Pubblicato il nuovo World economic outlook

Fmi, senza «un’azione politica globale immediata» oltre al Pil tornerà a crescere anche la CO2

Nel 2020 le emissioni globali sono diminuite temporaneamente del 4% ma è necessario ripetere cali simili ogni anno per i prossimi trent’anni, senza distruggere economia e società

[7 Aprile 2021]

Dopo un anno segnato dalla pandemia, già oggi la macchina economica globale – pur con notevoli differenze tra le varie aree geografiche – sta riprendendo a marciare a pieno ritmo: secondo le stime diffuse ieri dal Fondo monetario internazionale (Fmi) all’interno dell’ultimo World economic outlook (Weo), dopo un calo del Pil globale pari al -3,3% registrato nel 2020, per il 2021 si attende un +6%.

Gli Stati Uniti (+6,4%) e soprattutto la Cina (+8,4% nel 2021, dopo aver chiuso in positivo anche il 2020) la faranno da padrona, ma anche per l’eurozona si attende quest’anno un +4,4%. L’Italia mette invece nel mirino un più modesto +4,2% nel 2021 e un +3,6% nel 2022: dati comunque fuori scala rispetto al recente passato, ma è utile ricordare che il Pil nazionale è crollato nel 2020 dell’8,9%.

Oltre alla pandemia c’è però un’altra crisi in corso, quella climatica, che non viene trattata come tale e dunque potrebbe presto riservare cattive sorprese, come del resto già accaduto dopo la crisi finanziaria del 2008. Le emissioni climalteranti globali, documenta il Fmi, sono calate – in modo «probabilmente temporaneo, si precisa – di circa il 4% nel corso del 2020. Può sembrare un dato eccezionale, ma in realtà «l’economia globale deve produrre cali simili ogni anno nei prossimi 30 per ridurre le emissioni dell’80% entro il 2050», ovvero un obiettivo inferiore a quello che ad esempio si è data l’Europa per provare a rispettare l’Accordo di Parigi sul clima (azzerando le emissioni nette entro la metà del secolo).

Ma adesso che il Pil è tornato a crescere, senza interventi correttivi ci si attende che lo stesso facciano le emissioni. «Senza un’azione politica globale immediata e coordinata – spiega il Fmi – le emissioni aumenteranno di nuovo con il passare della pandemia e l’aumento della produzione, mentre i Paesi con la minore capacità di assorbire i costi di adattamento (piccoli Stati e Paesi a basso reddito) ne risentiranno maggiormente».

Certo, anche per Paesi sviluppati come il nostro non sarebbe una passeggiata: studi del Cmcc indicano che a causa della crisi climatica l’Italia rischia di perdere l’8% del Pil annuo nella seconda metà del secolo, oltre a importanti impatti in termini di disuguaglianze.

Che fare? Il Fmi suggerisce un ampio pacchetto politico d’interventi tra loro coordinati: aumentare la tassazione sulle emissioni climalteranti (un accordo sul prezzo minimo del carbonio tra i grandi paesi emittenti sarebbe di grande aiuto in tal senso, si precisa); disegnare trasferimenti compensativi mirati per quei cittadini che sarebbero altrimenti «i più colpiti dalle politiche di mitigazione del cambiamento climatico, poiché hanno un consumo più intensivo di energia e hanno maggiori probabilità di lavorare in settori ad alta intensità energetica»; investire in infrastrutture e ricerca utili alla transizione ecologica.

Si tratta di proposte che anche per l’Italia assumono una rilevanza strategica di primo piano, a partire dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che il Paese dovrà elaborare ed inviare a Bruxelles entro fine aprile.

Anche in Italia, infatti, le emissioni climalteranti sono crollate nel corso del 2020: -9,8%, più del Pil. Ma guardando oltre quest’anno eccezionale sotto tutti i punti di vista, a fine 2019 le emissioni nazionali di CO2 erano infatti pressoché paragonabili a quelle registrate nel 2014: di fatto, cinque anni di stallo. Ma la crisi climatica non aspetta: oggi viviamo in un Paese più caldo di circa 1,7°C rispetto all’inizio degli anni ’80, contro una media globale di +0,7°C.