I risultati del biomonitoraggio in corso all'impianto Herambiente di Pozzilli

Come vivono le api vicino a un inceneritore, e cosa ci dicono sui suoi impatti ambientali

«Nei campioni di miele e cera è stata riscontrata la sostanziale assenza di diossine, Pcb, piombo e pesticidi, mentre nella sola cera sono state riscontrate tracce di idrocarburi policiclici aromatici»

[19 Maggio 2021]

In aggiunta al monitoraggio tradizionale degli impatti ambientali legati all’inceneritore di Pozzilli (IS) gestito da Herambiente – per la precisione si parla di termovalorizzatore, dunque con recupero di energia –, dalla primavera 2020 è in corso un progetto di biomonitoraggio (denominato Capiamo) nel perimetro dell’impianto che ha come protagoniste tre arnie e le api che ci vivono: api che nel corso del 2020 hanno prodotti circa 60 kg di miele.

«In questo progetto – spiega Andrea Ramonda, ad di Herambiente – le api sono vere e proprie sentinelle dell’ambiente. Ci eravamo impegnati a comunicare i risultati nella massima trasparenza e tutti i dati sono disponibili anche online sul nostro sito web. Questo biomonitoraggio vuole essere una ulteriore garanzia per la comunità locale, insieme agli studi effettuati fino a ora che hanno sempre dimostrato come questo impianto non produca danni alla qualità dell’aria e all’ambiente».

Più nel dettaglio, il progetto Capiamo prevede due campagne di campionamento e analisi all’anno sulla popolazione delle api dei tre alveari e suoi loro prodotti (miele e cera) presso laboratori accreditati e con metodi certificati. L’area monitorata riguarda 7 kmq a est della Piana di Venafro, tra i monti della Meta e quelli del Matese, dove, oltre al termovalorizzatore, sono presenti industrie del settore chimico, aziende sanitarie private, cantieri edili abbandonati e piccoli centri agricoli abitati.

Il corpo coperto di peli delle api e la regolare attività di bottinamento, cioè la raccolta di nettare e polline, consentono alle singole colonie di svolgere circa 10.000 prelievi giornalieri da aria, acqua e suolo con cui entrano in contatto, coprendo un’area di circa 7 kmq; le sostanze presenti nell’ambiente si accumulano quindi all’interno dell’alveare, sulle api e sui loro prodotti, miele, propoli, cera, polline e pappa reale, rendendo facile e veloce il recupero di campioni altamente rappresentativi da analizzare. L’ape come bioindicatore offre molte informazioni utili sia a breve che a lungo termine: il miele, ad esempio, permette di valutare l’inquinamento nel breve periodo, in quanto costituisce il primo prodotto in cui possono accumularsi i contaminanti; la cera, invece, consente di valutare i livelli di inquinamento a lungo termine, in quanto per la sua natura lipidica può assorbire e trattenere i contaminanti non volatili, lipofili e persistenti

«Anche nel corso della seconda fase di campionamento e analisi effettuata, non sono emerse criticità – spiega Serena M.R. Tulini, il medico veterinario che segue il progetto – Nei campioni di miele e cera è stata riscontrata la sostanziale assenza di diossine, Pcb e pesticidi, mentre nella sola cera sono state riscontrate tracce di idrocarburi policiclici aromatici (Ipa), non presenti nella prima campagna di monitoraggio e che possono essere ragionevolmente associate all’andamento del traffico automobilistico, fortemente ridotto nella primavera 2020 a causa dell’emergenza sanitaria. La presenza dei metalli sia nel miele che nella cera è riconducibile alle tipicità del territorio, caratterizzato dall’abbondanza di marna e dolomite, e alla presenza di diverse attività antropiche. In entrambe le campagne i campioni di miele hanno evidenziato la totale assenza di piombo. In generale i risultati mostrano una condizione ambientale complessivamente buona, a cui contribuiscono più sorgenti emissive come traffico, industria, riscaldamento domestico a biomasse, ecc, tipiche dell’antropizzazione del territorio senza che si evidenzi un’incidenza significativa da parte del termovalorizzatore».

Si tratta dunque di risultati che appaiono coerenti con quanto emerso dal lavoro di ricerca recentemente concluso per Utilitalia dai Politecnici di Milano e di Torino insieme alle Università di Trento e di Roma 3 Tor Vergata, secondo il quale «un impianto di incenerimento ben proget­tato e correttamente gestito, soprattutto se di recente concezione (dagli anni 2000 in poi) emette quantità relativamente modeste di inquinanti e contribuisce poco alle concentrazioni ambientali e, pertanto, non si ha evidenza che comporti un rischio reale e sostanziale per la salute».