Marangoni: «Occorre denunciare una dotazione di impianti di trattamento sul territorio decisamente insufficiente e inadeguata»

Dopo il rogo del Tmb a Roma restano solo impatti ambientali, senza impianti per gestire rifiuti

La centralina di Villa Ada registra valori di Pm10 triplicati, mentre si teme l’emissione di diossina «che 100 inceneritori fanno in un anno»

[13 Dicembre 2018]

Rimane critica la situazione a Roma dopo il rogo divampato nella notte fra il 10 e 11 dicembre nell’impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) dell’Ama di via Salaria 981, domato solo dopo molte ore grazie al lavoro dei Vigili del fuoco, accorsi per spegnere le fiamme all’interno di un capannone di duemila metri quadrati adibito a deposito rifiuti. Da allora l’Arpa Lazio sta documentando  gli inquinanti emessi in atmosfera grazie alla rete di stazioni di monitoraggio posizionate vicine all’impianto, e dai dati raccolti emergono criticità: ieri sera la centralina di Villa Ada – ovvero «la più prossima al Tmb», come sottolinea il presidente di Legambiente Lazio Roberto Scacchi – ha registrato una concentrazione di polveri sottili (Pm10) pari a 56 µgr/mc, a fronte di un limite consentito di 50 µgr/mc. Si tratta di un dato quasi triplicato rispetto a quello che la stessa centralina aveva registrato lunedì (21 µgr/mc).

«Non servivano dati scientifici per dire che la fitta nube, vista e respirata da tutta Roma durante l’incendio della discarica al Salario, fosse chiaramente nociva per la salute», commenta Scacchi, e le preoccupazioni maggiori non solo legate certo al Pm10. «È una catastrofe – commenta Daniele Fortini, ex presidente di Ama e tra i massimi esperti nel settore rifiuti in Italia, oggi alla Geofor di Pisa – l’impianto del Salario è distrutto e andrà demolito, l’Ama e la raccolta di rifiuti a Roma, con un solo impianto funzionante, sono in ginocchio. La combustione di 3mila tonnellate di rifiuti ha sprigionato la quantità di diossina che 100 inceneritori fanno in un anno». Ovvero un po’ meno del triplo di tutti gli impianti di questo tipo ad oggi attivi in Italia (39). Un paradosso per l’amministrazione capitolina guidata da Virginia Raggi, da sempre categoricamente contraria alla realizzazione di un qualsivoglia termovalorizzatore sul territorio.

Come reagirà adesso Roma? Sulle pagine de Il Messaggero la sindaca presenta conferma che il Tmb «non riaprirà più», ma non offre soluzioni concrete al deficit impiantistico. «Realizzeremo un impianto di riciclo creativo – dichiara – un luogo dove le persone possono portare oggetti che non usano e che avranno vita nuova. Potrà essere anche un luogo di aggregazione, in Francia li chiamano repair cafè». Ovvero un centro per favorire il riuso, ma che non ha chiaramente niente a che vedere con la gestione dei rifiuti finora trattati da Tmb che, ricordiamo, secondo i dati Ispra solo nell’anno è stata fonte di export per circa 51 mila tonnellate di “rifiuti urbani indifferenziati” diretti «a smaltimento» in Austria. Un problema enorme, che finora si è deciso di non affrontare.

«Il Tmb è una tecnologia superata ed è un costo addizionale rispetto ad una destinazione finale, che è in prevalenza ancora la discarica», aggiunge l’economista ambientale Alessandro Marangoni, ad di Althesys e coordinatore del Was report. Difatti sempre l’Ispra documenta che durante il 2017 hanno trattato 10,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (per l’88% indifferenziati), e 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti in uscita sono stati indirizzati in discarica, mentre altri 1,7 a termovalorizzazione.

«Il rogo al Salario, qualunque sia la sua causa, mette in evidenza una mancanza di strategia per il trattamento dei rifiuti sul territorio capitolino. Gli impianti Tmb come quello incriminato – continua Marangoni – si stima costino circa 48 milioni di euro alla municipalità. Gli impianti Tmb rappresentano ad oggi un palliativo, una vecchia toppa, perché trasformano la raccolta indifferenziata per poi poterla trasferire comunque in discarica. Un dispendio di energie e di denaro per un trattamento dei rifiuti sostanzialmente inutile. Manca in molte zone di Italia una vera strategia per la gestione dei rifiuti. Più che puntare il dito su un singolo caso occorre denunciare una dotazione di impianti di trattamento sul territorio decisamente insufficiente e inadeguata». Un tema che proprio l’ultimo Was report è tornato ad affrontare, come pure – ancora più recentemente – lo studio Economia circolare: senza gli impianti vince sempre la discarica realizzato da Ref Ricerche.

L. A.