Il futuro delle rinnovabili italiane in bilico tra consapevolezza e scetticismo

Il 78% delle persone vede vicina un’apocalisse ambientale, ma solo il 46% crede che tra 10 anni più della metà dell'elettricità sarà rinnovabile. Per un ritmo di crescita adeguato occorre installare impianti sul territorio, che si scontrano però con la sindrome Nimby

[4 Dicembre 2019]

Non sono (solo) gli ostacoli tecnologici o economici a lastricare di difficoltà la strada della transizione energetica verso un futuro più sostenibile: una trasformazione tanto complessa e urgente richiede la compartecipazione di tutta la società, e secondo quanto emerge dal sondaggio Ipsos Gli italiani e l’energia è necessario lavorare ancora molto su questo fronte.

Presentato oggi a Roma per la seconda giornata del Forum QualEnergia, organizzato come sempre da Legambiente, Editoriale nuova ecologia e Kyoto club, il sondaggio parte con delle rilevazioni positive: il 79% degli intervistati, infatti, ritiene che pur di salvaguardare l’ambiente dovremmo tutti essere disposti, fin da subito, a prestare molta attenzione al consumo di energia elettrica, facendo delle rinunce. In particolare, il 49% del campione è disposto a sostituire gli elettrodomestici con altri a minore consumo energetico, il 46% ad acquistare un’auto elettrica o ibrida, il 45% a risparmiare sull’utilizzo dei condizionatori, il 43% risparmiare sull’utilizzo del riscaldamento in inverno, il 25% a ricorrere a forme di sharing mobility.

Nonostante la situazione ambientale sia una preoccupazione a livello globale – il 78% delle persone teme che siamo vicini a un’apocalisse ambientale – l’eventualità di pagare un sovrapprezzo su energia e gas per favorire gli investimenti in fonti rinnovabili non convince tutti: il 49% del campione si dimostra disponibile, ma è comunque disposto a pagare molto poco (solo il 3% degli intervistati si dice disposto a pagare una maggiorazione superiore al 10%), mentre il 51% degli intervistati non lo è per niente. Al proposito occorre precisare che, paradossalmente, ad oggi lo Stato italiano investe 14,7 miliardi di euro all’anno per incentivare la diffusione dell’energia pulita, meno di quanto spende per sussidiare i combustibili fossili (almeno 16,8 miliardi di euro all’anno).

Secondo quanto emerso dal sondaggio, inoltre, per gli italiani il settore energetico potrebbe fungere da traino per un modello di sviluppo sostenibile, ma le aziende che ne fanno parte non godono di un elevato favore e anche a livello globale devono affrontare importanti sfide a livello reputazionale. Complessivamente ne risulta una situazione in cui gli italiani sono convinti che l’energia da fonti rinnovabili sarà il prossimo futuro, anche se permane ancora dello scetticismo: secondo il 46% degli intervistati tra 10 anni più della metà della produzione di energia elettrica arriverà dalle rinnovabili, per il 27% sarà ancora a meno della metà, per il 15% la maggioranza della produzione arriverà ancora dalle fossili e solo il 12% degli intervistati crede che si arriverà a coprire con le fonti rinnovabili il 100% o quasi della produzione di energia elettrica.

Come testimonia l’ultima Relazione sullo stato della green economy, i fatti – o meglio le stime preliminari del Mise per il 2018 – dicono che la produzione di elettricità da fonti rinnovabili ha quasi raggiunto i 115 TWh, contribuendo per il 34,5% alla domanda di energia elettrica (+3%) italiana, dopo che nel 2017 la produzione di elettricità da fonti rinnovabili aveva raggiunto il picco più basso degli ultimi cinque anni. Allargando il campo d’osservazione, le fonti energetiche rinnovabili, con circa 22 Mtep, hanno soddisfatto il 18,3% del fabbisogno energetico dell’Italia nel 2017, contro il 17,5% della media europea; un risultato che da una parte sembra incoraggiante, ma dall’altra risulta in larga parte un’eredità del passato. I dati provvisori del Gse per il 2018 indicano infatti un consumo da fonti rinnovabili pari a 21,8 Mtep, ovvero 200 ktep in meno rispetto al 2017, e soprattutto la quota di rinnovabili sui consumi complessivi del Paese è cresciuta solo di un punto percentuale nell’arco degli ultimi cinque anni: un tasso di crescita troppo basso e insufficiente. L’obiettivo del 30% di Fer indicato per il 2030 nel Piano energia e clima in corso di definizione – pur insufficiente per rispettare la traiettoria dell’Accordo di Parigi – richiederebbe invece che ogni anno fosse conseguito un punto percentuale di crescita.

Per riprendere a crescere a un ritmo adeguato, com’è ovvio, occorre installare impianti sul territorio. E qui il delicato equilibrio tra consapevolezza e scetticismo degli italiani di fronte alla transizione energetica riemerge in tutte le sue contraddizioni: secondo gli ultimi dati raccolti dall’Osservatorio media permanente Nimby forum il comparto industriale più contestato in Italia è quello energetico con il 57,4%, con le opposizioni, orientate in maniera preponderante verso gli impianti da fonti rinnovabili (il 73,3% sul totale del comparto). Una contraddizione evidente che, per essere affrontata in modo adeguato, va portata alla luce e che invece viene cavalcata sempre più spesso da una classe politica a caccia disperata di consensi a breve termine: la realtà dei fatti è che nella maggioranza assoluta dei casi (51,6%) sono proprio enti pubblici e politica – forti rispettivamente del 26,3% e 25,4% delle contestazioni – a opporsi a impianti e opere pubbliche.