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Le 10 politiche più efficaci per un’economia di stato stazionario, secondo Herman Daly

Dal più noto economista ecologico al mondo, i principali pezzi per comporre il puzzle della sostenibilità

[7 Luglio 2014]

Ecco nello specifico dieci politiche per porre fine alla crescita antieconomica e passare piuttosto a un’economia di stato stazionario. Un’economia di stato stazionario è un modello che mira a uno sviluppo qualitativo (progressi nel campo della scienza, della tecnologia e dell’etica), senza una crescita quantitativa dal punto di vista fisico; esso si basa su una “dieta”, vale a dire un flusso metabolico costante delle risorse, dallo sfruttamento all’inquinamento (produzione entropica), mantenuto a un livello sufficiente per un buon tenore di vita e nel contempo entro le capacità di assimilazione e rigenerazione dell’ecosistema.

Il numero dieci è una scelta del tutto arbitraria che rappresenta solo un modo per affrontare la questione nello specifico, sfidando gli altri a suggerire eventuali miglioramenti. Benché i punti qui delineati si combinino perfettamente, nel senso che alcune politiche si completano e si bilanciano a vicenda, la maggior parte di essi potrebbe essere adottata singolarmente e gradualmente.

1 . Sistemi basati su tetto massimo-aste-scambi commerciali per le risorse di base. Il tetto massimo riguarda la scala biofisica con la definizione di quote di sfruttamento o inquinamento, risultando perciò un approccio piuttosto restrittivo. La vendita all’asta delle quote consente di incrementare le entrate pubbliche con l’obiettivo di una ridistribuzione più equa. Gli scambi commerciali si traducono in una distribuzione efficiente finalizzata a un utilizzo ottimizzato.

Questa politica ha il vantaggio di essere trasparente. C’è un limite al volume e al tasso di sfruttamento e inquinamento che l’economia può imporre all’ecosistema. Il tetto rappresenta una quota fisica, una soglia massima di produzione delle risorse di base, in particolare dei combustibili fossili. In generale, questa quota dovrebbe essere applicata in corrispondenza della fase iniziale, dal momento che lo sfruttamento delle risorse è più delimitabile rispetto all’inquinamento e quindi più facile da controllare. Inoltre, il prezzo più elevato delle risorse di base ne faciliterà un utilizzo più economico in ogni fase a monte della produzione, così come nelle fasi finali di consumo e riciclaggio.

La proprietà delle quote sarà inizialmente pubblica, ossia il governo periodicamente le venderà all’asta ai privati ​​e alle imprese. Non vi saranno esenzioni dei diritti di quota per gli utilizzatori precedenti né il “trasferimento” delle quote per la realizzazione di nuove centrali elettriche a combustibile fossile in cambio di crediti acquisiti piantando degli alberi da qualche altra parte. Il rimboschimento rappresenta di per sé una buona politica, ma è ormai troppo tardi per adottare mezze misure che si annullano a vicenda: occorre piuttosto focalizzarsi sull’incremento del sequestro di carbonio e sulla diminuzione delle emissioni.

I ricavi delle aste confluiranno nei fondi pubblici e verranno utilizzati per sostituire le imposte regressive, come l’imposta sui salari, e per ridurre le tasse che gravano sui redditi più bassi. Una volta acquistate all’asta, le quote potranno essere liberamente acquistate e vendute da terzi, così come le risorse il cui tasso di sfruttamento verrà così limitato.

Il tetto è uno strumento utile al conseguimento di tale obiettivo su scala sostenibile; le vendite all’asta saranno finalizzate a una distribuzione più equa; gli scambi commerciali favoriranno un’efficiente allocazione – tre obiettivi, tre strumenti politici. Benché principalmente applicata alle risorse non rinnovabili, la stessa logica può contribuire a limitare il prelievo da fonti rinnovabili, come la pesca e le foreste, con quote fissate in modo tale da avvicinarsi a un rendimento sostenibile.

2. Riforma fiscale ecologica. Spostare la base imponibile dal valore aggiunto (lavoro e capitale) verso “ciò a cui si aggiunge valore”, vale a dire la produzione entropica delle risorse estratte dalla natura (sfruttamento) e restituite alla natura (inquinamento). Un tale spostamento del carico fiscale va a toccare il contributo della natura, tuttora insufficiente ma precedentemente del tutto assente. L’apporto di valore aggiunto alle risorse naturali proveniente da lavoro e capitale deve essere incoraggiato, perciò occorre smettere di tassarlo. Al contrario, sfruttamento e inquinamento devono essere scoraggiati, pertanto devono essere tassati. Un pagamento superiore al prezzo dell’offerta rappresenta una rendita, un vitalizio, e la maggior parte degli economisti sostiene da lungo tempo la necessità di tassarlo, per ragioni sia di efficienza sia di equità. La riforma fiscale ecologica può costituire un’alternativa o un elemento di supporto ai sistemi basati sul tetto massimo-aste-scambi commerciali. 

3. Limitare l’intervallo di disuguaglianza nella distribuzione del reddito, stabilendo un reddito minimo e un reddito massimo. In assenza di una crescita globale, la riduzione della povertà necessita di una redistribuzione. Una disuguaglianza illimitata è inaccettabile, tuttavia anche una perfetta uguaglianza sarebbe ingiusta. Occorre quindi cercare dei limiti equi all’interno dell’intervallo di disuguaglianza. La burocrazia, l’esercito e le università hanno a che fare con un grado di disuguaglianza pari a 15 o 20, mentre le grandi aziende americane superano quota 500. Molti paesi industrializzati si collocano al di sotto della soglia pari a 25.

Non potremmo limitare questo intervallo portandolo, ad esempio, a 100, e valutare i cambiamenti? Dal punto di vista economico, ciò significa un minimo di 20 mila dollari l’anno fino a un massimo di 2 milioni di dollari. Non è una quota più che sufficiente per dare un incentivo al duro lavoro e colmare le differenze reali? Le persone che hanno raggiunto il limite massimo potrebbero persino lavorare gratis, con opportunità di miglioramento, se amano il loro lavoro, oppure dedicare il proprio tempo libero a hobby e attività di natura sociale. La domanda non soddisfatta da chi si colloca in prossimità del reddito massimo passerà nelle mani di coloro che si trovano al di sotto di tale soglia.

E’ difficile mantenere uno spirito comunitario, estremamente necessario per la democrazia, in presenza di grandi differenze di reddito, come accade negli Stati Uniti. Ricchi e poveri separati da un fattore pari a 500 hanno poche esperienze o interessi in comune, inoltre sono sempre più propensi a farsi coinvolgere in conflitti violenti. 

4. Accorciare la durata della giornata, della settimana e dell’intero anno lavorativo, concedendo la possibilità di scegliere il part-time o attività personali. E’ difficile garantire un’occupazione a tempo pieno per tutti in assenza di una vera e propria crescita. Alcuni paesi industriali assicurano periodi di vacanza e congedi di maternità molto più lunghi rispetto agli Stati Uniti. Per gli economisti di stampo tradizionale, la lunghezza della giornata lavorativa è una variabile chiave attraverso cui il lavoratore (del ceto medio, autonomo o artigiano) bilanciava la disutilità marginale del lavoro con l’utilità marginale del reddito e del tempo libero, in modo tale da massimizzare il benessere. Nell’apice dell’industrializzazione, la lunghezza della giornata lavorativa è diventata un parametro anziché una variabile (e per Karl Marx rappresentava il fattore determinante del tasso di sfruttamento). Noi oggi dobbiamo renderla molto più che una variabile soggetta alla scelta dal lavoratore.

Milton Friedman rivendicava la “libertà di scegliere”; tuttavia, questa è una scelta importante che la maggior parte di noi non può fare! A tal fine, dovremmo porre fine ai condizionamenti che gravano sulla scelta lavoro/tempo libero con pubblicità che incentivano un incremento dei consumi e, di conseguenza, ritmi di lavoro sempre più frenetici per poterli sostenere. Come minimo, la pubblicità non dovrebbe più essere trattata come una spesa deducibile dalle spese di produzione. 

5. Regolamentare nuovamente il commercio internazionale allontanandoci da modelli che impogono libero mercato, libera circolazione dei capitali e globalizzazione. Modelli basati su tetto massimo-aste-scambi commerciali, una riforma fiscale ecologica e altri provvedimenti nazionali che internalizzano i costi ambientali determineranno un aumento dei prezzi, mettendoci in una situazione di svantaggio competitivo su scala internazionale rispetto ai Paesi che non internalizzano i costi. Pertanto, dovremo applicare misure di compensazione per proteggere le efficaci politiche nazionali in materia di internalizzazione dei costi dall’abbassamento degli standard a causa della concorrenza con le imprese straniere non soggette al pagamento dei costi sociali e ambientali delle proprie attività.

Questo “nuovo protezionismo” è molto diverso dal “vecchio protezionismo”, nato per proteggere una classe aziendale nazionale inefficiente dai concorrenti esterni più efficienti. La prima regola dell’efficienza è “prendere in considerazione tutti i costi” anziché il “libero mercato”, il quale, insieme alla libera circolazione dei capitali, determina una competizione che causa l’abbassamento degli standard finalizzato alla riduzione dei costi. L’imposizione di tariffe rappresenterà inoltre una buona fonte di entrate pubbliche. Ciò sarà in conflitto con l’Organizzazione mondiale del commercio, con la Banca Mondiale  il Fondo Monetario Internazionale, quindi…

6. Declassare l’Organizzazione mondiale del commercio, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Riformare queste organizzazioni sulla base di un piano simile a quello proposto da Keynes, che prevedeva un sistema di pagamenti multilaterali di compensazione, addebitando delle penali sul surplus nonché sui deficit di bilancio – cercare un equilibrio nel conto delle partite correnti, evitando così ingenti debiti esteri e il trasferimento dei capitali. Ad esempio, secondo il piano di Keynes, gli Stati Uniti dovrebbero pagare una penale di compensazione per l’ampio deficit, e anche la Cina sarebbe tenuta a pagare una sanzione simile a causa del surplus. I Paesi che si collocano su entrambi i lati dello squilibrio sarebbero perciò incentivati a riequilibrare i loro capitali per mezzo di sanzioni finanziarie e, se necessario, modificando i tassi di cambio relativi al conto di compensazione, un meccanismo chiamato”bancor” da Keynes.

Il bancor potrebbe anche fungere da valuta di riserva mondiale, un privilegio che non può spettare ad alcuna moneta nazionale, compreso il dollaro statunitense. Lo status di valuta di riserva conferito al dollaro è un beneficio per gli Stati Uniti, esattamente come un camion carico di eroina gratuita rappresenta un vantaggio per un tossicodipendente. Il bancor corrisponde all’oro nel sistema aureo, solo che non è necessario scavare per estrarlo. In alternativa, un regime di libera fluttuazione dei tassi di cambio è una possibilità praticabile che richiede un minore sforzo di cooperazione internazionale.

7. Passare dalla riserva frazionaria a un sistema di mantenimento delle riserve equivalenti ai depositi. Ciò consentirebbe di trasferire il controllo degli aggregati monetari e del signoraggio (il profitto realizzato da chi emette moneta legale) nelle mani del governo, anziché delle banche private, le quali così non avrebbero più la possibilità di vivere il sogno degli alchimisti, creando denaro dal nulla e utilizzandolo per prestiti a interesse. Tutti gli istituti finanziari dovrebbero conformarsi a questo regolamento, proprio come le banche commerciali soggette al mantenimento delle riserve equivalenti ai depositi. Le banche ricaverebbero profitto solo dall’intermediazione finanziaria, prestando il denaro dei risparmiatori (applicando un tasso di prestito superiore a quello pagato per i risparmi o per i depositi a tempo) e addebitando i costi delle attività di controllo, sicurezza e altri servizi.

Con il mantenimento delle riserve equivalenti ai depositi, ogni dollaro prestato sarebbe un dollaro precedentemente risparmiato da un depositante (il quale non è a sua disposizione durante il periodo del prestito), ristabilendo così l’equilibrio classico tra risparmio e investimenti. Con il credito limitato dal precedente risparmio (astinenza dai consumi), ci saranno meno attività creditizie e prestiti e il tutto sarà svolto con maggiore attenzione – non verranno più impiegati crediti facili per finanziare l’acquisto massiccio di “beni” che non sono altro che scommesse su debiti incerti.

Per compensare il calo del denaro fruttifero creato dalle banche, il governo può farsi carico di alcune delle sue spese con l’emissione di più moneta legale non fruttifera. Tuttavia, dovrà rispettare un limite rigoroso imposto dall’inflazione. Se il governo emette più soldi di quanto i cittadini intendano volutamente trattenere, la gente li utilizzerà per l’acquisto di merci, determinando un aumento dei prezzi. Non appena l’indice dei prezzi comincia a salire, il governo deve stampare meno e tassare di più. Pertanto, una politica di mantenimento di un indice dei prezzi costante determinerebbe il valore interno del dollaro. Il Tesoro sostituirebbe la Fed e la variabile target della politica sarebbe rappresentata dagli aggregati monetari e dall’indice dei prezzi, anziché dal tasso di interesse. Il valore esterno del dollaro verrebbe lasciato in balia della libera fluttuazione dei tassi di cambio (o, preferibilmente, al tasso definito rispetto al bancor, nel sistema di compensazione di Keynes).

8. Non considerare la “scarsità” come se fosse gratis e la “gratuità” come se fosse scarsa. Affidare le rimanenti riserve pubbliche di beni rivali naturale (ad esempio, l’atmosfera, lo spettro elettromagnetico e i terreni pubblici) alle autorità pubbliche e stimarli secondo i sistemi basati sul meccanismo tetto massimo-aste-scambi commerciali, oppure tassarli. Allo stesso tempo, liberare dai confini privati e dai prezzi il ricco bagaglio di conoscenze e informazioni non rivali.

La conoscenza, infatti, a differenza della produzione delle risorse, non viene divisa quando è condivisa, ma piuttosto moltiplicata. Una volta raggiunta una certa conoscenza, il costo della sua diffusione è pari a zero e tale dovrebbe essere anche il suo prezzo di allocazione. Gli aiuti allo sviluppo internazionale dovrebbero assumere sempre più la forma di conoscenza liberamente e attivamente condivisa, insieme a piccoli sussidi, e sempre meno quella di ingenti prestiti fruttiferi.

La condivisione delle conoscenze costa poco, non crea debiti non saldabili e aumenta l’efficienza dei fattori di produzione rivali e scarsi. Il monopolio dei brevetti (vale a dire i “diritti di proprietà intellettuale”) dovrebbe riguardare un numero minore di “invenzioni”, riducendo altresì il periodo di validità. La produzione di nuove conoscenze dovrebbe beneficiare sempre più dei finanziamenti pubblici: solo così la conoscenza sarà liberamente condivisa. La conoscenza è un prodotto sociale cumulativo e molte scoperte basilari per l’uomo, come ad esempio le leggi della termodinamica, la doppia elica del DNA e il vaccino antipolio, non sono coperte da monopolio, brevetti e diritti di proprietà intellettuale.

9. Stabilizzare la popolazione. Puntare a un equilibrio in cui le nascite e gli immigrati corrispondano ai decessi e agli emigrati. Questa è una questione controversa e difficile, tuttavia inizialmente l’utilizzo volontario di contraccettivi dovrebbe essere diffuso in tutto il mondo. Inoltre, mentre ogni nazione discute sulla possibilità di accogliere molti o pochi immigrati, decidendo a chi assegnare la priorità, tale dibattito diventa irrilevante se le leggi sull’immigrazione non vengono applicate. E’ necessario sostenere la pianificazione familiare volontaria e l’attuazione di leggi ragionevoli sull’immigrazione, emanate democraticamente.

10. Riformare la contabilità nazionale – scindere il PIL in calcolo dei costi e calcolo dei benefici.  Il consumo di capitale naturale e le “spese difensive purtroppo necessarie” appartengono al calcolo dei costi. È necessario confrontare i costi e i benefici di una produzione in crescita ai margini e fermare la crescita della produttività quando i costi marginali sono pari ai benefici marginali. Oltre a questo approccio oggettivo, è necessario riconoscere l’importanza degli studi soggettivi che dimostrano come, oltre una certa soglia, un’ulteriore crescita del PIL non si traduca in un aumento della felicità autopercepita. Oltre un livello già raggiunto in molti Paesi, la crescita del PIL non offre una maggiore felicità, bensì continua a generare sfruttamento delle risorse e inquinamento. Non dobbiamo credere che la crescita del PIL rappresenti una crescita economica, ma dimostrare almeno che non si tratti di una crescita antieconomica.

Attualmente queste politiche vanno al di là del mero ambito politico. Ringrazio il lettore per la volontaria sospensione dello scetticismo politico: solo dopo un fatto eclatante, una dolorosa dimostrazione empirica del fallimento dell’economia basata sulla crescita, verrà presa in considerazione l’adozione di questo programma di dieci punti, o di un altro simile.

Certamente, il cambiamento concettuale necessario per passare da un’economia basata sulla crescita a un’economia di stato stazionario è radicale. Alcune di queste proposte sono piuttosto tecniche e richiedono ulteriori approfondimenti e analisi. Non è possibile prescindere dallo studio dell’economia, anche se, come disse Joan Robinson, il motivo principale per cui si studia economia è per non essere ingannati dagli economisti.

Tuttavia, le politiche necessarie sono tutt’altro che rivoluzionarie e sono si prestano a un’applicazione graduale. Ad esempio, il mantenimento delle riserve equivalenti ai depositi è una misura proposta nel 1930 dalla Scuola di Chicago di stampo conservatore e può essere adottata gradualmente, così come la gamma di disuguaglianze distributive può essere limitata a poco a poco e le soglie massime possono essere definite gradatamente.

Inoltre, questione ancora più importante da sottolineare, queste misure si basano su istituzioni conservatrici quali la proprietà privata e un’allocazione decentralizzata. Le politiche qui descritte riaffermano semplicemente i pilastri dimenticati di queste istituzioni, vale a dire: (1) la proprietà privata perde la propria legittimità quando è distribuita in modo troppo iniquo; (2) i mercati perdono la propria legittimità se i prezzi non rispecchiano fedelmente il costo-opportunità e, come abbiamo appreso recentemente, (3) la macro-economia diventa un’assurdità se viene utilizzata per crescere oltre i limiti biofisici della Terra.

Ben prima di raggiungere l’estremo del limite biofisico, siamo in presenza del classico limite economico in cui i costi supplementari della crescita tendono a superare i vantaggi aggiuntivi, inaugurando così l’era della crescita antieconomica, la cui esistenza viene tenacemente negata dai teorici della crescita.

La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza ha annullato le virtù tradizionali della proprietà privata, conferendo quasi tutti i benefici della crescita a un’élite corrispondente all’1% circa della popolazione, ma dividendo generosamente i costi della crescita tra i poveri. Forti disuguaglianze, monopoli, sussidi, scappatoie fiscali, falso in bilancio, esternalizzazione dei costi promossa dalla globalizzazione e frodi finanziarie hanno reso i prezzi di mercato insensati come misure di costo-opportunità. Ad esempio, una politica di tassi di interesse vicino allo zero (alleggerimento quantitativo) finalizzata a trainare la crescita e salvare le grandi banche ha eliminato il tasso di interesse come misura del costo-opportunità del capitale, minando in tal modo l’efficienza degli investimenti.

Tentare di mantenere il cosiddetto sistema Ponzi basato sulla crescita è molto più surreale rispetto a un’inversione di marcia verso un’economia di stato stazionario secondo quanto emerge dalle politiche qui delineate. Probabilmente è troppo tardi per fuggire le naturali e inevitabili conseguenze dell’irrealismo. Tuttavia, mentre siamo prostrati e disoccupati, cercando di assorbire il duro colpo, potremmo pensare ai principi in grado di dare inizio alla ricostruzione.

Da CASSE. Traduzione a cura di Valentina Legnani, Valentina Legnani Traduzioni