Si stimano 53mila occupati in meno

Irpet, in Toscana crollo dei consumi e Pil a -13%. Nel 2021 risalirà forse del 4,9%

Il modello di crescita incentrato sull’export sta mostrando tutti i suoi limiti. Occorre spingere sullo sviluppo sostenibile dei territori, a partire dai servizi pubblici locali

[11 Dicembre 2020]

Una crisi, per la Toscana, peggiore di quella del 2008-2009. Che si evidenzia con i numeri della produzione industriale che segna un -17 % e poche prospettive di ripartenza a breve tranne l’eventuale ‘effetto vaccino’. È una fotografia assolutamente drammatica quella scattata dall’Irpet e spiegata in Consiglio regionale dal suo direttore Stefano Casini Benvenuti durante l’audizione sulle prospettive economiche della Toscana che si è svolta in commissione Sviluppo economico e rurale e durante la quale è intervenuto anche l’assessore all’Economia, Leonardo Marras.

Per Casini Benvenuti la gravità della situazione attuale rispetto a 12 anni fa è “che allora si trattava di una crisi interna, mentre oggi le cause non sono dipendenti dagli operatori economici, bensì da un elemento esterno, la pandemia, che ha prodotto fin da subito il crollo delle importazioni di componenti dalla Cina a cui si è poi aggiunto il fermo forzato delle produzioni con il lockdown”. Secondo i dati in possesso di Irpet, in Toscana il crollo delle produzioni industriali è pari al -17% (in Italia il dato è -13%), per effetto del crollo delle esportazioni e del turismo. Il settore manifatturiero più colpito è quello della moda, mentre hanno retto l’alimentare e il farmaceutico. La novità assoluta è la contemporanea caduta del settore terziario (commercio, ristorazione, ecc.), dove gli unici comparti che hanno retto sono quello dell’alimentare e dell’informatica.

Le ricadute sul lavoro, ha spiegato il direttore di Irpet, “non sono ancora evidenti nei dati, anche per effetto del blocco dei licenziamenti”, tuttavia si stimano 53mila occupati in meno, soprattutto per il mancato ingresso di disoccupati e inoccupati nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda il Pil, per la Toscana si stima un -13% (il dato italiano è -12%), che lascia prefigurare una analoga diminuzione di ore lavorate, e quindi occupazione, nel prossimo futuro. In calo i consumi, mentre gli investimenti subiscono un crollo, “aggravando un fenomeno già evidente – ha sottolineato Casini Benvenuti – se pensiamo che negli ultimi dieci anni, nel paese, gli investimenti si sono ridotti di 1.300 miliardi”. E ha aggiunto: “Difficile fare previsioni per la ripresa, perché tutti gli scenari sono possibili. La speranza è che l’arrivo del vaccino possa ingenerare un’euforia come accade nel periodo post bellico”.

Lo scenario è che l’economia toscana possa segnare una crescita di Pil del 4,9% nel 2021, ma i fattori in gioco non consentono di dare certezze. Un ruolo fondamentale, ha concluso il direttore di Irpet, potranno giocarlo gli stanziamenti straordinari e ordinari europei, grazie ai quali poter raddoppiare gli investimenti pubblici, che negli ultimi anni si sono aggirati intorno a una cifra che oscilla tra i 2 miliardi e i  2,5 miliardi di euro  l’anno.

Al proposito il direttore generale della Regione, Antonio Davide Barretta, alcuni giorni fa ha spiegato che l’importo del Recovery fund destinato alla Toscana sarà di “circa 12,5 miliardi di euro”. Risorse che andranno ad aggiungersi a quelle previste dal programma dei fondi europei 2021-2027, con la differenza – ha comunque avvertito Barretta – che al contrario di quelle del programma ’21-’27, “è ancora molto incerto quante delle risorse in arrivo dal Recovery Fund saranno poi gestite direttamente dalle Regioni”.

Vedremo, ma davvero potrebbero esserci le possibilità di un vero e proprio rilancio, che può essere solo quello ‘sostenibile’, ambientalmente, socialmente e economicamente. Buon esempio sono i servizi pubblici che hanno mostrato tutta la loro indispensabilità nel bel mezzo della crisi sanitaria causata dal Covid-19 e che hanno “pronto all’uso – come ha recentemente dichiarato Alfredo De Girolamo, presidente Cispel Toscana – una strategia complementare che punta sullo sviluppo sostenibile e in particolare sui servizi pubblici. Una proposta da 10 miliardi di euro da realizzarsi in 5-7 anni, se ce ne sono le condizioni”.

“Quando si parla di fondi europei la Toscana c’è e se chiamata in causa ha la possibilità di mettere in campo proposte, progetti e soprattutto una visione”, osserva nel merito Francesco Gazzetti (Pd) nelle vesti di presidente della Commissione, all’interno della quale “tutti i passaggi decisivi e le questioni inerenti potranno trovare casa, occasione di riflessione e confronto e possibile condivisione delle scelte”.

Sullo stato dei lavori, dal Consiglio emerge che la Toscana ha già messo a fuoco le sei macro-missioni, ma nel corso della seduta la consigliera Irene Galletti (M5S) ha chiesto approfondimenti sulle missioni, “per le quali manca ancora l’indicazione dei cluster”.

“La dimensione del fenomeno di crisi è così ampio che la Regione non riesce, da sola, a dare una risposta completa – precisa l’assessore Marras – nonostante questo, abbiamo messo in campo tutte le iniziative possibili e altre ne prevediamo per l’immediato futuro”.

Secondo i dati di Bankitalia in relazione al decreto liquidità, alle imprese toscane sono stati erogati crediti per 8,5miliardi, “e questo grazie anche al sistema di garanzie attivato dalla Regione”. Al fabbisogno di liquidità delle imprese, rimodulando i Fondi europei, la Regione ha contribuito con stanziamenti per quasi 210milioni. Sono stati già pubblicati i bandi per la microinnovazione o digitalizzazione (10milioni) e gli investimenti (115milioni); sono nella fase istruttoria, invece, i bandi per l’internazionalizzazione (3milioni), le start up innovative (1,5milioni) e la ricerca e sviluppo (50milioni). Gli aiuti, ha sottolineato Marras, hanno interessato in parti uguali tutte le dimensioni di impresa (piccole, medie e grandi).

“L’elemento critico – ha concluso Marras – è che il 90% dei finanziamenti è stato richiesto da aziende che sono collocate in aree urbane o periurbane, mentre solo il 10% è stato richiesto da imprese che operano in zone periferiche”. Un dato che cozza con uno sviluppo realmente inclusivo e sostenibile.