Parla Paolo Vinies, noto professore di epidemiologia ambientale all'Imperial College di Londra

Covid-19, alla genesi c’è il degrado della biodiversità. E non finisce qui

"Attraverso la globalizzazione e un uso intensivo del territorio c’è una sempre maggiore vicinanza tra la società umana e la wilderness, la natura selvatica"

[2 Settembre 2020]

Arrivano conferme sulla genesi della pandemia da Sars-CoV-2, ma più in generale del deterioramento continuo della biodiversità con conseguente aumento della zoonosi causa appunto dell’aumento delle malattie che saltano dalla specie animale all’uomo. Una sorta di loop, che stavolta viene corroborato da Paolo Vinies, noto professore di epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra. In sostanza l’uomo viola sempre di più l’habitat naturale e selvatico, entrando sempre più in contatto diretto con animali portatori di malattie che possono attaccarlo e poi, a causa della globalizzazione, mai come in questo momento è capace di tramettere i virus ovunque sul Pianeta.

Vinies di questo parlerà – e intanto lo ha anticipato in una intervista propedeutica all’evento – alla prossima 18° edizione del Festival della Scienza di Genova, uno dei più grandi eventi di divulgazione della cultura scientifica al mondo che si terrà dal 22 ottobre al 1 novembre.

Paolo Vineis si è occupato degli effetti del cambiamento climatico sulla diffusione di malattie, dell’epidemiologia del cancro e delle cause ambientali delle malattie stesse. È un epidemiologo dallo sguardo ampio, che tiene insieme i temi della salute, dell’economia e delle disuguaglianze sociali, tant’è che la sua analisi nasce proprio dalle mutate basi del rapporto uomo-animali selvatici in tutte le sue sfaccettature: “Sembra – comincia il professore –  che in alcune caverne cinesi il 20% dei pipistrelli sia serbatoio di coronavirus. Vi sono villaggi in prossimità di queste caverne e vi sono persone che utilizzano queste caverne ad esempio per raccogliere il guano. Attraverso la globalizzazione e un uso intensivo del territorio c’è una sempre maggiore vicinanza tra la società umana e la wilderness, la natura selvatica. Allo stesso tempo i cambiamenti dell’ambiente, il cambiamento climatico, l’agricoltura intensiva ed estensiva fanno sì che gli stessi animali selvatici abbiano difficoltà a mantenere il loro habitat. Tutto questo facilita il salto di specie. Abitualmente ci sono delle specie intermedie, si suppone il pangolino nel caso di Sars-CoV-2.”

Nella catena causale, che come sottolinea Vineis è ancora solo indiziaria, una volta infettati i primi soggetti umani il passo successivo è la diffusione del virus. “In questo caso la globalizzazione intesa in senso economico ha giocato un ruolo importante, nei termini di accelerato scambio di persone e di beni. Dal 2003, quando abbiamo avuto l’epidemia di Sars, il numero di passeggeri di voli aerei è raddoppiato, quindi ci sono molte più opportunità di trasmissione. Quando l’Oms ha dichiarato lo stato di emergenza di sanità pubblica il 30 gennaio c’erano già stati apparentemente 10.000 casi di infezione in 20 Paesi diversi a causa di questi rapporti ravvicinati tra Paesi”.

L’epidemiologia prende elementi dalla sociologia, demografia e strumenti matematici e biologia molecolare, o virologia e immunologia. Lo scopo è stabilire nessi causali, capire cosa causa la malattia.

“Quando l’epidemiologia studiava le cause delle malattie negli anni ‘50 si concentrava su agenti causali individuali. Ma lo sguardo si è ampliato soprattutto perché abbiamo constatato che ciò che causa la distribuzione delle malattie a livello geografico e temporale sono fenomeni complessi che riguardano il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Di qui si è passati dal prossimale al distale”.

Una tesi che Vineis spiega citando lo studio del suo ex collega, Chris Murray, ora all’università di Washington di Seattle, sul rapporto che c’è tra biodiversità, trasformazioni del suolo, deforestazione, rapporto tra società umane e wilderness, e che ha trovato uno dei maggiori determinanti per la diffusione di nuove malattie infettive nella riduzione della biodiversità”. Non solo, aggiunge, “sono stati condotti altri studi sulla relazione tra i commerci internazionali, l’utilizzo intensivo dei terreni in Paesi a basso reddito e la frequenza di zoonosi. In parole povere, i commerci internazionali di cibo e altri beni, come la gomma, incrementano il rischio di zoonosi. Più del 50% delle zoonosi sono attribuibili all’intervento umano sul territorio, con agricolture intensive e monocolture”.

La situazione è molto serie, come testimonia lo schema sui cosiddetti limiti planetari (planet boundaries) realizzato da Johan Rockstrom dello Stockholm Resilience Center che è molto utile per capire il rapporto proprio tra l’uomo e il suo pianeta: “ci stiamo avvicinando o abbiamo superato quei limiti planetari oltre i quali rischiamo un degrado irreversibile per alcuni settori del pianeta. Questi 9 limiti includono i cicli dell’azoto e del fosforo, per i quali abbiamo già superato la zona rossa, il cambiamento climatico, per il quale siamo nella zona gialla, e la biodiversità, in zona rossa. La riduzione della biodiversità è l’aspetto più pertinente per quanto riguarda l’emergere di zoonosi”.