«Più del conflitto nell’uso del suolo tra industria e turismo, sembrerebbe qui prevalere un conflitto tra uso di suolo e uso di lavoro»

Alla costa mancano ancora 16mila posti di lavoro per colmare il gap col resto della Toscana

Per l’Irpet sono i settori della logistica e del terziario avanzato i principali strumenti da poter valorizzare oltre al turismo e l’agroalimentare

[19 Luglio 2019]

Nonostante timidi passi avanti negli ultimi anni, perché le province della costa toscana possano raggiungere il tasso di occupazione medio della regione la strada da fare è ancora lunga: secondo lo studio Irpet presentato stamani a Pisa servirebbero 16 mila posti di lavoro aggiuntivi, con solo Pisa, Grosseto e Orbetello che sono già oggi oltre l’asticella. È questa la fotografia scatta dall’Istituto regionale programmazione economica della Toscana, secondo il quale per tirare la costa fuori dalle secche – le cui origini affondano lontano nel tempo, a partire dalla crisi che ancora oggi caratterizza l’industria pesante, a lungo gestita dalle partecipazioni statali, o in quella legata allo sfruttamento di importanti dotazioni naturali come per l’attività mineraria – gli strumenti più utili stanno nella logistica. «I problemi rimangono, c’è molto ancora da lavorare – commenta il governatore Enrico Rossi – Ma in tre anni abbiamo già recuperato duemila posti di lavoro e se riuscissimo a portare l’occupazione della costa al pari del resto della Toscana saremmo in grado di superare di slancio la altre regioni del nord».

Ad oggi ci sono almeno due coste – quella dal nord al centro fino a Piombino, dove alle attività industriali si alternano attività portuali (ma anche turistiche), e quella a sud, dove prevale la vocazione al turismo e quella agricola – con nel mezzo l’area metropolitana di Livorno e Pisa trainata dal terziario avanzato a fare da cerniera. Ombre e luci, con il peso delle imprese più dinamiche (quelle cioè che anche in questi ultimi anni hanno segnato dinamiche positive di occupazione e fatturato) è ben più basso di quello che l’area ha in termini demografici. Ma pur nella percezione di molti elementi di debolezza, conclude l’Irpet, la costa resta un’area dalle elevate potenzialità.

Come sottolineano dalla Giunta regionale «il turismo (sulla costa già si concentra il 40% delle presenze ufficiali in Toscana, ndr) e l’agroalimentare, sviluppato soprattutto nei territori più a sud della regione, sono sicuramente volani di crescita importanti. Ma è la logistica appunto, sommata al valore aggiunto di un terziario avanzato e con funzioni di elevata specializzazione ed alto potenziale di innovazione come quello presente nell’area metropolitana di Pisa e Livorno, che è in grado di fare la differenza e contribuire significativamente a colmare il divario di posti di lavoro tra costa e Toscana centrale».

Lo stato dell’arte mostra che oggi Livorno è con Ravenna il terzo porto italiano e registra dal 2010 ad oggi una rilevante intensificazione dei flussi, legati soprattutto ai cosiddetti traffici Ro-Ro, cioè dei carichi imbarcati ma che viaggiano su ruote, di merci varie e di container. Piombino si connota invece come un porto polifunzionale, dedicato al traffico di merci alla rinfusa e al traffico passeggeri con l’isola d’Elba, la Sardegna e la Corsica, mentre quello di Marina di Carrara è particolarmente attrezzato per il traffico dei marmi. «Perché i porti possano crescere – sintetizzano dalla Giunta – è necessario rafforzarli e ammodernarli velocemente e completare le infrastrutture stradali e ferroviarie che mancano e che meglio li colleghino all’entroterra e al resto della regione e non solo. Occorre quindi portare a termine, spiega Irpet, la Darsena Europa a Livorno e l’accesso diretto alla linea ferroviaria, è necessario potenziare gli altri porti di Piombino (banchine, aree, fondali) e di Carrara (waterfront, dragaggio, passo d’accesso). Occorre ultimare la strada Tirrenica e la Fano-Grosseto per collegare la costa toscana all’Adriatico: tutte opere di cui si parla da tempo e su cui continuano ad esserci talvolta rallentamenti ed incertezze per scelte che vanno oltre i confini regionali».

Di certo quanto fatto finora non basta. L’insieme degli investimenti programmati sulla costa – e in alcuni casi già avviati – vede tre miliardi di euro di risorse impegnate, capaci di creare oltre 58 mila posti di lavoro l’anno (40 mila nella regione) e di questi più di metà nelle province costiere; il Pil generato sarà di oltre 3,2 miliardi, di cui più di 2,1 in Toscana. Seimila posti di lavoro, stima con una previsione assai cauta Irpet, rimarranno a regime anche dopo l’ultimazione dei lavori: sono sempre diecimila in meno rispetto ai 16mila necessari per colmare il gap con il dato medio regionale.

Il problema principale resta quindi quello dell’occupazione dei residenti, in parte ridimensionato dal fatto che una parte di loro il lavoro lo trova spostandosi quotidianamente verso sistemi locali più dinamici alimentando significativi movimenti pendolari. Un dato di fatto apparentemente banale, ma che stimola una più ampia riflessione in merito alla necessità di andare a incedere sulla sostenibilità anche sociale del modello di sviluppo finora applicato lungo la fascia costiera, dove la dicotomia non è – come apparentemente potrebbe sembrare – tra turismo e industria, ma tra «uso di suolo e uso di lavoro» per dirla con l’Irpet: «Le attività che nel corso degli anni vi si sono localizzate, al di là delle alterne fortune realizzate, sono spesso ad alta intensità di capitale e fanno largo uso di territorio, lasciando minori opportunità per il lavoro. Le scelte residenziali, molte attività produttive dell’industria pesante (la siderurgia, la chimica e petrolchimica, l’energia) fanno del territorio una risorsa scarsa su cui il lavoro ha maggiori difficoltà a trovare spazio. Anche il turismo in realtà opera in tale direzione dal momento che, al di là dello spazio coperto dalle strutture ricettive, richiede ampi spazi liberi da insediamenti di vario tipo, facendo del paesaggio un importante fattore di competitività. Ne sono una dimostrazione i prezzi medi delle aree che, dopo quelli dell’area fiorentina, sono tra i più alti della Toscana (e quindi d’Italia). Più del conflitto nell’uso del suolo tra industria e turismo, sembrerebbe qui prevalere un conflitto tra uso di suolo e uso di lavoro, ad oggi conclusosi a favore del primo; tanto che, come abbiamo visto, una parte dei residenti è costretto a spostarsi quotidianamente su altri territori per motivi di lavoro».