Istat: aumentano ancora gli italiani che emigrano all’estero, diminuisce l’immigrazione di stranieri

L’Italia perde giovani e competenze, il sud si spopola. Ecco il vero problema migratorio dell’Italia

[20 Gennaio 2021]

L’Istat ha pubblicato il suo nuovo  report “Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente” che dovrebbe essere una lettura obbligatoria per molti di coloro che in questi ultimi due giorni sono intervenuti al  Camera e al Senato per la tribolata fiducia al governo Conte.

Infatti, dalle aride cifre dell’Istat emerge ancora una volta che il problema del nostro vecchio e incanaglito e impaurito Paese non è l’immigrazione di stranieri ma l’emigrazione di Italiani verso altri Paesi, dove fugge  soprattutto chi ha competenze o è in cerca di un futuro migliore.

E la sorpresa è che ad emigrare all’estero sono soprattutto gli italiani del nord, dove più forte è la xewnofobia anti-immigrati. Verrebbe da dire «Prima i migranti italiani».

Ma veniamo alle cifre dell’Istat: «Nel 2019 il volume complessivo delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di 180mila unità, in aumento del 14,4% rispetto all’anno precedente. Le emigrazioni dei cittadini italiani sono il 68% del totale (122.020). Se si considera il numero dei rimpatri (iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini italiani), pari a 68.207, il calcolo del saldo migratorio con l’estero degli italiani (iscrizioni meno cancellazioni anagrafiche) restituisce un valore negativo di 53.813 unità. Il tasso di emigratorietà dei cittadini italiani è pari a 2,2 per mille».

E il rapporto spiega che è dall’opulento, ex secessionista ed ora nazionalista, nord italico che partono i flussi più consistenti di migranti italiani all’estero: «In termini sia assoluti (59mila, pari al 49% degli espatri) sia relativi rispetto alla popolazione residente (2,4 italiani per mille residenti)». Mentre dal bistrattato Mezzogiorno che qualcuno vorrebbe mettere in fondo alla lista di distribuzione del vaccino anti-Covid per scarsa produttività «Si sono trasferiti all’estero oltre 43mila italiani (2,2 per mille)» Mentre dal Centro ex rosso «sono espatriati circa 19mila connazionali, con un tasso di emigratorietà (1,8 per mille) sotto la media nazionale».

L’Ista sottolinea che «La distribuzione degli espatri per regione di partenza mette in evidenza una situazione più eterogenea: la regione da cui emigrano più italiani, in valore assoluto, è la Lombardia con un numero di cancellazioni anagrafiche per l’estero pari a 23mila; seguono Sicilia e Veneto (entrambe 12mila), Campania (11mila) e Lazio (9mila). In termini relativi, rispetto alla popolazione italiana residente nelle regioni, il tasso di emigratorietà più elevato si ha in Trentino-Alto Adige (4 italiani per mille residenti). In Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Veneto, Sicilia, Molise, Lombardia e Abruzzo la propensione a emigrare è di circa 3 italiani per mille residenti. Le regioni con il tasso di emigratorietà per l’estero più basso sono invece Toscana, Liguria e Lazio, che presentano valori pari a circa 1,7 per mille».

Prima della definitiva Brexit, nel 2019 gli immigrati italiani nel Regno Unito hanno toccato un record con 31mila cancellazioni anagrafiche (+49% sul 2018), 25mila espatri in più del precedente record del  2016. Come secondo Paese di destinazione dei nostri emigrati c’è la Germania (poco meno di 19mila espatri, +4%), terzo posto per la Francia (13mila), seguita da Svizzera (10mila) e Spagna (6mila). Sembra di ripercorrere (Spagna esclusa) le tracce dell’emigrazione italioane (in gran parte clandestina) del dopoguerra. Tra i Paesi extra-europei, le principali mete di destinazione dei migranti italiani sono Brasile, Stati Uniti, Australia e Canada (nel complesso 16mila).

E dall’Italia partono anche gli italiani di origine straniera che tornano dove sono nati o se ne vanno a cercare vera fortuna in un altro Paese. Il rapporto Istat evidenzia che «Le emigrazioni di questi “nuovi” italiani, nel 2019, ammontano a circa 37mila (30% degli espatri, +5% rispetto al 2018). Di questi, uno su tre è nato in Brasile (circa 12mila), il 9% in Marocco, il 6% in Bangladesh, il 5% in Germania, il 4% nella ex Jugoslavia, il 3,8% in Argentina e il 3% in India e Pakistan». Sono i Paesi dell’Unione europea ad essere le principali mete anche degli espatri dei “nuovi” italiani (60% dei flussi degli italiani nati all’estero). «In particolare – dicono all’Istat –  con riferimento al collettivo dei connazionali diretti nei paesi dell’Ue, si osserva che il 17% è nato in Brasile, il 14% in Marocco, il 9% nel Bangladesh. Ancora più in dettaglio, i cittadini italiani di origine africana emigrano perlopiù in Francia (56%), quelli nati in Asia nella stragrande maggioranza si dirigono verso il Regno Unito (92%) così come fanno, ma in misura molto più contenuta, i cittadini italiani nativi dell’America Latina (38%). I cittadini nati in un Paese dell’Ue invece emigrano soprattutto in Germania (42%)»

Un italiano emigrato su 4 è laureato è il suo rutratto tracciato dall’Istat è questo: «Nel 2019, gli italiani espatriati sono prevalentemente uomini (55%). Fino ai 25 anni, il contingente di emigrati ed emigrate è ugualmente numeroso (entrambi 20mila) e presenta una distribuzione per età perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 13%».

Insomma, mentre in Parlamento si parla di futuro, stiamo perdendo i giovani che sono stati formati in Italia. Quel futuro e un pezzo di classe dirigente – forse la migliore – se ne sta andando all’estero.  E i rimpatri non risarciscono questo gap: «Nel 2019, considerando il rientro degli italiani di 25 anni e più con almeno la laurea (15mila), la perdita netta (differenza tra rimpatri ed espatri) di popolazione “qualificata” è di 14mila unità. Tale perdita riferita agli ultimi dieci anni ammonta complessivamente a poco meno di 112mila unità».

Sono in calo gli ingressi di cittadini stranieri in Italia: 265mila e meno 7,3% rispetto al 2018, mentre aumentano del 46% i rimpatri degli italiani (68mila). Chi parla di invasione di stranieri fa finta di non sapere che «A livello nazionale il tasso di immigratorietà totale è pari a 6 immigrati per mille residenti».

Il rapporto Istat sottolinea che «Dopo l’incremento dovuto alle regolarizzazioni e all’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione europea osservato nei primi anni 2000, gli ingressi dall’estero hanno avuto un lento declino. Dal 2015 al 2017 le immigrazioni sono tornate ad aumentare per via dei consistenti flussi provenienti dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, caratterizzati prevalentemente da cittadini in cerca di accoglienza per asilo e protezione umanitaria. Dal 2018 questi ingressi hanno subito una battuta d’arresto, continuando a diminuire nel corso del 2019».

E chi dice che è in corso un’invasione arabop/africana/musulmana fa finta di non sapere (anche se è stato ministro degli interni)  che «Nel 2019 le iscrizioni anagrafiche dall’estero dei cittadini stranieri provengono, in valore assoluto, soprattutto da Paesi europei: la Romania, con 35mila ingressi (13% del totale, -4%), si conferma il principale paese di origine. Meno numerosi i flussi provenienti dall’Albania (circa 23mila) ma in forte aumento (+29%) rispetto all’anno precedente. Seguono le iscrizioni dall’Ucraina (circa 7mila, -15%), Moldova (6,5mila, +13%) e dal Regno Unito (4mila, +68%)».

Tra gli immigrati di origine africana prevalgono quelli provenienti dal Marocco (oltre 19mila, pari a +16%, rispetto al 2018), dei quali però non parla più nessuno, preferendo puntare il dito razzista contro neri, siriani e afghani.  Sono invece più contenute, ma in aumento, i migranti provenienti da Egitto (9mila, +17%) e Tunisia (4mila, +25%).

Molto diversa la situazione per tutti quei Paesi che negli anni precedenti avevano fatto registrare ingressi record per motivi umanitari in Italia (spesso solo per transito) : le immigrazioni dalla Nigeria passano da 18mila nel 2018 a poco meno di 5mila (-72%), quelle dal Gambia da 6mila a meno di 2mila (-77%). Variazioni negative importanti anche per Mali (-76%) e Costa d’Avorio (-73%) che passano da oltre 5mila ingressi a poco più di mille.

Tra i flussi di migranti provenienti dall’Asia (anche questi poco “attenzionati” dai razzisti nostrani) continuano ad aumentare quelli dall’India (12mila, +10%), mentre già nel 2019 erano diminuiti quelli provenienti da Bangladesh (12mila, -14%), e Pakistan (10mila, -26%). In aumento le iscrizioni dalla Cina (10mila, +2%)  e dall’America Latina: dal Brasile si contano circa 22mila iscritti (+24%), raddoppiano i flussi provenienti da Argentina (5mila, +109%), stabili quelli provenienti dal Venezuela (2,4mila, -0,9%).

E, a ricordarci che prima i migranti eravamo noi, le immigrazioni di cittadini italiani (68mila) provengono in larga parte da Paesi che sono stati in passato mete di emigrazione italiana, in particolare da Brasile e Germania che insieme rappresentano il 18% dei flussi di immigrazione italiana. Il 7% dei flussi di rientro proviene dalla Romania, il 6% dal Regno Unito e il 5% dalla Svizzera. Per alcuni di questi immigrati di origine italiana è plausibile l’ipotesi del rientro in patria dopo un periodo di permanenza all’estero, magari da pensionati.

Aumenta ancora la migrazione interna degli italiani che nel 2019 ha superato 1 milione 485mila trasferimenti (+9% sul 2018). Variano in modo significativo i movimenti tra regioni diverse (interregionali, +14%) mentre i movimenti all’interno delle regioni (intra-regionali) fanno registrare un incremento dell’8%.

Il saldo migratorio per 1.000 residenti più elevato è in Emilia-Romagna (+4 per mille), nelle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente +3,3 e +2,7 per mille), Lombardia (+2,7 per mille) e Friuli-Venezia Giulia (+2 per mille). I tassi migratori netti più bassi si registrano in Calabria (-5,8 per mille), Basilicata (-5,2 per mille) e Molise (-4,4 per mille). In generale, le regioni del Centro-nord mostrano saldi netti positivi o prossimi allo zero, quelle del Mezzogiorno hanno perdite nette di popolazione. Le province più attrattive sono Bologna (+6 per mille), Parma (+5,4 per mille) e Monza-Brianza (+4,5 per mille). Le province che perdono più residenti sono Crotone (-10 per mille), Caltanissetta (-8,5 per mille), Reggio Calabria (-8 per mille), Enna e Vibo Valentia (-7 per mille). Su 5 persone che cambiano residenza 4 sono italiani: circa 1 milione 201mila (+8% rispetto al 2018) contro 284mila stranieri (+16%).

Il risultato è che le Regioni del Sud continuano a perdere risorse umane qualificate, con una perdita netta di 521mila residenti, quanto la popolazione della Basilicata, che si sono trasferiti al centro-nord . E nel  2019, la quota più significativa di trasferimenti dal sud si è registrata  nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni (53%) e il 41% era in possesso di almeno la laurea e il 33% di un diploma.

I dati provvisori sull’andamento dei flussi migratori nei primi 8 mesi del 2020 evidenziano forte flessione delle migrazioni:  -17,4%. A causa delle misure di contenimento del Covid-19 ,  c’è stata una flessione del 6% per i movimenti tra comuni, del 12% per le cancellazioni anagrafiche per l’estero e del 42% delle immigrazioni dall’estero. Tuttavia, a partire da giugno 2020, tutti i flussi migratori sembravano aver ripreso ll loro trend per tornare quasi ai livelli pre-lockdown.

Il confronto tra il numero di ingressi nei primi 8 mesi del 2020 e il numero medio degli ingressi nello stesso periodo degli ultimi 5 anni mostra un calo drastico dei flussi provenienti dall’Africa: si riducono a poche centinaia gli immigrati provenienti da Gambia (-85%) e Mali (-84%), sono in forte calo  i nigeriani  (-73%), quasi dimezzati gli egiziani (-47%) e  i marocchini (-40%). Forti diminuzioni anche per gli ingressi da Cina (-63%), Brasile (-49%), e Romania (-48%). I flussi di immigrati che diminuiscono meno sono quelli provenienti dagli altri paesi dell’Unione europea: -12% da Svizzera e Francia, -10% dalla Spagna e -4% dalla Germania.

Analogamente, anche il flusso di emigrati italiani verso l’estero nel 2020 è in calo: «I flussi diretti in Romania si riducono del 34%, quelli diretti in Germania del 23%. Per i paesi extra europei la variazione negativa più importante si osserva per le emigrazioni verso Marocco (-61%) e Cina (-58%)».

Unico dato in controtendenza quello per trasferimento di residenza nel Regno Unito che fa registrare un aumento dei flussi del 63%. Ma l’Istat fa notare che «In questo caso va rilevato che verosimilmente non si tratta, come già detto, di reali spostamenti avvenuti nel 2020 ma piuttosto di “regolarizzazioni”, attraverso l’iscrizione all’AIRE, di individui dimoranti da tempo nel territorio britannico».