La sicurezza energetica nel XXI secolo passa da qui

Iea, con rinnovabili e auto elettriche la domanda di minerali crescerà fino a 6 volte entro il 2040

Birol: «Se non affrontate, queste potenziali vulnerabilità potrebbero rendere il progresso globale verso un futuro di energia pulita più lento e più costoso»

[6 Maggio 2021]

La dematerializzazione può attendere, anzi non è mai iniziata: se l’estrazione globale di materie prime è aumentata di 3,4 volte dal 1970, passando da 27 a 92 miliardi di tonnellate l’anno – cui se ne aggiungono solo 8,6 provenienti da riciclo –, per molti minerali la necessaria transizione energetica comporterà un’ulteriore pressione sui flussi di materia, come mostra da ultimo il rapporto The role of critical minerals in clean energy transitions, pubblicato ieri dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea).

«I dati mostrano un’incombente divario tra le ambizioni climatiche rafforzate del mondo e la disponibilità di minerali critici che sono essenziali per realizzare tali ambizioni – spiega il direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol – Le sfide non sono insormontabili, ma i governi devono dare segnali chiari su come intendono trasformare i loro impegni sul clima in azioni. Se non affrontate, queste potenziali vulnerabilità potrebbero rendere il progresso globale verso un futuro di energia pulita più lento e più costoso».

Altrimenti a rimetterci naturalmente non sarebbe “solo” il clima ma la «sicurezza energetica nel XXI secolo», che passerà sempre meno dai combustibili fossili e sempre più da minerali come rame, litio, nichel, cobalto, terre rare. Anch’essi con giacimenti concentrati in pochi Paesi: per litio, litio, cobalto e alcune terre rare attualmente i primi tre produttori rappresentano più del 75% delle forniture. Una posizione di potere non da poco: i ricavi da produzione di carbone sono ad oggi dieci volte maggiori di quelli legati ai minerali protagonisti della transizione energetica – il vero “petrolio” del XXI secolo – ma queste posizioni si invertiranno ben prima del 2040.

Il perché è presto svelato: un impianto eolico onshore richiede nove volte più risorse minerali di una centrale elettrica a gas di dimensioni simili, l’espansione delle reti elettriche richiede un’enorme quantità di rame e alluminio, mentre un’auto elettrica richiede sei volte gli input minerali di un’auto convenzionale.

Tutto questo naturalmente non significa che quella climatica sia una sfida a perdere, come la stessa Iea si affretta a precisare: «Le emissioni lungo la filiera mineraria non annullano i chiari vantaggi climatici delle tecnologie energetiche pulite». Ad esempio, le emissioni totali di gas a effetto serra nel ciclo di vita dei veicoli elettrici «sono in media circa la metà di quelle delle auto con motore a combustione interna, con potenziale per un’ulteriore riduzione del 25% grazie all’elettricità a basse emissioni di carbonio».

Il problema è un altro: complessivamente, le richieste da parte del settore energetico dei già citati minerali critici potrebbe «aumentare fino a sei volte entro il 2040, a seconda della rapidità con cui i governi agiscono per ridurre le emissioni», e quest’incremento massiccio in termini assoluti non potrà che influenzare il ritmo della transizione energetica stessa. «Poiché i costi delle tecnologie diminuiscono, gli input minerali rappresenteranno una parte sempre più importante del valore dei componenti chiave, rendendo i loro costi complessivi – spiega l’Iea – più vulnerabili alle potenziali oscillazioni dei prezzi dei minerali».

Come rimediare? La Iea avanza sei indicazioni chiave: la necessità per i governi di definire i loro impegni a lungo termine per la riduzione delle emissioni, in modo che gli investimenti nella produzione mineraria abbiano un quadro di riferimento stabile; promuovere i progressi tecnologici; aumentare il riciclo; incoraggiare elevati standard sia ambientali sia sociali; rafforzare la collaborazione internazionale tra produttori e consumatori.

L’Europa sotto questo profilo si sta già muovendo su più fronti, dopo avere varato lo scorso settembre un corposo Piano d’azione per le materie prime critiche, con un sottotesto molto chiaro: «Non possiamo permetterci di sostituire l’attuale dipendenza dai combustibili fossili con la dipendenza dalle materie prime critiche».

L’economia circolare in questo contesto si dimostrerà cruciale e anche in questo caso l’Europa mostra una posizione di vantaggio – la Iea parla di «una posizione di leadership nel riciclaggio dei minerali critici,» con oltre il 50% dei propri metalli di base provenienti da fonti riciclate – ma è utile mettere subito in chiaro che neanche la transizione energetica sarà un pranzo di gala.

Servirà piuttosto sporcarsi le mani – letteralmente – in miniera per traguardare gli obiettivi climatici indispensabili per evitare catastrofi su larga scala. «Uno studio della Banca mondiale suggerisce che saranno comunque necessari nuovi investimenti in forniture primarie anche nel caso in cui i tassi di riciclo a fine vita dovessero raggiungere il 100% entro il 2050», una stima peraltro ottimistica. Ad esempio, la Iea stima che entro il 2040 «le quantità riciclate di rame, litio, nichel e cobalto da batterie esaurite potrebbero ridurre i requisiti di fornitura primaria combinata per questi minerali di circa il 10%».

Se il riciclo non basta, dunque, la necessità sarà quella di aprire nuove miniere rispettando sempre più stringenti criteri ambientali e sociali. Comunque vada ci saranno decisioni importanti e divisive da prendere, in nome di uno sviluppo sostenibile che non farà mai rima con “impatto zero”: una sfida che le democrazie del XXI secolo non potranno eludere.