Wfp: grandi ineguaglianze nell’accesso al cibo. E il Coronavirus aggrava le sfide

L’ingiustizia alimentare colpisce di più i Paesi che sono vittime di guerre e cambiamento climatico e e shock economici

[16 Ottobre 2020]

Secondo il rapporto “Cost of a Plate of Food 2020”, appena pubblicato dal World Food Programme (Wfp), l’agenzia Onu insignita del Premio Nobel 2020 per la Pace, «Un pasto base è ben al di là della portata per milioni di persone nel 2020 mentre la pandemia di Covid-19 si associa a conflitti, cambiamento climatico e shock economici nell’aggravare i livelli della fame nel mondo».

Questa è la terza edizione del rapporto che prima si chiamava “Counting the Beans” e che, quest’anno, raccoglie dati di 36 Paesi. Il rapporto considera una stima di reddito medio per capite in ogni Paese e calcola la percentuale che le persone devono spendere per un pasto base composto da fagioli o lenticchie, per esempio, e una preferenza locale di carboidrati. Il prezzo che un abitante di New York potrebbe pagare è stato calcolato applicando lo stesso rapporto pasto-reddito di una persona in un Paese in via di sviluppo a un abitante dello Stato americano.

Quindi, il rapporto mostra quali sono i Paesi dove il costo di un dove il costo di un semplice pasto è maggiore in rapporto al reddito della popolazione e ne viene fuori che «Il Sud Sudan si trova, ancora una volta, in cima alla classifica, con un pasto base che può arrivare a costare fino al 186% del reddito giornaliero di una persona». Tra i primi 20 Paesi, ben 17 si trovano nell’Africa sub-sahariana.

Il direttore esecutivo del Wfp, David Beasley, spiega che «Questo nuovo rapporto mette bene in luce l’impatto distruttivo dei conflitti, del cambiamento climatico e delle crisi economiche, a cui ora si aggiunge il Covid-19, tutti motivi che portano a un peggioramento della fame. Sono i più vulnerabili che patiscono le conseguenze peggiori. Le loro vite erano già sul filo – prima della pandemia di coronavirus ci trovavamo già nella peggiore crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale – e ora la loro situazione è peggiorata ancora di più, con la pandemia che minaccia niente meno che una catastrofe umanitaria».

Sono i conflitti la causa principale della fame in molti Paesi: costringono le popolazioni ad abbandonare case, terre e lavoro, riducono drasticamente i redditi e la disponibilità di cibo economicamente accessibile.  Nel Sud Sudan, il Paese con il piatto base più costoso, le violenze nell’est del Paese hanno già causato lo sfollamento di oltre 60.000 persone e stanno distruggendo raccolti e mezzi di sostentamento. «Questo – sottolinea il Wfp – insieme al Covid-19 e agli shock climatici, sta creando le premesse per una carestia.

Dall’inizio della pandemia, la percentuale del reddito giornaliero speso in cibo da un sud sudanese è salito di 27 punti arrivando al 186%. Se un abitante di New York dovesse pagare la stessa proporzione del proprio reddito per un pasto base, quel pasto costerebbe 393 dollari.

Cost of a Plate of Food viene pubblicato mentre le stime del Wfp indicano che «Le vite e i mezzi di sostentamento di fino a 270 milioni di persone saranno in serio pericolo nel 2020, se non si prendono azioni immediate per fare fronte alla pandemia».

Per la prima volta in questa triste classifica compare il Burkina Faso, a causa soprattutto di un peggioramento del conflitto interno dovuto alle scorribandi jihadiste  e al cambiamento climatico. Nel Paese di Thomas Sankara,  Il numero degli affamati è triplicato, arrivando a 3,4 milioni di persone, mentre la carestia minaccia 11.000 persone che vivono nelle province settentrionali. Anche il piccolo Burundi è presente nell’elenco, vittima della dittatura, dell’instabilità politica e di un forte declino delle rimesse degli immigrati che hanno provocato un calo nei commerci e nell’occupazione, esponendo il piccolo Paese a una fame crescente.

Tra i primi 20 Paesi che subiscono maggiormente l’ingiustizia alimentare c’è anche Haiti, dove per un piatto base di cibo si spende oltre un terzo del reddito giornaliero, l’equivalente di 74 dollari per un abitante di New York. Il Wfp sottolinea che «Oltre la metà del cibo e l’83% del riso consumato ad Haiti vengono importati, rendendo il Paese vulnerabile all’inflazione e alla volatilità dei prezzi dei mercati internazionali, specialmente durante crisi come quella attuale causata dalla pandemia globale». Come se non bastasse, attualmente Haiti è scossa da grandi proteste di piazza contro la corruzione del governo.

Il sostegno del Wfp ai Paesi più in difficoltà include l’assistenza in cibo e contante e un aiuto ai governi nell’ampliamento delle proprie reti di protezione sociale. In Sud Sudan, oltre all’assistenza regolare a 5 milioni di persone, il Wfp ne assisterà altri 1,6 milioni, soprattutto in ambiti urbani. A lungo termine, sistemi alimentari efficaci sono essenziali per l’accesso a cibo nutriente ed economicamente alla portata. Il Wfp, con i suoi acquisti di cibo, ha un ruolo importante da svolgere nel miglioramento dei sistemi che producono il cibo e lo fanno arrivare sulle tavole delle persone.

Beasley conclude: «Ora anche chi vive nelle aree urbane è fortemente toccato, con il Covid-19 che porta enormi aumenti nella disoccupazione impedendo alle persone di acquistare beni di consumo alimentare nei mercati. Per milioni di persone, perdere il guadagno di una giornata significa perdere il cibo per un giorno, per sé stessi e per le proprie famiglie. E questo può essere anche causa di un aumento delle tensioni sociali e di instabilità».