Presentato a Milano il nuovo dossier di Assoambiente. Servono investimenti da € 10 mld

Economia circolare? Quella italiana sta peggiorando: più rifiuti e meno impianti per gestirli

«Abbiamo due irripetibili occasioni da cogliere: il Recovery fund messo in campo dalla Ue e il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti da definire nei prossimi 18 mesi, secondo quanto previsto dalla direttiva europea appena recepita»

[25 Settembre 2020]

L’economia circolare non gira da sé: tutti la invocano ma senza una strategia nazionale alle spalle, senza una politica industriale a supporto e senza la dotazione impiantistica necessaria sul territorio, gli unici a girare sono i rifiuti in cerca di una destinazione (legale, quando va bene) dove essere smaltiti. La nostra spazzatura percorre qualcosa come 1,2 miliardi di km l’anno – circa 175.000 volte l’intera rete autostradale italiana, senza contare le tratte all’estero –, con tutte le ricadute ambientali del caso, e questo lo sappiamo ormai da due anni almeno. La cattiva notizia è che nel frattempo la situazione è peggiorata ancora, come testimonia il dossier Per una Strategia nazionale dei rifiuti – La strategia nazionale mette le gambe, realizzato dal Laboratorio Ref ricerche e con un’anteprima presentata oggi a Milano da Assoambiente nel corso del “Il verde e il blu Festival”.

Nel 2018 Assoambiente – l’associazione di settore che riunisce le imprese private che gestiscono servizi ambientali – aveva lanciato un primo report per chiedere una Strategia nazionale dei rifiuti, con dati allarmanti a supporto. Eppure da allora «poco o nulla» è stato fatto: zero assoluto sul fronte dell’elaborazione di una strategia nazionale ma anche nella lotta alle sindromi Nimby e Nimto che continuano a diffondersi tra i comitati e soprattutto tra le fila dei rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali, frenando la realizzazione di opere necessarie all’economia circolare italiana. Che paradossalmente si fa sempre più evanescente.

Qualche dato in proposito, riportato da Assoambiente. Negli ultimi 18 mesi è aumentata la produzione di rifiuti: +2% (+590mila ton) di rifiuti urbani rispetto al 2018, +3,3% (+4,6 mln/ton) di rifiuti speciali; al contempo sono diminuiti gli impianti di gestione: -396 impianti totali per gli speciali (meno impianti di incenerimento e di digestione anaerobica); di conseguenza sono aumentati anche i deficit regionali (a 2,2 mln/ton), quindi il turismo dei rifiuti in cerca di impianti di recupero/smaltimento; dato che neanche l’export extra-regionale è sufficiente, a crescere è anche l’export internazionale di rifiuti: +31% (+110mila ton) per gli urbani, +14% (+420mila ton) per gli speciali; come ultima conseguenza di questo trend, sono aumentati i costi di smaltimento: +40%.

La pandemia da Covid-19 si è abbattuta poi sull’economia nazionale lasciando intravedere una sensibile (quanto temporanea) diminuzione nella produzione di alcuni flussi di rifiuti, ma ha anche messo in evidenza – come sottolineato tra gli altri dall’Antimafia – la strutturale fragilità del sistema.

«La pandemia – spiega il presidente di Assoambiente, Chicco Testa – ha prodotto una buona risposta da parte delle imprese dei rifiuti abituate ad agire in un contesto emergenziale, ma al contempo ha sottolineato le fragilità del sistema e i problemi di sicurezza per la gestione degli urbani, accentuati dal blocco dell’export da cui dipendono le filiere del recupero di materia».

Che fare, dunque? «Oggi è ancora più necessario definire una Strategia nazionale di gestione dei rifiuti – continua Testa – Abbiamo due irripetibili occasioni da cogliere: il piano di aiuti messo in campo dalla Ue (Recovery fund) e il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti da definire nei prossimi 18 mesi secondo quanto previsto dalla direttiva europea appena recepita».

La bussola, almeno per quanto riguarda i rifiuti urbani – che rappresentano però meno del 20% di tutti i rifiuti che produciamo – sta nell’ultimo pacchetto di direttive Ue sull’economia circolare: entro il 2035 dovrà essere avviato a riciclo il 65% dei rifiuti (per farlo, al netto degli scarti dei processi di recupero, bisognerà portare la raccolta differenziata almeno all’80%) oggi siamo al 45%, in discarica il 10% (oggi siamo al 22%) e la restante parte dovrà essere avviata a recupero energetico, oggi siamo al 18%.

Lo studio presentato oggi a Milano sottolinea come per raggiungere questi obiettivi occorreranno anche strumenti economici a sostegno dell’utilizzo dei materiali riciclati e per l’uso di sottoprodotti e materiali end of waste, oltre a un quadro normativo chiaro per il settore, che semplifichi le procedure di autorizzazione, favorisca investimenti e sana competizione fra imprese, consentendo di realizzare tutti gli impianti necessari.

«Fare economia circolare – conclude Testa – significa disporre degli impianti di gestione dei rifiuti con capacità e dimensioni adeguate alla domanda. I nostri dati evidenziano come in Italia servano impianti di recupero (di materia e di energia), a partire dagli oltre 40 in grado di trattare la frazione organica, per finire con termovalorizzatori che possano gestire rifiuti urbani e speciali non riciclati. Un investimento complessivo che richiederà 10 miliardi di euro, interamente recuperabili da risorse finanziarie di mercato, garantite da una regolazione equa ed efficace. Abbiamo dinanzi a noi un’occasione unica, non possiamo mancarla».