Presentato a Roma il rapporto di Legambiente Comuni rinnovabili 2019

Altro che lavoro e lotta ai cambiamenti climatici, in Italia le rinnovabili sono ferme

Dopo 12 anni di continua crescita nell’ultimo anno si è addirittura ridotto il loro contributo (grande idroelettrico escluso) alla produzione di energia elettrica nazionale, e i posti di lavoro sono calati a 80mila dai 125.400 raggiunti nel 2011

[14 Maggio 2019]

Il rapporto Comuni rinnovabili 2019, presentato oggi a Roma da Legambiente, offre purtroppo un resoconto amaro sulle energie pulite italiane: dopo 12 anni di continua crescita nell’ultimo anno si è addirittura ridotto il contributo delle “nuove” rinnovabili alla produzione di energia elettrica nazionale, perché i vecchi impianti stanno perdendo di efficienza – soprattutto nel caso del fotovoltaico – mentre di nuovi ne vengono installati sempre meno. In continuità con gli ultimi cinque anni anche nel 2018 in Italia le installazioni sono infatti cresciute pochissimo – ad esempio sono solo 478 i MW di solare fotovoltaico e 562 quelli di eolico nel 2018 – valori assolutamente inadeguati perfino a raggiungere i limitati obiettivi al 2030 della Sen e del nuovo Piano energia e clima (Pniec).

Certo, in dieci anni la produzione da rinnovabili è cresciuta di oltre 50 TWh, con un contributo che è passato dal 15 al 35,1% rispetto ai consumi elettrici e dal 7 al 18% in quelli complessivi, ma ormai da troppi anni le fonti rinnovabili crescono con ritmi molto inferiori rispetto al passato e il trend non mostra inversioni di rotta. «È l’assenza di una prospettiva per il futuro che preoccupa rispetto a questi dati», spiegano da Legambiente. E nel mentre le conseguenze dello stallo si pagano. Escludendo l’apporto fornito dal grande idroelettrico – impianti storici che hanno garantito più elettricità rispetto al 2017, l’anno più siccitoso per l’Italia da oltre due secoli a questa parte –, nel 2018 si registra un calo del 5,5% nel contributo delle rinnovabili ai consumi elettrici, a causa di una diminuzione della produzione delle bioenergie (-0,8%), della geotermia (-1,9%), del fotovoltaico (-4,7%) e dell’eolico (1,4%). Un pessimo segnale, che si ripercuote non solo nella lotta ai cambiamenti climatici ma anche in termini di mancati posti di lavoro.

Mentre nel mondo sono oltre 7,7 milioni i lavoratori nel comparto delle energie pulite, con in testa la Cina (3,3 milioni), in Europa è la Germania (260mila) il Paese con più occupati nelle rinnovabili, seguita da Francia e Regno Unito; in Italia invece sono sì più di 80mila, ma con un calo rilevante rispetto ai 125.400 raggiunti nel 2011, per il taglio degli incentivi e per l’assenza di una prospettiva di investimento per il futuro. E pensare che diversi studi ormai hanno evidenziato come una prospettiva duratura di innovazione energetica potrebbe portare gli occupati nelle rinnovabili nel nostro Paese a 200mila unità e quelli nel comparto dell’efficienza e riqualificazione in edilizia a oltre 400mila. Per stare davvero dentro gli obiettivi fissati con l’Accordo di Parigi sul clima occorre dunque rilanciare subito gli investimenti nel settore: la buona notizia è che tutti gli studi dimostrano che quegli obiettivi (-55% delle emissioni al 2030) sono raggiungibili nel nostro Paese e porterebbero benefici pari a 5,5 miliardi di euro all’anno e alla creazione di 2,7 milioni di posti di lavoro come dimostrato da una ricerca realizzata da Elemens per Legambiente. Quel che manca è una politica industriale coerente: il calo delle rinnovabili negli ultimi anni non è dovuto solo al taglio degli incentivi, ma anche – sottolineano dal Cigno verde – alle barriere, anche non tecnologiche, che trovano i progetti nei territori.Ad esempio il tema delle autorizzazioni e del consenso locale rimane ancora un buco nero delle procedure italiane, da affrontare quanto prima anche per il revamping degli impianti esistenti.

«Il 2019 sarà un anno fondamentale – commenta Katiuscia Eroe, responsabile Energia del Cigno verde – perché queste decisioni dovranno essere messe nero su bianco nella versione finale del Piano energia e clima, da presentare a dicembre a Bruxelles, che dovrà fissare la traiettoria degli obiettivi e delle politiche al 2030 e poi di completa decarbonizzazione. Fino ad oggi è mancato un dibattito pubblico su quanto questi obiettivi siano intrecciati con le risposte di cui il nostro Paese ha bisogno per uscire dalla crisi. La prospettiva della generazione distribuita è fondamentale anche perché è una risposta locale a problemi globali che si può applicare ovunque».

Da questo punto di vista, una molla potente può arrivare dall’applicazione della direttiva europea 2018/2001. «Non possiamo più aspettare: lo sviluppo delle rinnovabili in Italia è praticamente fermo e non ha alcun senso rinviare una scelta che può fermare la febbre del pianeta ed è nell’interesse dei cittadini, delle imprese – dichiara Edoardo Zanchini vicepresidente di Legambiente – L’Europa ha definito principi e regole per le comunità energetiche e i prosumer (produttori-consumatori) di energia da fonti rinnovabili, grazie alle quali saranno smontate le assurde barriere che oggi impediscono di scambiare energia pulita nei condomini o in un distretto produttivo e in un territorio agricolo. In più si aprirebbero le porte a investimenti innovativi che tengono assieme fonti rinnovabili, efficienza energetica, sistemi di accumulo e mobilità elettrica. La sfida è dunque di entrare al più presto nel merito delle scelte concrete da compiere e che Governo e Parlamento si impegnino a recepire entro il 2019 la direttiva europea».

L’orizzonte per il Paese è quello già raggiunto in molti Comuni: grazie al mix di impianti presenti sul territorio ben 3.054 municipi sono diventati autosufficienti per i fabbisogni elettrici e 50 per quelli termici, mentre sono 41 le realtà che sono già nel futuro, perché sono già rinnovabili al 100% per tutti i fabbisogni delle famiglie. Si può fare dunque, basta volerlo.