Giornata mondiale delle tartarughe e inquinamento da plastica, cosa (non) abbiamo capito

Wwf: «Per risolvere un problema complesso, occorrono soluzioni complesse che coinvolgano tutti gli attori»

[16 Giugno 2020]

Oggi è la Giornata mondiale delle tartarughe marine, un’importante occasione per ricordare che questi preziosi animali rientrano tra le specie più minacciate dall’inquinamento da plastica che ormai invade i nostri mari: come ricordano dal Wwf «ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mar Mediterraneo, l’equivalente di 4,7 miliardi di posate di plastica monouso ogni giorno».

Da dove arriva tutta questa plastica? Il Panda riporta che «le attività costiere sono responsabili della metà della plastica che si riversa nel Mar Mediterraneo, mentre il 30% arriva da terra trasportato dai fiumi. La percentuale rimanente dell’inquinamento da plastica deriva da attività marine».

Indipendentemente dalla provenienza, in molti casi questa plastica finisce poi nella catena alimentare; non solo quella marina, anche nella nostra, ma le tartarughe sono tra le specie più esposte tanto che si stima che l’80% delle tartarughe Caretta caretta del Mediterraneo abbia ingerito rifiuti di plastica.

Che fare dunque? «Per risolvere un problema complesso, occorrono soluzioni complesse che coinvolgano tutti gli attori – argomentano dal Wwf – la ricerca, la partecipazione dell’industria (soprattutto quella turistica), la consapevolezza e coinvolgimento dei cittadini e una forte volontà politica a livello nazionale e sovranazionale. Il Wwf, con la campagna “No Plastic in Nature” lavora per realizzare un’economia circolare per la plastica basata sulla riduzione dei consumi, sul riutilizzo, sulla ricerca di prodotti alternativi a minor impatto, sul miglioramento della gestione dei rifiuti, sull’incremento del riciclo e sull’ampliamento del mercato delle materie seconde. A livello globale, il Wwf sta spingendo per un trattato globale legalmente vincolante per tutti i paesi del mondo per contrastare l’inquinamento marino da plastica. Stiamo anche promuovendo e sostenendo l’adozione di misure più severe contro l’inquinamento da plastica nel Mediterraneo attraverso la Convenzione di Barcellona, le politiche nazionali e dell’Ue – come il divieto di alcuni oggetti monouso e obiettivi vincolanti per migliorare la raccolta dei rifiuti. La società deve ripensare radicalmente il proprio rapporto con la plastica, riducendo l’uso di plastica monouso non necessaria».

Tutto giusto, peccato che spesso non sia questo il messaggio che passa. A testimoniarlo, da ultimo è arrivata la ormai tristemente celebre puntata di Fatti vostri – Rai 2, servizio nazionale – in cui “l’inviata” getta felice una bottiglia di plastica in acqua dichiarando che «è biodegradabile, si scioglierà in breve tempo in mare». La quintessenza del problema denunciato ormai nel 2015 dall’Onu: «Etichettare un prodotto come biodegradabile può essere visto come una soluzione tecnica che rimuove la responsabilità dell’individuo, con conseguente riluttanza ad agire».

Le bioplastiche, lo ripetiamo, rappresentano un’importante innovazione tecnologica – e una filiera industriale che vede l’Italia tra i leader a livello globale – che permette di sostituire, in alcuni casi, plastica da fonti fossili con plastica da fonti rinnovabili. Non sono una soluzione all’inquinamento marino, come del resto affermano le stesse aziende di settore (nel migliore dei casi gettare in acqua bioplastica è come buttare della carta, ma l’impatto non è mai zero), e a allo stato dell’arte non solo non si “sciolgono in breve tempo in mare” ma neanche in molti impianti industriali per la gestione dei rifiuti organici dove vengono conferiti passando dalla raccolta differenziata (con la speranza che il nuovo consorzio Biorepack possa aiutare a migliorare la situazione). Quelle iniziative “plastic free” che passano dall’impiego di plastica monouso tradizionale alla bioplastica monouso non fanno dunque granché per mitigare l’inquinamento marino: se da una parte possono limitare i danni provocati dagli incivili che continuano a gettare i propri rifiuti in natura, dall’altra possono anche alimentare equivoci come quelli dei Fatti vostri.

Per evitare l’inquinamento marino da plastica legato agli imballaggi dunque, le “linee guida” corrette sono quelle ricordate poco sopra dal Wwf, senza approcci talebani ma con razionalità. Ridurre dove possibile l’impiego del monouso – nel merito sarà necessario seguire quanto indicato dalla direttiva Ue SUP –, incentivare l’avvio a riciclo e l’effettivo re-impiego delle materie prime seconde. Soprattutto, per evitare che gli imballaggi in plastica finiscano in mare, semplicemente basterebbe conferirli nel cestino anziché abbandonarli in natura: la responsabilità, qui, è dunque soprattutto dei cittadini.

Senza dimenticare però che, in larga parte, quando si parla di inquinamento da plastiche il problema degli imballaggi è solo una piccola parte del totale, come recentemente ha riassunto bene l’Ufficio federale dell’ambiente della Svizzera:

Le principali fonti di microplastiche (particelle più piccole di 5 mm) sono l’abrasione e la decomposizione di prodotti in plastica, in particolare di pneumatici per auto, pellicole di plastica e altri prodotti dell’edilizia e dell’agricoltura. Le microplastiche deliberatamente aggiunte ai prodotti (p. es. particelle abrasive nei cosmetici) o che finiscono nelle acque di scarico a seguito dell’abrasione delle fibre durante il lavaggio di tessuti sintetici inquinano soprattutto le acque superficiali. Le macroplastiche (particelle più grandi di 5 mm e rifiuti di plastica) finiscono nell’ambiente principalmente attraverso il littering e lo smaltimento non corretto di prodotti in plastica. Ad esempio, lo smaltimento improprio di imballaggi e sacchetti di plastica negli scarti vegetali è una fonte importante di materie plastiche nel suolo. Se le macroplastiche non vengono rimosse, si decompongono gradualmente in microplastiche. Inoltre, la plastica finisce nel suolo e nelle acque attraverso l’acqua piovana e l’aria oppure in fiumi e torrenti attraverso acque di scarico non trattate. Lo smaltimento dei rifiuti, la pulizia degli spazi pubblici, il drenaggio delle acque di scarico stradali e il trattamento delle acque di scarico consentono di trattenere quantità elevate di plastica. Secondo lo stato attuale delle conoscenze, le materie plastiche che finiscono sul e nel suolo sono superiori a quelle che finiscono nelle acque.