Un’iniziativa Confindustria, Confartigianato imprese, Cna, Casartigiani, Claai, Confcommercio, Confesercenti, Confagricoltura, Confcooperative, Legacoop e ConfApi

Imprese per l’economia circolare, 10 associazioni datoriali firmano la Carta per la sostenibilità

«Nella società del mercato in cui la domanda è “quanto costa”, noi siamo quella parte di operatori economici che ritengono che la nuova stagione si debba basare anche sul “quanto vale”»

[20 Febbraio 2019]

L’economia circolare è un tema cruciale per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese, sul quale si predica molto ma al contempo si pratica poco. Per questo rappresenta un’iniziativa di rilievo che dieci tra le più importanti associazioni datoriali italiane – Confindustria, Confartigianato imprese, Cna, Casartigiani, Claai, Confcommercio, Confesercenti, Confagricoltura, Confcooperative, Legacoop e ConfApi – abbiamo sottoscritto ieri unitariamente una Carta per la sotenibilità e la competitività delle imprese nell’economia circolare, che rappresenta un primo impegno condiviso a partire da un semplice dato di fatto: per affrontare le sfide poste dall’economia circolare è necessario un cambio di approccio da parte di tutti gli stakeholders e il coinvolgimento del sistema economico nel suo complesso.

«L’impegno verso la sostenibilità – argomenta al proposito la delegata Confcommercio Patrizia Di Dio – deve saper coinvolgere tutti: il mondo imprenditoriale così come le istituzioni. Senza misure condivise e coordinate sarà difficile passare da un’economia lineare a una circolare».

Per questo il documento individua 10 linee di intervento e punti programmatici che, attraverso un percorso di impegni concreti, sarà la base per l’avvio di un confronto con gli interlocutori istituzionali. Al primo punto spicca la necessità di abbattere le barriere non tecnologiche all’economia circolare, ovvero “le criticità di tipo normativo, autorizzativo e di controllo derivanti da un approccio restrittivo del legislatore e degli enti preposti al controllo e al rilascio delle autorizzazioni, che di fatto rendono conveniente e preferibile, se non addirittura inevitabile, la gestione dei residui di produzione come rifiuto anziché come sottoprodotto o come materiale ai sensi dell’articolo 185, comma 1 lett. f) del D.lgs. 152/2006, ovvero penalizzano l’avvio di tali residui ad operazioni di riciclo/recupero”; si tratta di un tema di stringente attualità, che purtroppo dimostra lo stallo che da quasi un anno paralizza il mondo del riciclo, a causa della mancanza dei decreti normativi sull’End of waste.

Se questo è lo stato dell’arte, non stupisce che le imprese indichino tra le priorità quella di “ridurre la burocrazia e gli adempimenti amministrativi”, una necessità che fa il paio con quella di “sostenere gli investimenti per la sostenibilità innalzando la capacità impiantistica “virtuosa” del Paese, favorendo l’efficienza degli impianti di riciclo e recupero esistenti, valutando la necessità di costruirne di nuovi e limitando al minimo la presenza di discariche sul territorio, in coerenza con i principi dell’economia circolare”. Non c’è infatti economia circolare senza la presenza sul territorio degli impianti industriali necessari a gestire – a tutti i livelli – le oltre 160 milioni di tonnellate di rifiuti che ogni anno l’Italia produce.

Al contempo, non ha senso differenziare i rifiuti e avviarli a recupero se poi questi materiali non vengono ri-acquistati sul mercato: un deficit dove le pubbliche amministrazioni presentano un’ampia responsabilità, in quanto tremendamente indietro nell’applicazione degli acquisti verdi: «È importante – si osserva al proposito nella Carta firmata ieri dalle associazioni datoriali – accompagnare e favorire il percorso del Green public procurement e porre particolare attenzione alla disciplina dei Criteri ambientali minimi (Cam), che necessitano un percorso di revisione dei criteri già emanati per renderli maggiormente adeguati alle caratteristiche del sistema economico italiano».

Sostenere inoltre la ricerca e l’innovazione, promuovere la cultura della sostenibilità “attraverso un’efficace e corretta comunicazione” oltre a valorizzare l’apporto della parte sociali sono tutti punti le associazioni datoriali intendono perseguire. «Siamo sicuri – conclude Di Dio – che ci siano già molte imprese pronte ad affrontare le nuove sfide ambientali, imprenditori e imprenditrici che si interrogano sulla dignità del proprio lavoro e delle proprie  imprese. Nella società del mercato in cui la domanda è “quanto costa”, noi siamo quella parte di operatori economici che ritengono che la nuova stagione si debba basare anche sul “quanto vale”. Crediamo che l’economia del futuro debba essere l’economia del Bene Essere, consapevoli che ciò richiederà un cambio di approccio da parte di tutti gli stakeholders e il coinvolgimento fattivo del sistema Paese nel suo complesso».