Istat, ecco come sono cambiati reati e leggi ambientali in Italia dalla Costituente a oggi

Con l’introduzione del Testo unico ambientale i procedimenti penali sono aumentati del 1300% ma le indagini durano in media 457 giorni, e inoltre il 40% dei casi poi c’è l’archiviazione (che arriva al 77,8% guardando alla legge sugli ecoreati)

[11 Luglio 2018]

Fino a 70 anni fa il quadro legislativo italiano aveva ben poco da dire sull’ambiente: al momento della Costituente erano in vigore solo una norma sui Beni culturali (L. 1089/1939) e una sulle Bellezze naturali (L. 1497/1939). Un quadro destinato a rapida e tumultuosa evoluzione, come spiega l’Istat nel suo rapporto I reati contro ambiente e paesaggio: i dati delle procure: fino al 1960 gli atti emanati che nel titolo si riferiscono all’ambiente erano solo cinque, diventano 77 nel 1990 per poi arrivare ai 189 odierni, senza dimenticare il passaggio fondamentale segnato nel 2006 con l’approvazione del cosiddetto Testo unico ambientale (T.U.A.), ovvero il D.lgs.152/2006, relativo in particolare alla gestione delle acque reflue e dei rifiuti.

A questa rapida produzione legislativa si è affiancato naturalmente un corrispettivo numero di procedimenti penali, definiti con una decisione nelle Procure della Repubblica presso i tribunali, per i quali, al termine delle indagini preliminari, viene fatta richiesta di archiviazione o al contrario viene formulata richiesta di inizio dell’azione penale. È proprio a questi procedimenti che guarda l’Istat, mettendo in ordine una notevole mole di dati.

In primis si nota che dall’introduzione del T.U.A. nel 2006 al 2014 i procedimenti penali – con almeno un reato previsto dal codice ambientale – sono aumentati in modo incredibile, da poco più di mille casi a quasi 13mila (segnando ovvero un +1.300%), anche se a partire dal 2015 «si nota una contrazione continuata anche nel 2016, soprattutto dei procedimenti per cui inizia l’azione penale».

Altro dato interessante: che sia per l’intrinseca complessità della materia, per l’esasperazione che ne dà una normativa confusa e contraddittoria, oppure per la necessità di “prendere le misure” con normative ancora relativamente nuove, i casi di archiviazione dei procedimenti penali “ambientali” sono moltissimi.

Nel 2016 ad esempio, su 10.023 procedimenti noti con contravvenzione in violazione del Testo unico ambientale, il 46,6% è stato archiviato; una percentuale simile si riscontra per i procedimenti più gravi, quelli che fanno riferimento a delitti, dove su 509 casi il 40,9% va ad archiviazione. Un fenomeno che va accentuandosi col passare degli anni: «Nel 2016 i procedimenti per violazioni delle regole di gestione delle acque reflue sono stati 1.636, quelli per le violazioni delle regole di gestione dei rifiuti 8.792, 170 per il trasporto non autorizzato di rifiuti e 164 per traffico organizzato di rifiuti. Per tali reati, sono diminuiti i procedimenti per cui è iniziata l’azione penale: dal 2013 per violazioni nella gestione delle acque reflue; dal 2015 per la gestione dei rifiuti (che coinvolge spesso, oltre ad attività economiche, anche singoli cittadini che non rispettano i regolamenti); dal 2014 per il traffico organizzato di rifiuti. Per questi ultimi – nota l’Istat – si ha un aumento delle archiviazioni a denotare anche la difficoltà crescente, da parte degli inquirenti, nel trovare elementi di prova della violazione».

Il problema è che per arrivare alla decisione – archiviazione o richiesta d’inizio dell’azione penale – passa molto tempo: «Per i procedimenti definiti nel 2015 il dato medio nazionale della durata delle indagini è stato di 457 giorni, in aumento di quasi il 30% rispetto agli anni precedenti», con l’Istat che valuta l’aumento nel corso degli anni del tempo di definizione di tali procedimenti «un segnale di sofferenza del sistema nelle indagini in campo ambientale». E anche dei soggetti sotto indagine naturalmente, che attendono in media attendono per oltre 15 mesi per poi vedere archiviato il procedimento in oltre il 40% dei casi.

Non lascia granché spazio alla speranza di miglioramenti la recente introduzione (nel 2015) della legge 68 sugli ecoreati: come ricorda l’Istat, «i reati previsti nel T.U.A. si riferiscono a un pericolo di danno ambientale “astratto” cioè potenziale», mentre la legge 68 «ha introdotto nuove fattispecie di delitto (anche colposo) nel Codice penale (Titolo VI-bis Libro II) incentrate sul danno ambientale effettivamente causato». Peccato che anche in questo caso su 72 indagini preliminari chiuse nel 2016, in 56 occasioni (il 77,8%) sia arrivata l’archiviazione, e in appena 16 casi sia arrivato l’effettivo inizio dell’azione penale. Dati che sembrano confermare la necessità impellente di avviare una profonda semplificazione della legislazione ambientale, oltre al già perseguito inasprimento delle pene, in modo da rendere più efficace ed efficiente sia il lavoro della magistratura sia il funzionamento della green economy (legale).