Rilanciamo lo studio di The European House-Ambrosetti, come contributo al dibattito

Dibattiti pubblici per superare le sindromi Nimby e Nimto

Comunicare con efficacia i benefici degli impianti ai territori è fondamentale, ma serve anche una partecipazione attiva da parte dei cittadini

[19 Marzo 2021]

Globalizzazione, possibilità di comunicare in modo rapido e istantaneo e facilità di accesso alle informazioni favoriscono sempre più il consolidamento di una visione “globale” dei fenomeni. Tuttavia, l’ampliamento dei confini e delle percezioni, si scontra con la volontà di preservare il proprio ecosistema di riferimento esemplificata dalla sindrome Nimby (Not in my backyard).

Tale fenomeno, che rappresenta la contestazione da parte dei cittadini verso la realizzazione sul proprio territorio di alcune tipologie di infrastrutture, incide in larga parte sulla difficoltà di adeguare il numero di impianti per il trattamento di rifiuti, la produzione di energia e la depurazione delle acque di cui il nostro Paese è carente.

Secondo l’ultimo censimento realizzato dalla XIII edizione del Nimby Forum, le contestazioni attualmente aperte sono 317, in aumento rispetto al 2004, anno di inizio del monitoraggio, che ne contava 190. Il comparto energetico risulta l’ambito maggiormente contestato, seguito da quello dei rifiuti. Tra le tipologie prevalenti di impianti contestati rientrano: centrale a biomasse (35 impianti contestati); discarica RU (27 impianti contestati); termovalorizzatore (26 impianti contestati, elettrodotto (22 impianti contestati), discarica rifiuti speciali (20 impianti contestati).

Dal punto di vista della distribuzione geografica, nelle Regioni del nord Italia si concentra la maggior parte delle contestazioni con il 46,2% del totale, anche per effetto di un maggior grado di sviluppo economico, industrializzazione e densità di popolazione che causa una maggiore necessità di infrastrutture. La Lombardia ad esempio si posiziona al primo posto con 38 opere contestate, mentre a fondo classifica si trovano il Molise con una singola opera contestata e la Valle d’Aosta a quota zero.

Tra le motivazioni principali per la contestazione rientrano gli effetti sulla qualità della vita (29,6%) e l’impatto sull’ambiente (25,8%) che riguardano più della metà delle opere contestate.

In questo contesto, comunicare con efficacia i benefici degli impianti ai territori è fondamentale. Tuttavia, la comunicazione efficace e la corretta informazione dei territori sono condizioni necessarie, ma non sufficienti, per il superamento della sindrome in questione che necessita di un coinvolgimento e una partecipazione attiva da parte dei cittadini nel processo di progettazione delle opere. È quindi fondamentale mettere a punto meccanismi partecipativi a livello territoriale, al fine di co-progettare l’opera per renderla aderente alle esigenze e accettata dai territori

A questo fine, nel 2016 il dibattito pubblico è stato inserito all’interno del quadro istituzionale (Dpcm 78/2016) all’interno del Codice degli appalti, prendendo ispirazione dalla legge francese del débat publique del 1995. Con riferimento a questa esperienza, in Francia sono stati realizzati 65 dibattiti tra il 1997 e il 2011 e circa due terzi dei progetti sono stati modificati o rivisti seguendo le indicazioni emerse dal confronto consentendo la finalizzazione delle opere previste.

In Italia, il meccanismo del dibattito pubblico prevede la raccolta di osservazioni, proposte e dubbi da parte dei cittadini, associazioni e istituzioni interessate durante le fasi preliminari di progettazione. Tuttavia, lo strumento è reso obbligatorio solo per le grandi opere pubbliche di interesse nazionale e quindi di grande rilievo sia dal punto di vista delle tempistiche che degli investimenti richiesti escludendo di fatto diverse tipologie di impianti per il trattamento dei rifiuti. Anche alla luce delle priorità per la massimizzazione del tasso di riciclo indicate dal Pacchetto economia circolare della Commissione europea, è auspicabile una riduzione delle soglie economiche previste affinché il dibattito pubblico venga attivato anche per gli impianti di riciclo, abilitatori dell’economia circolare.

Dal punto di vista mediatico e di informazione pubblica, è inoltre fondamentale rafforzare il ruolo delle istituzioni locali, delle associazioni ambientaliste e della politica verso il sostegno per la realizzazione degli impianti al fine di superare anche la correlata sindrome Nimto (Not in my terms of office) per cui le amministrazioni locali potrebbero non riscontrare incentivi nel sostenere la realizzazione di un’opera osteggiata dal territorio.

Infine, oltre al coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni di investimento e al supporto da parte delle istituzioni locali, un punto chiave per il superamento del problema consiste nel passaggio dal Nimby al Pimby (Please in my back yard), richiamando il sistema industriale ad un maggiore sforzo per assicurare un’adeguata condivisione con i territori rispetto agli impatti ambientali e paesaggistici, oltre che un sistema di compensazioni concordato di concerto con le comunità.

di The European House – Ambrosetti