Economia circolare, come ripensare il futuro della plastica: il ruolo dell’ecodesign

Il 30% in peso degli imballaggi plastici immessi al consumo non può essere riutilizzata e difficilmente riciclata a seguito delle intrinseche caratteristiche progettuali

[3 Aprile 2017]

Il piano d’azione per l’economia circolare The new plastics economy: catalysing action, redatto dalla Ellen MacArthur Foundation (qui la traduzione integrale dell’executive summary, ndr)  pone l’ambizioso obiettivo di arrivare a riusare o riciclare il 70% degli imballaggi in plastica e di trovare – attraverso una riprogettazione radicale del packaging – soluzioni più sostenibili per il restante 30% che non può essere riciclato.

La scomoda verità che l’industria della plastica ha preferito ignorare per decenni è che la gestione tipicamente lineare delle materie plastiche,  basata su produzione-consumo-smaltimento, si è rivelata un totale fallimento ambientale ed economico.

Ogni anno l’economia del packaging di plastica perde dopo un singolo utilizzo dagli 80 ai 120 miliardi di dollari in valore del materiale, mentre solamente il 14% degli imballaggi in plastica viene raccolto per essere riciclato a livello globale. Questi e altri numeri sono stati già resi noti nel precedente rapporto – anch’esso firmato dalla Ellen MacArthur FoundationThe new plastics economy – rethinking the future of plastics, il più corposo mai prodotto sull’economia delle materie plastiche, frutto di un lavoro collaborativo di tutti i soggetti che formano la catena del valore del comparto (produttori e trasformatori di materie plastiche e imballaggi, operatori della raccolta e riciclo, autorità e organizzazioni non governative, ecc).

Dal rapporto è nato un progetto omonimo della durata di tre anni al quale hanno aderito oltre 40 soggetti, per lo più industriali, che ha prodotto a sua volta un piano di intervento The NPE catalyzing action. Il piano di azione identifica tre strategie di intervento tra loro complementari ma anche sovrapponibili nelle soluzioni, basate su: riprogettazione, riuso e riciclo, ciascuna mirata ad uno specifico segmento del mercato del packaging.

Dalla riprogettazione del packaging e/o dei modelli distributivi (delivery models) si possono infatti ottenere più soluzioni applicabili ad una stessa tipologia di imballaggio. Ad esempio un imballaggio originariamente non riciclabile può essere dematerializzato (es: detergenti contenuti in cartucce che si dissolvono in acqua, vendita alla spina, ecc), essere sostituito da una versione riutilizzabile, oppure da una riciclabile.

Riprogettazione per il 30% del packaging

La prima strategia consiste nella riprogettazione di un segmento che, seppur costituendo la metà dell’immesso al consumo (come unità) e il 30% in peso, non può essere riutilizzato o difficilmente riciclato a seguito delle sue caratteristiche progettuali. Si tratta di imballaggi di più tipologie che includono: i piccoli formati in genere (involucri, pellicole per snack e merendine, tear-off, tappi, flaconcini); imballaggi in poliaccoppiato (composti cioè da una sovrapposizione di materiali eterogenei); imballaggi contaminati da residui di cibo, come ad esempio i contenitori per fast-food; imballaggi in PVC, polistirene (PS) e polistirene espanso (EPS), alcune delle plastiche poco utilizzate presenti nel mercato degli imballaggi e dal basso valore post-consumo.

Il packaging di dimensioni inferiori ai 400-700 millimetri prima elencato, tra cui rientrano anche i popolari flaconcini di probiotici o integratori alimentari “contro” il colesterolo, finisce nel sottovaglio degli impianti di selezione e viene generalmente termovalorizzato come scarto.

Nello studio si stima che dimezzando le perdite di packaging in questa tipologia (circa il 10% in peso del packaging in plastica immesso al consumo), si potrebbe recuperare un valore economico di 50-70 dollari per ogni tonnellata gestita. Gli imballaggi in plastiche poco usate per il packaging rappresentano un altro 10% in peso dell’immesso al consumo di cui l’85% è costituito dalle plastiche prima citate: PVC, PS e EPS .

Anche se tecnicamente queste plastiche potrebbero essere riciclate, non sussistendo le quantità necessarie per permettere economie di scala, un loro avvio a riciclo non risulta economicamente sostenibile.

Gli imballaggi in poliaccoppiato rappresentano un mercato in ascesa un po’ in tutto il mondo nei vari formati di buste “stand up poach” che come sachet, bustine monouso  usate soprattutto nei mercati emergenti per commercializzare piccole porzioni di creme e detergenti per la casa e la cura della persona. Anche questi imballaggi, che sono difficilmente riciclabili poiché composti in genere da materiali eterogenei vanno ripensati a tutto tondo intervenendo con una riprogettazione che consideri tutte le opzioni, inclusa una loro eliminazione. Anche se sono note alcune opzioni tecniche che permetterebbero un recupero del materiale per nuovi cicli produttivi come il riciclo chimico o la pirolisi va considerato che – come si legge nello studio – queste tecnologie al momento sono altamente energivore, non possono raggiungere le performance di mantenimento del valore dei materiali proprie del riuso o del riciclo meccanico, ed esistono ancora alcuni punti interrogativi circa una loro complessiva efficacia sul piano tecnico.

Gli sviluppi tecnologici correnti si stanno invece per lo più limitando ad esplorare l’opzione del recupero del materiale come combustibile (non rinnovabile). Un’opzione che, secondo lo studio, si traduce in una perdita definitiva del materiale e nel perpetuarsi del modello lineare di estrazione-produzione-smaltimento. L’aspetto innovativo di questo dettagliato piano di intervento, che lo rende unico rispetto a quanto prodotto in passato, è l’aver portato all’attenzione dell’industria la necessità di un intervento sistemico basato sulla soluzione di problemi “a monte” nella fase di progettazione. Persino il mondo aziendale più impegnato a livello di sostenibilità ha difatti focalizzato il proprio impegno principalmente sul riciclo, saltando le opzioni prioritarie della gerarchia europea di gestione dei rifiuti – prevenzione e riuso – che sono invece le più efficaci e determinanti ai fini di un disaccoppiamento tra crescita economica e consumo di risorse naturali e di una mitigazione del riscaldamento climatico.

di Silvia Ricci, associazione Comuni virtuosi 

Seguiranno una II e III parte e dedicate alle strategie individuate per riuso e riciclo degli imballaggi plastici