnson.

Oggi celebriamo il ventesimo anniversario della fondazione dell’associazione rumena del Club di Roma, ARCoR, cosa che rappresenta una realizzazione notevole. E’ altrettanto notevole, credo, la realizzazione del Club di Roma come associazione globale, che esiste già da 40 anni, dopo essere stata fondata dal signor Aurelio Peccei nel 1969.

La celebrazione di oggi, tuttavia, non è alla memoria delle glorie passate. Ciò che invece celebriamo è la sempre maggiore consapevolezza di quanto importante e di quanto moderna sia stata la visione che è apparsa nel primo rapporto al Club, il celeberrimo libro dal titolo “I limiti dello Sviluppo”. Oggi, più di 40 anni più tardi, ho avuto l’onore di firmare come autore principale il trentatreesimo rapporto al club, un libro dal titolo “Il Pianeta Saccheggiato”. Con questo libro abbiamo riesaminato alcuni degli scenari e il concetto del rapporto del 1972. Abbiamo scoperto quanto le idee del primo rapporto avessero consistentemente colpito nel segno e quanto l’economia mondiale abbia seguito da vicino lo scenario allora definito “caso base” e che oggi definiremmo come “business as usual”. E’ uno scenario che vede la crescita dell’economia mondiale mantenuta fino ai primi decenni del ventunesimo secolo, seguita da una stasi e poi da un rapido declino.

Per favore, fate attenzione: “I Limiti dello Sviluppo” non è stata una profezia e non lo doveva essere. Gli autori avevano chiaramente dichiarato nel libro che non volevano che il futuro fosse come il loro scenario “caso base”. Nessuno voleva il collasso dell’economia mondiale, con tutte le conseguenze che questo comporta, naturalmente. Essi hanno detto, correttamente, che il futuro è qualcosa che creiamo con le nostre azioni e le nostre decisioni e che se avessimo voluto evitare il declino avremmo dovuto fare le scelte che lo avrebbero evitato. Ma ciò non è stato fatto e lo scenario caso base è diventato, sfortunatamente, sempre più simile ad una profezia.

Tuttavia, indipendentemente da quale sarà l’evoluzione dell’economia mondiale nei prossimi anni, penso che l’eredità principale de “I Limiti dello Sviluppo” oggi sia quella di ricordarci quanto siano importanti le risorse materiali per la nostra sussistenza e la nostra prosperità. La ricchezza non è creata dalle banche o da altre istituzioni finanziarie, è creata da ciò che chiamiamo “risorse naturali”, che vengono prodotte e elaborate dal sistema industriale e alla fine trasformate in prodotti: è ciò che chiamiamo “economia”. Senza risorse naturali  non ci sarebbe alcuna economia e i soldi sarebbero senza valore, perché non ci sarebbe nulla da comprare. Questo dovrebbe essere ovvio, ma a volte siamo così preoccupati – direi ossessionati – dai capricci del sistema finanziario mondiale che tendiamo a dimenticare una cosa che il mio amico e collega Giorgio Nebbia mi diceva: «L’economia è la scienza delle cose materiali».

Quindi, dove ci troviamo rispetto a queste “cose materiali” oggi? Be’, da un lato è chiaro che NON stiamo esaurendo niente: la produzione dei minerali più importanti non è in declino e non manca nessun bene minerale sul mercato, almeno se siamo disposti a pagarne il prezzo. A volte si diceva che il messaggio de “I Limiti dello Sviluppo” era che avremmo finito presto le risorse minerali. Ma non è vero. “I Limiti dello Sviluppo” non hanno mai detto niente del genere. Era chiaro dai calcoli riportati nello studio che non avremmo finito le risorse minerarie principali prima della fine del ventesimo secolo. Il punto è del tutto diverso: molto prima di finire fisicamente le risorse finiremo le risorse economiche.

Ed è esattamente questo che è accaduto. Non stiamo finendo nulla, ma dobbiamo pagare di più per ciò che ci serve. Come sicuramente sapete, i prezzi del petrolio sono aumentati di un fattore di circa 5 negli scorsi 5-6 anni e il prezzo medio delle risorse minerali è aumentato di un fattore di circa 3 nello stesso lasso di tempo. Questa è una tendenza robusta e non è indolore per le economie dei paesi importatori.

Lasciate che vi fornisca alcuni dati: nel 2012 i paesi dell’Unione Europea hanno importato 500 miliardi di euro di valore in combustibili fossili, si tratta di circa il 4% del PIL europeo. I singoli paesi mostrano valori leggermente diversi, per esempio per l’Italia sono stati circa 66 miliardi di euro di importazioni, che corrispondono a più del 4% del PIL italiano. Per la Romania la percentuale è inferiore, in parte a perché la Romania produce una quantità relativamente grande di combustibili fossili in confronto alla dimensione della propria economia.

Considerate che questi sono solo i costi dell’importazione di combustibili fossili. Altri soldi devono essere spesi per l’importazione di beni minerali che normalmente “contengono” molta energia sotto forma di combustibili fossili usati per la loro estrazione, elaborazione e trasporto. Ma rimaniamo sui combustibili fossili. Poniamoci una domanda: il 4% è poco o molto? Be’ questa è una delle domande classiche alle quali si deve rispondere “dipende”. Se l’economia potesse crescere, allora l’aumento dei costi dei combustibili fossili non sarebbero un grande fardello – rimarrebbero più o meno la stessa percentuale dell’intera economia. Ma non è stato così. L’economia europea sta crescendo, ma la crescita è stata ben lontana dall’essere robusta come lo è stata negli anni passati e in diversi paesi l’economia non cresce affatto. E questi paesi hanno visto il proprio “conto energetico” crescere e diventare un fardello pesante. Un buon esempio è l’Italia, ma lo stesso tipo di problemi ci sono ovunque. Mentre parliamo di punti percentuali dell’economia europea stiamo parlando di centinaia di miliardi di euro che si spostano dall’Europa – in gran parte importatrice di beni minerali – ai paesi produttori che si trovano in gran parte al di fuori dell’Europa.

Questo gigantesco trasferimento di ricchezza non può rimanere senza conseguenze e penso che questa sia una delle ragioni principali dei problemi che viviamo oggi. Come ho detto prima, l’eredità principale de “I Limiti dello Sviluppo” è quella di ricordarci che la nostra prosperità è basata su risorse materiali e non dovremmo dimenticarcelo. Vi invito a considerare questo elemento quando cercate di capire cosa sta succedendo.

Ma c’è un altro elemento che possiamo a sua volta considerare oggi come eredità del Club di Roma e questo va dritto al cuore della questione. Gli scenari che stanno alla base dello studio “I Limiti dello Sviluppo” sono stati creati usando una tecnica chiamata “dinamica dei sistemi”. Ha a che fare con la risoluzione di equazioni differenziali su un computer ma, in realtà, non è niente altro che buon senso formalizzato.

Mi spiego. Definirei “buon senso” in un modo molto semplice: è semplicemente pensare alle conseguenze e, in particolare, alle conseguenze a lungo termine di quello che facciamo. Usare un computer significa che possiamo proiettare il nostro buon senso a una certa distanza nel futuro e considerare sistemi più complicati di quelli coi quali abbiamo a che fare abitualmente. Ma il buon senso – pensare alle conseguenze – rimane una qualità del pensiero umano che, sfortunatamente, a volte rifiutiamo di utilizzare.

Considerando la nostra situazione attuale stiamo affrontando scelte che avranno conseguenze profonde sul nostro futuro. Per esempio, dobbiamo perforare in cerca di più petrolio e gas? Possiamo, naturalmente, scegliere di investire grandi quantità delle nostre risorse per sfruttare le cosiddette risorse “non convenzionali”. Ma la conseguenza sarà che diventeremo ancora più dipendenti da una risorsa che sta diventando sempre più difficile e costosa da ottenere (per tacere del peggioramento del problema climatico). Così, tutto ha conseguenze e dovremmo pensarci prima di prendere queste importanti decisioni, se vogliamo prenderle in modo saggio.

Per concludere, vorrei citare una frase che viene spesso attribuita a Robert Luis Stevenson. Ed è: «Ognuno di noi, prima o poi, si siede ad un banchetto di conseguenze». Cosa verrà servito al banchetto dipenderà dalle scelte che stiamo facendo ora. In questo senso, i metodi e le idee sviluppate dal Club di Roma già negli anni 70 possono aiutarci a fare scelte sagge (se vogliamo farle). E’ questa l’eredità del Club di Roma.

Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti