Cina, 600 miliardi di dollari l’anno per la green economy: parte la riforma della finanza

Solo il 15% delle risorse sarà pubblico: il sistema finanziario deve incanalare i capitali pazienti

[6 Settembre 2016]

Per la Cina la transizione verso un modello di sviluppo più verde rappresenta una sfida monumentale, sia per la vastità del territorio considerato sia per la necessità di risorse finanziarie. Ammontano a 600 miliardi di dollari gli investimenti stimati come necessari, ogni anno, da indirizzare verso il settore delle bonifiche ambientali come in quello dell’efficienza energetica, delle rinnovabili come dei trasporti sostenibili. Appena il 15% di tale, ciclopica somma arriverà dalle casse pubbliche. Sarà dunque centrale per la Cina la capacità di riorganizzare il proprio sistema finanziario – che recentemente ha dato prova di elevata volatilità, soprattutto nel settore delle materie prime – in modo da catalizzare le necessarie risorse verso lo sviluppo sostenibile.

È quanto sostengono sulle colonne di Project syndicate Ma Jun e Simon Zadek, rispettivamente capo economista al Research bureau alla People’s Bank of China e co-direttore dell’Unep Inquiry into design options for a sustainable financial system, analizzando i risultati emersi dal G20 di Hangzhou, appena concluso. «La buona notizia – sottolineano – è che i leader cinesi ora sembrano riconoscere che devono tutelare l’ambiente prima che la Cina raggiunga lo status di Paese ad alto reddito».

Alla vigilia del summit G20, il presidente cinese ha presieduto alla decisione del Central leading group for comprehensively deepening reforms volta a trasformare il sistema finanziario cinese per facilitare gli investimenti verdi: «Le cosiddette “linee guida per la creazione di un sistema finanziario verde” adottata nella riunione rappresentano il primo tentativo al mondo di un pacchetto politico integrato per promuovere un cambiamento ambizioso verso l’economia verde».

Secondo le linee guida, la Cina dovrà sviluppare una vasta gamma di nuovi strumenti finanziari, comprese linee di credito “green”, fondi per lo sviluppo sostenibile, obbligazioni verdi, indici azionari che diano risalto ad elementi di sostenibilità. Inoltre, è prevista la creazione di un Fondo per lo sviluppo verde simile allo United Kingdom’s Green Investment Bank già attivo su suolo britannico.

Altri Paesi si muovono su questa direzione. Non ultima la Francia, che per il 2017 ha già annunciato l’emissione bond verdi, per favorire gli investimenti pubblici in efficienza energetica e rinnovabili. E l’Italia? Nel nostro Paese lodevoli piattaforme come quella degli Stati generali della green economy – che il governo dovrebbe già avere ben presenti – sottolineano da anni la necessità di una finanza verde per piegare le logiche di mercato alla profittabilità a lungo termine garantita da investimenti sostenibili, ma a livello nazionale non si è ancora mossa foglia. Una lacuna che, se non sarà sanata al più presto, rischia di condannare il Paese alla perdita di un (altro) asset indispensabile allo sviluppo sostenibile.