“Dal campo alla pompa”, Eni e Coldiretti insieme per una rete di rifornimento da biometano

Ma senza una normativa nazionale sull’end of waste gli impianti industriali necessari per produrre il biometano non stanno nascendo. Ferrante: «Siamo bloccati in un vero e proprio paradosso»

[28 Gennaio 2019]

Considerando la disponibilità di scarti agricoli e zootecnici come anche biomasse vegetali e sottoprodotti, il biometano di origine agricola in Italia ha un potenziale da 8,5 miliardi di metri cubi al 2030: praticamente il 12% dei consumi attuali di gas in Italia, portando al contempo evidenti vantaggi ambientali e economici. Un passo in più in questa direzione è stato fatto nei giorni scorsi a Lodi, dove Eni e la maggiore organizzazione di rappresentanza degli imprenditori agricoli a livello italiano ed europeo – Coldiretti – hanno firmato il primo accordo di collaborazione con l’obiettivo di sviluppare nel settore trasporti la filiera nazionale del biometano avanzato, prodotto da rifiuti, valorizzando gli scarti e sottoprodotti ottenuti dall’agricoltura e dagli allevamenti.

Come spiegato alla presenza del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Guido Guidesi, l’obiettivo è la creazione della prima rete di rifornimento per il biometano agricolo “dal campo alla pompa” per raggiungere una produzione di 8 miliardi di metri cubi di gas “verde” entro il 2030, aiutando al contempo l’ambiente e l’economia delle nostre campagne. «Sfruttando gli scarti agricoli delle coltivazioni e degli allevamenti – spiega il presidente di Coldiretti Ettore Prandini – i mini impianti per il biometano possono arrivare a coprire fino al 12% del consumo di gas in Italia. È necessario passare da un sistema che produce rifiuti e inquinamento verso un nuovo modello economico circolare in cui si produce valorizzando anche gli scarti con una evoluzione che rappresenta una parte significativa degli sforzi per modernizzare e trasformare l’economia italiana ed europea, orientandola verso una direzione più sostenibile in grado di combinare sviluppo economico, inclusione sociale e ambiente».

Il biometano deriva dal biogas, che può essere prodotto e consumato nella forma di gas naturale compresso (GNC) o di gas naturale liquefatto (GNL) e può contribuire ad un’importante riduzione delle emissioni di gas serra: «La sostituzione del gas naturale con biometano rappresenterà – conferma il Direttore Generale Refining & Marketing di Eni Giuseppe Ricci – un ulteriore importante passo avanti per la decarbonizzazione dei trasporti. L’accordo con Coldiretti permetterà l’integrazione su tutta la filiera produttiva, rappresentando una grande opportunità di sviluppo sostenibile integrato: non solo ambientale, ma anche economico e sociale».

Un’opportunità che ad oggi si scontra però con un importante quanto incomprensibile ostacolo normativo: la mancanza di norme nazionali end of waste, richieste a gran voce dai professionisti di settore ormai da molti mesi.

«Siamo bloccati in un vero e proprio paradosso – spiega oggi sulle pagine de La nuova ecologia Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club – L’innovazione tecnologica, grazie a cui possiamo usare le risorse in modo molto più efficiente e recuperare materia da quelli che consideravamo rifiuti, consentirebbe di fare moltissime cose che promuovano l’economia circolare – prosegue Ferrante – Il problema è che c’è una forbice che si allarga sempre di più tra ciò che potrebbe essere permesso dall’innovazione tecnologica e ciò che, invece, le norme consentono davvero di fare. In pratica, da un lato lo Stato prevede degli incentivi economici per la produzione di biometano, dall’altro lato sempre lo Stato impedisce la realizzazione degli impianti per produrre questo biometano. Ciò accade perché gli enti locali si rifiutano di fornire le autorizzazioni in attesa dell’emanazione del decreto su end of waste da parte del ministero dell’Ambiente che, nel frattempo, continua a non arrivare per le liti interne alla maggioranza. Va anche detto – chiosa Ferrante – che gli enti locali stanno giocando a mascherarsi dietro l’assenza di questo decreto. Nel senso che potrebbero comunque autorizzare gli impianti anche senza il decreto».