Rapisarda: «Interessante e forte correlazione fra l’impatto della pandemia e diversi fattori, tra cui l’inquinamento e le temperature invernali»

Altri due studi indagano le correlazioni tra inquinamento atmosferico e Covid-19 in Italia

Becchetti: «I coefficienti delle nostre stime indicherebbero che la differenza tra province a più alte polveri sottili (in Lombardia) e a più basse polveri sottili (in Sardegna) è di circa 1.200 casi e 600 morti in un mese. Sotto ragionevoli assunzioni sul vero tasso di contagio e di letalità nel Paese questo dato implicherebbe un raddoppio del rischio di mortalità»

[14 Aprile 2020]

Continua a crescere la quantità di ricerche scientifiche volte a indagare i legami tra l’inquinamento atmosferico e l’impatto della pandemia Covid-19 nel nostro Paese, che sta colpendo in modo particolarmente feroce la pianura padana, una delle aree geografiche più inquinate d’Europa.

Nella ricerca Understanding the Heterogeneity of Adverse COVID-19 Outcomes: the Role of Poor Quality of Air and Lockdown Decisions, pubblicata in via preliminare da quattro ricercatori italiani delle Università di Roma Tor Vergata, Torino e Oxford, part dal presupposto che «l’esposizione prolungata alle polveri sottili renda i polmoni più fragili e propensi a forme croniche d’infiammazione. Molti studi – spiega ad Avvenire l’economista Leonardo Becchetti, prima firma della ricerca – che trovano in diverse parti del mondo significative correlazioni tra intensità delle polveri sottili ed ospedalizzazioni d’emergenza per polmoniti suggeriscono che può essere questa una delle cause che trasforma una malattia polmonare da asintomatica a grave».

Questo naturalmente non significa che l’inquinamento atmosferico sia la prima variabile da ricercare per misurare l’impatto della pandemia da Covid-19, ma dai risultati della ricerca sembra emergere la possibilità di un ruolo significativo esercitato dal particolato (PM): «Le stime dell’impatto delle diverse variabili sui due mesi di dati giornalieri a livello provinciale su decessi e contagio suggeriscono che il virus ha trovato terreno fertile nella combinazione di mancato distanziamento sociale e scarsa qualità dell’aria. Più in dettaglio – argomenta Becchetti – i coefficienti delle nostre stime indicherebbero che la differenza tra province a più alte polveri sottili (in Lombardia) e a più basse polveri sottili (in Sardegna) è di circa 1.200 casi e 600 morti in un mese. Sotto ragionevoli assunzioni sul vero tasso di contagio e di letalità nel Paese questo dato implicherebbe un raddoppio del rischio di mortalità. A risultati simili è pervenuto un gruppo di ricerca di Harvard che ha studiato il fenomeno nelle contee degli Stati Uniti».

La ricerca A Novel Methodology for Epidemic Risk Assessment: the case of COVID-19 outbreak in Italy è invece, anch’essa pubblicata in via preliminare, è frutto del lavoro di un gruppo di ricercatori dell’Università di Catania, e si propone di indagare le correlazioni tra Covid-19, inquinamento atmosferico e molti altri fattori: «Il rischio epidemico è più elevato in alcune delle regioni settentrionali dell’Italia rispetto alla parte centrale e meridionale. Da una analisi basata sui dati ufficiali messi a disposizione da parte dell’Istat, dell’Istituto superiore della Sanità e di altre agenzie europee si è trovata – spiega Andrea Rapisarda, associato di Fisica teorica dell’Università di Catania – una interessante e forte correlazione fra l’impatto della pandemia da Covid-19 e diversi fattori che caratterizzano in maniera diversa le regioni italiane quali inquinamento atmosferico da PM10, temperatura invernale, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere e densità abitativa».

Tenendo conto di queste variabili i ricercatori catanesi hanno dunque elaborato un indice di rischio epidemico che «spiega in particolare perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo molto di più rispetto al centro-sud. D’altra parte queste sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali, come rivelano i dati dell’Iss».

«Questo studio, se da una parte ci fa capire perché il nord Italia sia tendenzialmente sempre più a rischio per quanto riguarda le epidemie, dall’altra lascia ben sperare per il centro-sud, dove molto probabilmente l’impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati – concludono i ricercatori – Questo studio potrebbe anche essere utile per immaginare delle possibili riaperture graduali del Paese che, secondo questa logica, potrebbero partire proprio da quelle regioni con un rischio epidemico minore».