Il Consiglio di Stato stoppa il termovalorizzatore di Scarlino. E ora?

Dopo oltre dieci anni di guerra legale rimangono rifiuti che occorre poter gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità. E dei lavoratori da tutelare

[22 Gennaio 2019]

Da una nuova sentenza del Consiglio di Stato (qui il testo integrale) emerge un altro stop per il termovalorizzatore di Scarlino, impianto praticamente fermo da anni che dopo aver ottenuto l’Autorizzazione integrata ambientale (con delibera della Giunta toscana n.879 del 30 luglio 2018) aveva adesso avviato le selezioni per coprire una ventina di nuovi posti di lavoro, oltre ai circa 40 già in organico. «La società Scarlino energia non è autorizzata ad operare. Adesso dobbiamo impegnarci per tutelare i posti di lavoro», dichiarano al proposito i sindaci di Scarlino e Follonica – rispettivamente Marcello Stella e Andrea Benini, oggi intervenuti in conferenza stampa congiunta –, dopo che il loro ricorso è stato accolto: «Quella emessa dal Consiglio di Stato – dichiara Benini – è una sentenza che accoglie tutte le nostre perplessità e preoccupazioni, e questo era tutt’altro che scontato».

Per il termovalorizzatore oggi proprietà di Scarlino energia si tratta dell’ennesima giravolta in una vicenda, che ha del paradigmatico nella difficoltà di definire la possibilità per un’impresa a operare o meno su un territorio, specie se attiva in un settore sensibile e come quello della gestione dei rifiuti. Dopo oltre dieci anni di guerra legale l’ultima sentenza del Consiglio di Stato invalida l’Autorizzazione a operare rilasciata dalla Regione Toscana nel 2015 dopo un processo coordinato di Via e Aia, sulla quale a sua volta si basava in larga parte – imponendo ulteriori prescrizioni a tutela dell’ambiente – l’Autorizzazione rilasciata da ultimo nel luglio scorso. Il Consiglio di Stato, affermano i sindaci di Scarlino e Follonica, dice «che prima l’impianto deve essere a norma dal punto di vista strutturale: ci deve essere quindi la garanzia sulla salute e sull’impatto ambientale e, solo in un secondo momento, riavviare l’attività».

Di fatto l’impianto è fermo. «Di fronte all’esito del ricorso mi aspetto che la Giunta riveda anche la nuova autorizzazione – aggiunge il capogruppo Pd in Regione Toscana, Leonardo Marras – Non sono contrario all’utilizzo di termovalorizzatori per la gestione dei rifiuti, lo ribadisco, ma è necessaria una seria riflessione sugli impianti che devono garantire efficienza, tecnologie all’avanguardia e, soprattutto, rischio zero per la salute. E l’impianto di Scarlino, è evidente, è il bisnonno degli impianti di nuova generazione è come tale non può rispondere ai requisiti necessari», nonostante – evidentemente – gli investimenti per revamping per 35 milioni di euro stanziati dall’azienda tra il 2007 e il 2014.

«Dobbiamo pretendere una struttura all’avanguardia, sicura, di nuova generazione che quindi possa rispettare le regole del mercato e non partire con l’aggravante di essere inadatta e già abbondantemente sorpassata. L’auspicio – conclude Marras – resta il medesimo: che si prenda atto della sentenza e si torni sulla decisione del via libera all’inceneritore valutando attentamente, di nuovo, tutti gli elementi a disposizione per arrivare ad una conclusione che non sia rischiosa né gravosa per il nostro territorio».

Per capire a quali necessità dovrebbe rispondere un simile impianto, è utile contestualizzare il termovalorizzatore di Scarlino, che potrebbe recuperare energia da 156.812 tonn/anno di rifiuti non pericolosi con alto potere calorifico, provenienti dalla selezione e trattamento di rifiuti urbani. Secondo gli ultimi dati Ispra sono 2,2 milioni le tonnellate di rifiuti urbane prodotte in un anno in Toscana, e gli obiettivi delineati dall’Ue attraverso l’ultimo pacchetto normativo sull’economia circolare puntano – sempre per i rifiuti urbani – a un minimo di 65% di riciclo e a un massimo di 10% di discarica, lasciando così spazio per un 25% di recupero energetico (come nel caso della termovalorizzazione).

In Toscana però, spiegava su queste pagine lo scorso dicembre Alfredo De Girolamo, presidente di Confservizi Cispel Toscana, gli «impianti di termovalorizzazione rimasti attivi sono solo cinque (nel 2017 c’è ancora Pisa che oggi è chiuso, con le sue 35.000 tonnellate), e la loro capacità è circa la metà di quello che servirebbe a regime (fra il 25% ed il 30% secondo la nuova direttiva europea). La necessità dell’impianto nella area metropolitana di Firenze-Prato-Pistoia e dell’avvio di Scarlino appare sempre più confermata dai dati di Ispra». Del primo impianto però la Giunta toscana ha deciso ormai da molti mesi di voler fare a meno, mentre quello di Scarlino è stato adesso stoppato dal Consiglio di Stato: nel mezzo rimangono rifiuti che occorre poter gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità, un grattacapo non da poco per il nuovo Piano regionale rifiuti e bonifiche in fase di elaborazione.