L’autonomia differenziata arriva in Consiglio dei ministri, gli ambientalisti lanciano l’allarme

Legambiente: «Rischio di allargare le differenze sociali ed economiche tra Nord e Sud del Paese. L’errore più grave che si potrebbe compiere in campo ambientale sarebbe proprio nel rinunciare al ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo da parte dello Stato»

[14 Febbraio 2019]

Erika Stefani, ministra leghista per gli Affari regionali e le autonomie, porterà questa sera in Consiglio dei ministri quanto più si avvicina al vecchio sogno della Lega Nord di una secessione della Padania dal resto del Paese: il percorso di riforma sull’autonomia differenziata avviato – a partire da quanto previsto dall’articolo 116 (comma 3) della Costituzione – per il trasferimento dei poteri dello Stato su 23 materie e le relative risorse alle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che ne hanno fatto richiesta.

«Siamo consapevoli che il percorso non è concluso – dichiara la ministra – ma siamo ottimisti sul risultato perché stiamo compiendo un passo importantissimo nell’ottica della razionalizzazione e del risparmio della spesa regionale». In realtà, come spiegano bene da Legambiente, si teme che con questa riforma si rischi solo di «allargare le differenze sociali ed economiche tra Nord e Sud del Paese già evidenti oggi, come dimostrano quelle relative al Servizio nazionale sanitario o al sistema scolastico solo per fare due esempi, e che si crei una frattura irreversibile nella stessa idea di parità di accesso a servizi essenziali o di diritto alla fruizione di beni pubblici da parte dei cittadini del nostro Paese. Inoltre – sottolineano gli ambientalisti – l’errore più grave che si potrebbe compiere in campo ambientale nel nostro Paese, sarebbe proprio nel rinunciare al ruolo di indirizzo, coordinamento e controllo da parte dello Stato. Senza contare che in questo percorso di riforma, si è escluso il Parlamento ma anche le altre Regioni dal percorso di condivisione, quando pure ne subiranno le conseguenze».

La proposta di autonomia differenziata in discussione prevede in particolare di trasferire competenze dirette su materie che oggi sono a “legislazione concorrente” tra Stato e Regioni, come ad esempio la tutela della salute e della sicurezza del lavoro, l’alimentazione, la protezione civile e il governo del territorio, i trasporti e l’energia, ma anche di intervenire anche su materie di competenza “esclusiva” dello Stato, quali le norme generali su istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. «Lo Stato – dichiarano da Legambiente – deve comunque mantenere i suoi poteri su temi che non possono essere tutelati in modo diverso in Calabria e in Lombardia, perché gli effetti sulla salute delle persone e sulla sopravvivenza degli ecosistemi sono gli stessi. Inoltre non possono essere messe in discussione le garanzie di tutela ambientale che devono valere in tutto il Paese e il principio per cui il sistema pubblico dei controlli ambientali debba funzionare allo stesso modo in tutto il Paese, dalla Sicilia alla Lombardia».

Legambiente crede in un modello di autonomia regionale e comunale costruito intorno al principio di responsabilità, che vuole dire esercizio diretto di competenze ma anche di stare dentro un sistema di controlli e garanzie. Per questo l’associazione ambientalista chiede di ripensare il percorso di autonomia differenziata proposto dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e di aprire un confronto in Parlamento e con i cittadini di tutto il Paese su una riforma dei poteri dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali che garantisca a tutti gli stessi diritti, ambientali e non solo, innalzando gli standard minimi di servizi e presìdi in tutto il Paese.

Al seguente lik è possibile leggere il documento integrale redatto dalla Segreteria nazionale di Legambiente: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/Autonomia_regioni_testo_segreteria_nazionale_legambiente.pdf