Innovazione e “bio” per rendere davvero il gas una fonte di transizione energetica per l’Italia

Macrì (Utilitalia): «Necessario approfondire il ruolo e le potenzialità del biometano, gli usi finali del gas naturale liquefatto e l’importanza delle tecnologie innovative per un migliore sviluppo del settore»

[13 Giugno 2019]

Il gas metano rappresenta in assoluto la fonte fossile più utile per la fase di transizione energetica che stiamo vivendo, in quanto impatta meno delle altre in termini di inquinamento atmosferico e riscaldamento globale, ma solo se il suo impiego è incentrato con chiarezza all’interno di un orizzonte 100% rinnovabile. «Il sistema gas – ha spiegato il vicepresidente di Utilitalia Francesco Macrì, intervenendo a Milano al Forum UNI-CIG – mantiene un’importanza primaria non solo ai fini della stabilità del sistema energetico, ma anche del supporto nella realizzazione degli obiettivi prefissati dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima; in quest’ottica, è necessario approfondire il ruolo e le potenzialità del biometano, gli usi finali del gas naturale liquefatto e l’importanza delle tecnologie innovative per un migliore sviluppo del settore».

Ad oggi il gas ricopre infatti un ruolo rilevante con il 34,6% di contributo al consumo interno lordo di energia: 70.914 milioni di metri cubi distribuiti principalmente tra il settore residenziale (con il 40,7% dei consumi), industriale (20,4%) e quello dei trasporti (1,5%). E in questo contesto in particolare il biometano rappresenta una grande opportunità ancora inesplorata per il nostro Paese; si tratta infatti di un biocombustibile che si ottiene sia dagli scarti di biomasse di origine agricola, sia dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani derivante dalla raccolta differenziata, e guardando a quello producibile solo nel solo settore agricolo si stima che coprire il 12% dei consumi attuali di gas nazionali, con evidenti vantaggi ambientali e economici.

È solo in questo contesto volto al rapido incremento delle fonti rinnovabili, con l’impiego del gas fossile come fonte di transizione, che può avere un senso anche il completamento di strutture energetiche il gasdotto Tap – sul quale anche il Governo M5S-Lega ha fatto cadere le resistenze. Si tratta di «un percorso necessario per garantire costi energetici diversi e un miglior approvvigionamento del sistema», commenta Macrì (nella foto, ndr). In quest’ottica l’Italia ha le carte in regola per veicolare «un’infrastruttura energetica di trasporto per l’Europa grazie alla propria collocazione geografica, che permette di utilizzare i terminali Gnl per l’approvvigionamento energetico consentendo quindi un ulteriore rifornimento per l’intero comparto europeo». Di conseguenza, i tradizionali operatori gas dovranno sempre più confrontarsi con tematiche di accesso diffuso nelle reti di gas energivori diversi da quello naturale come «il biometano, i gas di sintesi, le tecnologie innovative Power-to-gas e il possibile utilizzo diffuso dell’idrogeno».

Anche alla luce delle prospettive pur non ambiziose del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, diventa «fondamentale che le infrastrutture esistenti ma soprattutto le politiche di indirizzo dei futuri investimenti siano orientate verso soluzioni impiantistiche che consentano l’impiego di nuovi gas, in una ottica di diversificazione energetica rispetto alle fonti fossili. Sono probabilmente maturi i tempi affinché si avvii un profondo processo di rivisitazione dei meccanismi di gara, quanto meno rimettendo in discussione i criteri di valutazione degli investimenti, affinché stazioni appaltanti e operatori diano un maggiore rilievo agli interventi di reale innovazione tecnologica nel quadro delineato dal Pniec».

Del resto «un settore che non investe come ‘sistema’ nell’innovazione e nello sviluppo è destinato lentamente a decrescere e sparire – conclude il vicepresidente di Utilitalia – È necessaria una ‘regia di sistema” fra gli operatori del settore e le imprese, per dare vita a un network di innovazione e sviluppo che permetta di restare competitivi, altrimenti il settore rischia di non essere più all’altezza delle nuove situazioni tecnologiche. Il progresso avanzerà comunque, a prescindere dal fatto che le aziende italiane siano in grado di cavalcarlo, oppure siano costrette a rincorrerlo».