All'Istituto Stensen il seminario organizzato dalla Cgil

I green job possono essere il futuro del lavoro? La risposta è sì, e arriva da Firenze

Si ferma per sciopero l’industria della costa toscana, ma le possibilità di rilancio esistono e sono verdi

[20 Gennaio 2016]

Scioperi, proteste, ma anche proposte: è un denso intreccio di eventi quello che oggi ha sancito il ritorno sulla scena della questione industriale toscana. Da una parte – lungo tutta la provincia di Livorno – uno sciopero generale di 8 ore (indetto da Filctem Cgil, Femca Cisl, Flei Cisl, Uiltec Uil provinciali, e sostenuto anche da Fim, Fiom e Uilm livornesi), che ha mobilitato 6mila lavoratori dell’industria, per sottolineare le gravi difficoltà che sta vivendo il settore, soprattutto nella Toscana costiera. L’evoluzione più recente degli indicatori economici traccia una debolissima ma presente ripresa per la Regione nel suo complesso, ma la risalita è tutt’altro che omogenea. «Sul territorio provinciale di Livorno – sottolinea la Filctem Cgil – non si avvertono segnali di ripresa, perdura la grave crisi economica, causata da evidenti difficoltà di pianificazione e programmazione». Lo sciopero nazionale dei lavoratori Eni, che oggi trova spazio anche alla raffineria Eni di Stagno, ne è solo l’ennesima conferma.

Le criticità sono note, e profondamente radicate nel territorio. Gli interventi messi in campo a livello nazionale si dimostrano mal calibrati, come dimostra la prima ricerca accademica – forse non a caso prodotta in seno a un’eccellenza toscana, l’Istituto di economia della Scuola superiore Sant’Anna – dedicata all’analisi della riforma del mercato del lavoro, culminata con il JobsAct. Nel paper pubblicato da tre ricercatori (Dario Guarascio, Marta Fana, Valeria Cirillo) nell’ambito del progetto europeo IsiGrowth (Innovation-fuelled,  sustainable inclusive growth) si evidenzia come la riforma sia stata varata con l’intento di promuovere l’occupazione e di ridurre la quota dei contratti temporanei e atipici, ma gli effetti «nel primo e nel secondo trimestre del 2015» parlano piuttosto – sintetizza il Sant’Anna in una nota – a una «massiccia transizione dalla disoccupazione all’inattività».

Le risposte per una ripresa dell’occupazione e un rilancio sostenibile dell’industria vanno evidentemente cercate altrove, e l’unica alternativa credibile oggi sul tavolo rimane quella del variegato mondo etichettato come “green economy”, al centro oggi di un seminario organizzato a Firenze da Cgil Toscana e Cgil nazionale presso l’Istituto Stensen, cui hanno partecipato esponenti di spicco sia dal mondo istituzionale – come il sottosegretario all’Ambiente Silvia Velo – sia da quello delle Ong (con Fausto Ferruzza, presidente regionale di Legambiente Toscana).

«Ci sono delle grandi opportunità da cogliere – ha dichiarato  Mirko Lami, della segreteria regionale della Cgil Toscana – e la Toscana non deve farsele sfuggire. È un universo completamente nuovo, sia per le aziende che per i lavoratori, e noi non possiamo che adeguarci. La crisi ha colpito tutti, ma il settore verde è l’unico in movimento: come Cgil dobbiamo farlo crescere, avanzando nuove proposte alla Regione», che da parte sua – con una lettera del presidente Enrico Rossi – è intervenuta ricordando l’impegno profuso nell’esperienza del progetto Egrejob.

D’altronde, quella dei lavori verdi è già una realtà concreta in Toscana. Il rapporto GreenItaly traccia la geografia dei green job in Toscana, un quadro che nel 2015 si calcola si sia arricchito di ulteriori 3mila assunzioni sul territorio regionale. Tra le professionalità “verdi” più richieste in Italia nel 2015 – sottolineano dalla Cgil – figurano: installatore di impianti termici sostenibili; ingegnere energetico; tecnico meccatronico (si dedica allo studio di sistemi meccanici intelligenti); ecobrand manager (studia mercato di riferimento, predispone il piano di marketing); programmatore delle risorse agroforestali; pedologo; ingegnere e statistico ambientale; risk manager (è il processo mediante il quale si prevede il rischio di un’azienda e si attuano delle strategie per evitarlo o per gestirlo); responsabile degli acquisti verdi; esperto in commercializzazione dei prodotti di riciclo; esperto in demolizione volta al recupero dei materiali (figura utilissima, ad esempio, nel piano previsto su Piombino)». Non è difatti un caso l’invito a presenziare a Firenze rivolto a Valerio Caramassi, presidente della piombinese Rimateria. La società che si sta sviluppando in Val di Cornia ha l’obiettivo di concretizzare il riciclo, l’inertizzazione e lo smaltimento in condizioni di sicurezza di tutto ciò che non è riciclabile, con vastissime quantità di materiali nel proprio bacino di riferimento: nella zona industriale di Piombino, ogni anno, la sola Lucchini produceva 1,3 milioni di tonnellate di scarti e rifiuti, ovvero qualcosa come 65 volte i rifiuti urbani totali prodotti nell’area. Materiali che attendono ancora di essere trattati, aree che aspettano di essere bonificate, e che oggi rappresentano un caso esemplare per lo sviluppo della green economy.

La dimostrazione di come – in tutta la Toscana -, per ridare fiato all’occupazione ed evitare il declino della manifattura, la riconversione industriale e l’economia verde rappresentino già oggi una strada concreta da poter percorrere: serve solo il coraggio di intraprenderla con vigore.