Il Recovery fund non sia l’ennesima occasione persa per il settore idrico

Più che la mancanza di risorse, a frenare gli investimenti a lungo termine è la scarsa capacità degli enti di governo di coltivare una visione di lungo periodo

[20 Novembre 2020]

Nel 2021 saranno trascorsi 50 anni da quando venne pubblicato il rapporto dalla Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo. A più di 30 anni dalla prima vera presa di coscienza degli indirizzi indicati dalla Commissione, avvenuta grazie alla Legge sulla difesa del suolo del 1989, molte risorse sono state spese; ma per gestire le emergenze e riparare i danni, non certo per sistemare la parte idraulica né per difendere il suolo dalla progressiva cementificazione. Il ritardo con cui l’Italia ha dato vita ai distretti idrografici e all’attuazione della riforma delineata dalla legge Galli, a causa della prevalenza delle logiche di campanile, hanno fatto il resto.

Limitando l’analisi al settore degli usi civili, qualche segnale di ripresa sugli investimenti si è registrato, ma il deficit resta elevato in particolare al Sud. La fotografia nazionale con l’evidenza delle procedure d’infrazione comunitaria per la depurazione ne è la dimostrazione più diretta. Eppure in questi anni, per questo tipo di investimenti a lungo termine, non mancavano di certo le risorse finanziarie: mancava piuttosto una capacità degli enti di governo di coltivare una visione di lungo periodo, a partire dalla necessità di individuare un gestore e favorire la crescita di imprese efficienti.

In nome del bene comune si sono rinviate scelte decisive e, in alcuni territori, il divario sarà difficilmente recuperabile. Le stesse autorità di regolazione e controllo, ad iniziare dall’Antitrust, non sembrano assumere come obiettivo principe la crescita di soggetti industriali capaci di dare risposte efficaci nel breve e lungo termine; meglio perseguire pervicacemente un disegno di frammentazione industriale che ha come risultato quello di far coincidere il cosiddetto “mercato rilevante” con l’ombra di ciascun campanile.

Certo l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (Arera) ha il merito di aver fatto ripartire gli investimenti e, a differenza del settore autostradale, riconosciuto solo i costi degli investimenti realizzati, ma per il resto non potrà, senza una terapia d’urto, che registrare un crescente divario territoriale nei servizi offerti. La discussione in corso sull’allocazione delle risorse sul Recovery fund evidenza in modo netto tale situazione.

La frammentazione gestionale non può che produrre progetti di dimensioni ridotte, che difficilmente passeranno al vaglio dei requisiti comunitari. Avranno successo quelli di grandi dimensioni, allocati dove esistono imprese in grado di progettare, realizzare e mettere in esercizio gli impianti. Il rischio è di registrare un’altra occasione persa, a meno di non accompagnare il Recovery plan con una serie di misure sull’ordinamento che consentano di rimuovere almeno in prospettiva gli ostacoli. Non si tratta di nominare altri Commissari straordinari ma di rimuovere gli ostacoli al fare impresa, alla realizzazione degli investimenti. A livello di governance molte proposte sono sul tavolo, serve solo decidere.

Dopo 25 anni dalla legge Galli, sull’uso delle risorse idriche è possibile sostenere che, dove non operino concretamente Enti d’ambito, di default l’ambito divenga quello regionale? Dopo decenni senza l’individuazione del gestore unico secondo le modalità previste dall’ordinamento comunitario, è possibile procedere, in quei territori, ad un affidamento ad un soggetto terzo, efficiente, per un periodo congruo a consentire il ritorno degli investimenti? E’ possibile rimuovere i divieti gestionali e burocratici, portatori di inefficienze, per le imprese a controllo pubblico che abbiano una solida struttura economica e finanziaria? Possibile che il modello di gestione del ciclo idrico separato tra adduzione, distribuzione e depurazione con risultati catastrofici, debba ancora prevalere in alcune regioni del Sud? Possibile che l’allarme lanciato per investimenti di mitigazione con riferimento al cambiamento climatico in certi territori non interessi nessuno?

Domande a cui non è difficile rispondere, ma che la politica, in particolare quella locale, abilmente evita. Non mancano soggetti pronti ad investire, nel settore ci sono operatori del settore che hanno dimostrato sul campo di saper raggiungere obiettivi sfidanti, ne è praticabile un’investitura nazionale per legge come suggerito da qualcuno. Naturalmente c’è lavoro per tutti, ma nella giusta direzione. E’ arrivato per la politica il momento delle scelte.

di Adolfo Spaziani, Utilitalia