L’analisi dell’Istituto regionale di programmazione economica della Toscana

È giunto il momento della patrimoniale? Quasi, secondo l’Irpet

«Una volta superata la pandemia, sì a una imposta a regime sui grandi patrimoni, per una lotta simbolica alla disuguaglianza»

[26 Gennaio 2021]

Povertà a disuguaglianza stanno crescendo rapidamente nel mondo, in Italia – come testimoniano i report Oxfam appena pubblicati – e anche in Toscana, dove gli ultimi dati forniti da Regione e Caritas mostrano come la pandemia abbia già fatto cadere in povertà almeno altre 16mila persone solo nella nostra regione.

Una situazione che potrebbe peggiorare ulteriormente nell’anno in corso, come mostrano anche le osservazioni Irpet: la Toscana potrebbe passare da un 3,3% di famiglie in povertà assoluta nello scenario pre-Covid al 5,9% (poco meno di un raddoppio) nello scenario post-Covid senza misure di sostegno al reddito.

All’interno di questo contesto drammatico, si stanno sommando da più parti le proposte di introdurre una tassa patrimoniale, in grado sia di limare le disuguaglianze di ricchezza che gridano ormai vendetta, sia di ricavare gettito utile a sostenere i cittadini meno abbienti e servizi essenziali alla collettività come il Ssn. «È giunto il momento di una patrimoniale?», s’interroga l’Istituto regionale di programmazione economica della Toscana (Irpet) con un’analisi pubblicata sulle proprie pagine.

Saltiamo subito alle conclusioni che propone l’Irpet, prima di indagarne le motivazioni: «Una volta superata la pandemia, sì a una imposta a regime sui grandi patrimoni, per una lotta simbolica alla disuguaglianza. In questa fase, però, no a una nuova imposta patrimoniale come soluzione per contenere i costi della recessione dovuti alla emergenza sanitaria».

Dall’analisi prodotta dall’Irpet prima di giungere a questa sintesi non sembra emergere grande simpatia per uno strumento come la patrimoniale.

Da una parte l’Istituto mostra che «la ricchezza delle famiglie italiane era almeno fino all’avvento della emergenza sanitaria del tutto in linea, se non inferiore, a quella degli altri paesi più sviluppati. In generale, quindi, l’Italia non presenta una anomalia nella dimensione della ricchezza che possa giustificare, da questo punto di vista, l’introduzione di una imposta patrimoniale». Anche il confronto con il gettito degli altri paesi non evidenzia per l’Irpet «una anomalia italiana sul fronte della tassazione sui patrimoni. È vero tuttavia che in Italia non esiste, come ad esempio accade in Francia e Spagna, che rappresentano però due eccezioni, una imposta dall’intento meramente distributivo e applicata ai soli contribuenti più ricchi».

Al contempo, l’Irpet riconosce che «in Italia, la ricchezza netta è concentrata in poche famiglie: il 10% ne possiede circa il 43%, il 5% il 30% e l’1% delle famiglie detiene il 12% della ricchezza totale».

Che fare dunque? Per provare a rispondere, l’Irpet prende in esame tre proposte di patrimoniale avanzate recentemente per il contesto italiano e non solo. La prima è la proposta di un’imposta sulla sola ricchezza finanziaria

avanzata da Guido Ortona insieme ad altri economisti e sociologi e in collaborazione con il Centro Studi Argo di Torino, che secondo i propositori porterebbe a un da oltre 20 miliardi di euro; la seconda proposta è la patrimoniale presentata dai parlamentari Orfini e Fratoianni (e altri, come Rossella Muroni), che si applicherebbe sulla ricchezza complessiva e si affiancherebbe all’abolizione dell’Imu e dell’imposta di bollo sui conti correnti e di deposito: questa patrimoniale, secondo i proponenti, darebbe un gettito di 18 miliardi di euro.

A livello internazionale, invece, Landais et al. (2020) hanno sostenuto la necessità in introdurre un’imposta patrimoniale progressiva europea per mutualizzare i costi della pandemia: ne ricaveremmo un gettito di circa l’1% del Pil se i paesi europei imponessero una aliquota del 1% sulla ricchezza all’1% più ricco della popolazione e del 2% se sopra 1 milione di euro. Piketty aveva già proposto nel 2014 una patrimoniale simile, suggerito di introdurre un’imposta sulla ricchezza globale implementabile in un’aliquota dell’1% tra 1 milione e 5 milioni di euro di ricchezza e del 2% per livelli superiori.

Sulla base delle simulazioni elaborate dall’Irpet «la proposta di Ortona genererebbe un gettito di circa 28 miliardi. Alla formazione di tale valore contribuirebbe meno della metà delle famiglie italiane (ovvero il 45%), a cui sarebbe applicata una esazione media di 2.194 euro. Ma il 50% delle famiglie che dovrebbe versare l’imposta non pagherebbe più di 131 euro. La proposta di Orfini e Fratoianni ricadrebbe, diversamente, su una più bassa proporzione di famiglie, non superiore al 18% . Tali nuclei pagherebbero in media 4.221 euro e il gettito sarebbe di 19 miliardi. L’imposta globale progressiva sul patrimonio proposta da Piketty sarebbe molto più concentrata sui ricchi rispetto a quelle di Orfini e Fratoianni e di Ortona, dato che solo il 6,6% delle famiglie italiane la pagherebbe, con un’imposta media di 16.905 euro all’anno. Il gettito sarebbe pari a circa 29 mld., che corrispondono a 1,8 punti percentuali di prodotto interno lordo».

Si tratta di numeri interessanti, ma secondo Irpet sarebbe un errore procedere ad applicarli alla situazione attuale: «In questa fase, per effetto dello shock pandemico, la ricchezza finanziaria sotto forma di depositi è cresciuta, per il solo effetto di uno spiazzamento dei consumi a favore dei risparmi. Ma tale crescita è certamente inferiore alla caduta osservata nel reddito. Gli italiani sono più poveri e il paradosso sarebbe impoverirli ulteriormente con una tassa in grado di aggredire la loro ricchezza finanziaria».

Naturalmente, come riconosciuto sempre dall’Irpet ciò non significa però escludere l’opportunità di introdurre un’imposta patrimoniale, ben calibrata, nel post-Covid. E visti i numeri appena abbozzati, parlare di lotta “simbolica” alla disuguaglianza appare quanto meno ingeneroso.