Il 18% dei consumi energetici è coperto da rinnovabili

Gse, avanti piano per le rinnovabili italiane: con questo ritmo obiettivi 2030 irraggiungibili

Colarullo (Utilitalia): «Tutti i processi autorizzativi vanno accelerati, vanno resi più snelli, per permettere investimenti importanti»

[6 Maggio 2020]

Il Gestore dei servizi energetici (Gse) è una società del ministero dell’Economia che riveste un ruolo centrale per la transizione ecologica del Paese: il Rapporto attività 2019, presentato oggi, mostra che nell’ultimo anno il valore delle risorse gestite dal Gse per la promozione della sostenibilità ha raggiunto i 14,8 miliardi di euro, di cui 11,4 miliardi per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili 1,3 miliardi per l’efficienza energetica e le rinnovabili termiche, 800 milioni di euro relativi ai biocarburanti e 1,3 miliardi riconducibili ai proventi derivanti dalle aste di CO2 nell’ambito del meccanismo europeo Ets (Emission trading scheme).

Tutto questo comporta un costo (ad esempio gli 11,4 mld€ sono stati un onere sulla componente Asos della bolletta elettrica, seppur in calo rispetto agli 11,6 del 2018) che è più corretto inquadrare come investimenti: nel 2019 le attività del Gse abbiano contribuito ad attivare circa 2,6 mld€ di nuovi investimenti. Soprattutto, l’energia rinnovabile e i risparmi energetici incentivati nell’ultimo anno si valuta abbiano evitato l’emissione in atmosfera di 43 mln di tonnellate di CO 2 e il consumo di 111 mln di barili di petrolio (con i relativi costi di importazione), mentre si calcola in almeno 50.000 unità di lavoro annuali (equivalenti a tempo pieno) l’occupazione correlata a tutte le iniziative – nuove e già in corso – sostenute nel 2019.

Grazie al sostegno del Gse alla green economy, l’Italia nel 2019 ha prodotto oltre 3 kWh su 10 con le fonti rinnovabili (circa 115 TWh di energia elettrica da Fer) e 10,7 Mtep (tonnellate equivalenti petrolio) di energia termica; numeri che ci hanno consentito di superare già gli obiettivi europei previsti al 2020, attestandosi (secondo le stime preliminari) a circa il 18% di consumi totali di energia (elettrica, termica e nei trasporti) coperti da fonti rinnovabili.

C’è però un enorme problema all’orizzonte: gli obiettivi al 2030 delineati nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), pur modesti rispetto al contesto europeo, non potranno essere raggiunti seguendo i ritmi attuali. Non a caso nell’ultima Analisi trimestrale del sistema energetico, l’Enea conferma per il quarto anno consecutivo un regresso nel percorso nazionale di decarbonizzazione «a causa della sostanziale stazionarietà delle fonti rinnovabili e di un livello dei prezzi più elevato dell’anno precedente».

L’Europa ormai punta al 55% di riduzione delle emissioni entro il 2030 (rispetto al 1990), mentre il Pniec italiano al 37%; il Governo sembra dunque consapevole del fatto che il Pniec inviato a Bruxelles a inizio anno deve già essere rivisto, ma di fatto l’attuale ritmo di sviluppo del Paese su questo fronte è ampiamente insufficiente anche per centrare gli obiettivi al ribasso ad oggi previsti nel Piano.

Tanto che il Coordinamento Free – ovvero la più grande associazione italiana nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica – stima che se il tasso di autorizzazioni per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili rimanesse quello del 2017-2018, sarà di 67 anni il tempo necessario per realizzare il Pniec. Arriveremmo così al 2087, ovvero 37 anni dopo l’obiettivo della neutralità climatica che dovrà essere centrato in Europa entro il 2050. Senza dimenticare le criticità sofferte da alcune filiere in particolare come quella geotermica, orfana dei nuovi incentivi per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili previsti dal decreto Fer 1 (e ancora in attesa del Fer 2).

«Tutti i processi autorizzativi vanno accelerati, vanno resi più snelli, per permettere investimenti importanti – conferma oggi il direttore generale di Utilitalia Giordano Colarullo, intervenendo al webinar del Gse – Così come anche il Codice appalti va in una certa fase almeno snellito nella sue procedure, e reso più efficace sia per gli investimenti pubblici che privati».

Si tratta di un passaggio essenziale anche per veicolare la ripresa economica dopo la crisi da Covid-19, che secondo le stime appena fornite dalla Commissione Ue taglierà il Pil italiano del 9,5% quest’anno. Una ripartenza che deve avere la semplificazione come parola chiave della Fase 2, e che dovrà vedere negli strumenti per fronteggiare la crisi economica, innescata dall’emergenza sanitaria, un’opportunità per accelerare ancora di più la transizione verso lo sviluppo sostenibile e il Green deal: del resto la realizzazione degli obiettivi del Pniec richiede un’ingente mole di investimenti, stimata in oltre 180 miliardi di euro cumulati aggiuntivi al 2030 rispetto ad uno scenario in cui non si realizzano le politiche del Piano.

«Le sfide saranno tante se, per esempio, si pensa al prezzo del petrolio e alle potenziali implicazioni sulla convenienza economica delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Superate queste turbolenze più immediate – conclude Colarullo – quello che serve veramente è creare un sistema di regole e condizioni adeguate».