Agli italiani piace l’economia circolare impossibile, quella senza industria

Per il 63% dei cittadini intervistati da Lorien Consulting il rifiuto differenziato non va trattato attraverso processi industriali per riciclarlo e produrre nuovi manufatti

[21 Giugno 2017]

Per le intrinseche possibilità esplicative il concetto di economia circolare ha rapidamente conquistato i cuori ambientalisti del mondo, italiani compresi, ma è solo l’ultimo di una ricca serie di termini che sono andati affastellandosi nel corso degli anni: sviluppo sostenibile, green economy, blue economy, decrescita o economia circolare sono solo alcuni degli esempi possibili, spesso usati come sinonimi nel linguaggio colloquiale e purtroppo non sempre compresi appieno – con colpa evidente della categoria professionale cui appartiene chi scrive –  da una fetta rilevante della popolazione.

Un esempio lampante arriva oggi dal IV Ecoforum in corso a Roma – una manifestazione d’eccellenza nel settore, organizzata da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club –, dove è stata presentata la ricerca condotta da Lorien Consulting sulla sensibilità ambientale degli italiani, indagata in varie forme.

Da quanto emerge dalla ricerca, spiegano da Legambiente, per gli italiani le principali minacce ambientali sono legate all’inquinamento atmosferico (39%), a quello industriale, delle acque e dei terreni (33%), alla gestione inefficiente dei rifiuti (32%). Proprio il tema dei rifiuti preoccupa molto i cittadini: il 21% si informa su come acquistare prodotti con limitato uso di imballaggi, il 26% su come risparmiare nei consumi domestici, il 62% si informa il più possibile su come fare in maniera corretta la raccolta differenziata per il riciclo. Tendenze che, all’interno delle limitate possibilità di un sondaggio, lasciano intravedere una larga predisposizione verso comportamenti ambientalmente virtuosi da parte degli italiani. Cosa succede però appena l’attenzione si sposta appena al di là della raccolta differenziata? Un improvviso blackout.

Sarà per come è stata formulata la domanda, per l’assai scarsa fiducia risposta nel tessuto imprenditoriale nazionale o per semplice ignoranza, ma di fronte all’indagine Lorien Consulting solo il 37% dei cittadini ha risposto che «il rifiuto differenziato va trattato attraverso processi industriali per riciclarlo e produrre nuovi manufatti», mentre un altro 25% preferirebbe «modificarlo e riutilizzarlo senza intraprendere nuovi processi industriali».

Per quanti abbiano una minima dimestichezza col tema, risulta evidente la tendenza impossibile che serpeggia tra queste risposte, quella a voler coniugare la proverbiale botte piena con la moglie ubriaca. Basterebbe osservare con attenzione i rifiuti amorevolmente differenziati all’interno dei propri, casalinghi cestini per giungere a conclusioni opposte: solo il riciclo – che è un processo industriale per definizione – può ambire a ridare valore ai quei rifiuti, che senza industria rimarrebbero null’altro che spazzatura. Una frazione dei rifiuti urbani (ancor più piccola guardando ai soli rifiuti da imballaggio, ovvero l’oggetto della nostra raccolta differenziata) può effettivamente evitare di percorrere le strade del riciclo per imboccare quelle ancor più nobili del riuso, ma si tratta – appunto – di una frazione.

Per quanto riguarda la stragrande maggioranza delle 29,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotte in Italia in un solo anno, se non si vuole destinarle alla discarica (o nel migliore dei casi alla termovalorizzazione, anch’essa però invisa a gran parte della cittadinanza) è necessario passare per l’industria. E ciò è tanto più vero per le altre 130,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali prodotte sempre in Italia ogni anno.

Per le istituzioni, il sondaggio presentato all’Ecoforum dovrebbe suonare come un potente campanello d’allarme: inutile riempirsi la bocca di economia circolare, se al 63% degli italiani non si è saputo neanche spiegare che cosa sia.

L. A.