Ref Ricerche: altrimenti il Green deal del Mezzogiorno sarà solo l’ennesima occasione persa

Gestione rifiuti, al Sud non mancano solo gli impianti: serve un progetto politico nuovo

“Nessun nuovo Piano di rilancio del Mezzogiorno, soprattutto nel campo dell’economia circolare, può fare a meno di un rinnovamento del quadro istituzionale in senso lato”

[9 Dicembre 2020]

Un gap politico, pari a quello impiantistico, nonostante ancora una volta ci siano risorse e idee a disposizione. Ecco la situazione della (pessima) gestione dei rifiuti (urbani e speciali) nel Mezzogiorno. E se non si colma la prima lacuna mai si risolverà la seconda, e si getterà alle ortiche l’ennesima possibilità di cambiare le sorti, economiche, sociali e ambientali del nostro splendido Sud. A mettere nero su bianco tutte queste considerazioni ancora una volta è il Ref Ricerche, la società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali.

Un Green Deal per il Mezzogiorno?”, si domanda nel suo ultimo position paper il Ref che non si nasconde quanto sia ampio l’interrogativo sollevato: “Per promuovere il cambiamento serve un progetto politico nuovo, sin dalle fondamenta, improntato a un effettivo riformismo, che sappia essere endogeno, autonomo, sostenibile, partecipato e diffuso. Nessun nuovo Piano di rilancio del Mezzogiorno, soprattutto nel campo dell’economia circolare, può fare a meno di un rinnovamento del quadro istituzionale in senso lato. Per dire che non è solo un tema di investimenti, risorse economiche e/o di buone leggi ma, soprattutto, di qualità del contesto socio-istituzionale, che va potenziato e nutrito, anche dalle politiche pubbliche”.

In sostanza se non c’è un programma, se non c’è una classe politica in grado di sostenerlo, se non c’è una visione di cosa voglia dire una efficace ed efficiente gestione integrata dei rifiuti, non c’è sostegno finanziario che tenga. Non c’è narrazione possibile. Perché la realtà sarà quella attuale. Ovvero: “La gestione dei rifiuti in Italia vale circa 25 miliardi di euro l’anno, valore che sale a 32 miliardi se includiamo la gestione delle acque reflue. Risorse che il Sud perde non avendo approntato sino ad oggi una strategia, lasciata all’improvvisazione e alle discariche, che massimizzano i benefici privati e minimizzano quelli collettivi”.

Guardando ai numeri – spiega il Ref – l’economia circolare dei rifiuti nel Mezzogiorno “potrebbe mettere a valore, ogni anno, oltre 43 milioni di tonnellate di rifiuti, 33,4 di origine non domestica e quasi 10 di origine domestica e assimilata (Dati Ispra, 2019-2020)”.

La frattura con il resto di Italia (Nord, in particolare) è ancora più grave se si guarda ai tassi di raccolta. Se nelle regioni settentrionali, infatti, la differenziata nel 2018 si è attestata al 67,7%, in quelle meridionali si è fermata a poco più del 46%, con 207 kg di raccolta pro capite. Per non parlare dei fanghi gestiti nel Mezzogiorno, che ammontavano a 472.254 tonnellate nel 2018, con un deficit complessivo di trattamento di quasi 166mila tonnellate. Ciliegina sulla torta sono rappresentate poi dalle “esportazioni di rifiuti oltreconfine. Anche in questo caso emerge (sempre dati Ispra) come nel 2018 siano stati trasferite all’estero circa 465mila tonnellate di rifiuti urbani, di cui 170mila provenienti dalle regioni del Mezzogiorno”.

Il guaio è che a causa di questa situazione si sono gettati al vento milioni di euro, anzi miliardi: secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), tra “il 1951 e il 1998 sono stati spesi 324 miliardi di euro per le regioni del Sud Italia. Molto denaro che, purtroppo, non è servito a rendere questo territorio realmente artefice del proprio destino”.

Che fare dunque? Serve un colpo di reni della politica che, secondo il Ref, sia in grado di elaborare e attuare “Piani strategici regionali e per macro-aree tarati sulle reali esigenze e non su approcci ideologici e/o prettamente teorici”. Per attuare i quali serve “la creazione di una rete impiantistica destinata alla chiusura e valorizzazione del ciclo dei rifiuti, rete concepita all’interno di una logica di sistema (sia sul fronte della domanda che dell’offerta, partendo dalla consapevolezza che la gestione dei rifiuti è essa stessa una delle principali fonti di produzione di rifiuti, più del 26%)”.

Il Ref suggerisce anche una “simbiosi industriale e articolazione di poli industriali per filiere di scarti/materie all’insegna della sostenibilità, capace di eliminare strozzature e diseconomie e l’implementazione della catena del valore con la creazione e il sostegno di mercati dedicati (altrimenti il rischio è che una crescita della raccolta differenziata, con l’aumento dell’offerta, porti a una riduzione dei prezzi delle materie prime seconde, quindi disincentivando la stessa differenziata)”.

Tutte problematiche che, va detto, esistono anche in altre aree del nostro Paese, ma non con queste proporzioni. A molti non suonerà infatti nuovo che anche per il Mezzogiorno “l’applicazione concreta del Green public procurement (Gpp), cioè i cosiddetti acquisti versi da parte della Pa, potrebbe giocare un ruolo importante” come anche “il miglioramento della tracciabilità e trasparenza delle filiere  quale migliore antidoto all’ecomafia e al malaffare”. Insomma, gli ingredienti ci sarebbero tutti, ma manca uno chef. E non è poca cosa. È proprio tutto.