I vantaggi economici della protezione della natura superano quelli del suo sfruttamento

Ora, ambienti tutelati e ripristinati sono più redditizi di territori sfruttati e con servizi ecosistemici compromessi

[18 Marzo 2021]

E’ più redditizio tutelare e ripristinare i siti naturali che il potenziale di profitto derivante dalla loro conversione per un utilizzo umano intensivo. E’ quel che emerge dal più grande studio  – “The economic consequences of conserving or restoring sites for nature”, pubblicato su  Nature Sustainability –  mai realizzato che confronta il valore della protezione della natura in luoghi particolari con quello del suo sfruttamento.

Nell’ambito della Cambridge Conservation Initiative, un team di ricercatori britannici e statunitensi guidato dall’università di Cambridge e dalla Royal Society for the Protection of Birds (RSPB)  ha analizzato dozzine di siti in tutti e 6 i continenti: dal Kenya alle Isole Fiji, dalla Cina al Regno Unitoi.

Un precedente studio innovativo nel 2002 aveva informazioni solo per 5 siti.  I risultati del nuovo studio , arrivano a poco più di un mese dalla pubblicazione della Dasgupta Review ,  commissionato nel 2019   dal ministero dal Tesoro del Regno Unito a Sir Partha Dasgupta, professore emerito di economia all’università di Cambridge, che ha chiesto che il valore della biodiversità sia posto al centro dell’economia globale.

Nel nuovo studio, gli scienziati hanno calcolato il valore monetario dei “servizi ecosistemici” di ciascun sito, come lo stoccaggio del carbonio e la protezione dalle inondazioni, e i probabili dividendi derivanti dalla sua conversione per la produzione di beni come raccolti agricoli e legname.

Inizialmengte, il team anglo-statunitense si è concentrato su 24 siti e ha confrontato i loro stati “incentrati sulla natura” e “alternativi” elaborando il valore netto annuale di una gamma di beni e servizi per ciascun sito in ciascuno stato, quindi ha proiettato i dati nei successivi 50 anni .

Gli scienziati ricordano che «Un importante vantaggio economico degli habitat naturali deriva dalla loro regolamentazione dei gas serra che determinano il cambiamento climatico, compreso il sequestro del carbonio. Supponendo che ogni tonnellata di carbonio comporti un costo di 31 dollari per la società globale – una somma che ora molti scienziati considerano conservativa – allora oltre il 70% dei siti ha un valore monetario maggiore come habitat naturale, incluso il 100% dei siti forestali. Se al carbonio viene assegnato il costo irrisorio di 5 dollari a tonnellata, il 60% dei siti fornisce ancora un maggiore vantaggio economico quando non viene convertito o viene ripristinato in habitat naturali».

E i ricercatori hanno scoperto che «Anche se il carbonio viene completamente rimosso dai calcoli, quasi la metà (42%) dei 24 siti valgono ancora di più per noi nella loro forma naturale».

L’autore senior dello studio, Andrew Balmford, che insegna Conservation Science a Cambridge, evidenzia che «Gli attuali tassi di conversione degli habitat stanno determinando una crisi di estinzione delle specie diversa da qualsiasi altra cosa nella storia umana. Anche se si è interessati solo ai dollari e ai centesimi, si può vedere che la conservazione e il ripristino della natura sono ora molto spesso la migliore scommessa per la prosperità umana. I risultati fanno eco,a livello operativo, alle conclusioni generali tratte dalla Dasgupta Review».

Il principale autore dello studio, Richard Bradbury dell’RSPB, sottolinea che «Arrestare la perdita di biodiversità è un obiettivo fondamentale in sé, ma anche la natura è alla base del benessere umano. Abbiamo bisogno di informazioni finanziarie relative alla natura e incentivi per una gestione del territorio incentrata sulla natura, sia attraverso tasse e regolamenti o sussidi per i servizi ecosistemici».

Un decennio fa, gli scienziati hanno ideato il TESSA (Toolkit for Ecosystem Service Site-based Assessment), che consente di misurare e, ove possibile, assegnare un valore monetario ai servizi forniti da un sito naturale – acqua pulita, attività ricreative basate sulla natura, ecc. – e quando viene convertito per l’agricoltura o altri utilizzi antropici. Il nuovo studio sintetizza i risultati di 62 applicazioni del TESSA nel mondo: 24 siti con dati economici relativamente dettagliati e altri 38 con dati sufficienti per valutare se i servizi aumenteranno o diminuiranno a seguito della conversione del sito. Il team di ricerca spiega ancora: «La maggior parte dei siti erano foreste o zone umide. Per gli habitat naturali, i ricercatori hanno esaminato luoghi vicini simili, nei quali si era verificata la conversione e hanno confrontato i risultati economici, compresi quelli che guidano la conversione, in entrambe le aree».

Nei siti già “modificati” dall’uomo si è calcolato quale sarebbe il loro valore se venissero ripristinati naturalmente.

Per esempio, grazie al GTESSA, gli scienziati hanno scoperto che se il Shivapuri-Nagarjun National Park in Nepal avesse perso la sua tutela e fosse stato convertito da foresta in terreni agricoli, avrebbe ridotto lo stoccaggio di carbonio del 60% e la qualità dell’acqua dell’88% e, insieme ad altri costi, avrebbe prodotto un disavanzo di 11 milioni di dollari all’anno.

I calcoli fatti utilizzando TESSA  hanno anche rivelato che la palude salmastra di Hesketh Out Marsh, vicino a Preston, nel Regno Unito, vale oltre 2.000 per ettaro all’anno grazie alla sola mitigazione delle emissioni di gas serra, superando qualsiasi reddito perduto per coltivazioni o pascoli.

«In effetti – fanno notare i ricercatori – gli habitat conservati o ripristinati erano fortemente associati a un maggiore “valore attuale netto” complessivo nel 75% dei 24 siti principali rispetto al loro stato alternativo dominato dall’uomo».

I ricercatori hanno anche suddiviso i beni e servizi in quelli che sono una risorsa comune e in beni “privati ​​e a pagamento” che vanno a beneficio solo a poche persone e dicono che «Nel 92% dei 24 siti, il valore dei beni comuni era maggiore per gli habitat naturali». Ma nel 42% dei siti principali gli habitat hanno persino fornito maggiori vantaggi economici per alcuni beni privati, ad esempio le piante selvatiche raccolte.

Un altro autore dello studio, Kelvin Peh dell’università di Southampton, spiega a sua volta: «Le persone sfruttano principalmente la natura per trarne benefici finanziari. Tuttavia, in quasi la metà dei casi che abbiamo studiato, lo sfruttamento indotto dall’uomo ha sottratto piuttosto che aumentare il valore economico».

Dove i guadagni economici da beni privati ​​erano più alti nello stato alternativo modificato dall’uomo, era grazie alla “raccolti di merci” ad alto prezzo come cereali e zucchero. Tuttavia, in molti siti che attualmente soffrono per il degrado causato da piantagioni di gomma, tè e cacao, il valore finanziario complessivo sarebbe più alto se fossero stati lasciati gli habitat naturali originari.

Per i restanti 38 siti con dati limitati, i ricercatori dicono che «La fornitura complessiva di tutti i beni e servizi era maggiore quando i siti erano allo stato naturale per il 66% di essi, e almeno uguale allo stato alternativo nel resto. E’ probabile che i risultati per i siti meglio studiati siano conservativi. Molti servizi ecosistemici non sono valutabili facilmente dal punto di vista economico, ma i dati di tutti i 62 siti dimostrano che di solito vengono forniti a un livello molto più alto dagli habitat naturali. Prendere in considerazione il loro valore renderebbe travolgenti le ragioni economiche a favore della conservazione».

La coautrice dello studio Anne-Sophie Pellier di BirdLife International aggiunge: «I nostri risultati si aggiungono alle prove che la conservazione e il ripristino delle aree chiave della biodiversità ha senso non solo per salvaguardare il nostro patrimonio naturale, ma anche per fornire benefici economici più ampi alla società».

Bradbury conclude che, nonostante questi innegabili risultati complessivi, «Trasformare prove convincenti in incentivi efficaci richiede un impegno mirato e impegnato e la costruzione di relazioni tra i raccoglitori di dati e i responsabili delle decisioni, per massimizzare la fiducia e la legittimità della conoscenza. Questo include sia gli individui che le comunità più colpite dalle decisioni di gestione della natura che i responsabili politici che possono fornire incentivi che alterano il loro contesto decisionale. Questo coinvolgimento multi-stakeholder è una componente vitale del processo di valutazione di TESSA. Se le future decisioni sulla gestione del suolo e dell’acqua vogliono arginare la continua perdita di biodiversità, sostenendo al contempo la prosperità umana, è essenziale incorporare una migliore documentazione dell’intera gamma di benefici e beneficiari in tale processo impegnativo».