Istat, «la più grande riduzione delle tasse nella storia italiana» alza la pressione fiscale

[9 Gennaio 2015]

«La più grande riduzione delle tasse nella storia della Repubblica», ossia quella annunciata dal premier Matteo Renzi sotto il suo governo, a dispetto degli annunci parte in retromarcia. Secondo i dati diffusi oggi dall’Istat, ormai “fonte” di continue smentite sull’operato del governo, nel terzo trimestre del 2014 «la pressione fiscale è stata pari al 40,9%, superiore di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente».

Scendendo in dettaglio, nello stesso periodo le entrate totali dello Stato «sono aumentate, in termini tendenziali, dello 0,4%; la loro incidenza sul Pil (44,5%) è salita di 0,4 punti percentuali rispetto al corrispondente trimestre del 2013». Ma a leggere gli ultimi dati resi disponibili gufi e rosiconi non si nascondono solo all’interno dell’Istituto nazionale di statistica; sembra essere la stessa maggioranza delle famiglie italiane a non manifestare grande fiducia nell’opera renziana. Tenuto conto dell’andamento dei prezzi (in ribasso in tutta Europa, trascinate dalla picchiata del prezzo del petrolio) «il potere di acquisto delle famiglie consumatrici nel terzo trimestre del 2014 è aumentato dell’1,9% rispetto al trimestre precedente e dell’1,5% rispetto al terzo trimestre del 2013», eppure la spesa delle famiglie per consumi finali, «in valori correnti è risultata invariata rispetto al trimestre precedente e in lieve aumento (+0,4%) rispetto al corrispondente periodo del 2013».

La manovra-simbolo dell’avvento di Matteo Renzi sulla soglia di Palazzo Chigi, ossia il bonus da 80€, non è riuscito a rilanciare granché i consumi degli italiani. Che anzi continuano a diffidare del futuro ancor più che del presente, e mettono via in risparmi quel che possono, 80 euro compresi: «la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, misurata al netto della stagionalità, è stata pari al 10,8% nel terzo trimestre del 2014, in aumento di 1,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,9 punti percentuali rispetto al corrispondente trimestre del 2013».

Una dinamica che era del resto ampiamente prevedibile, come documentato anche su greenreport. Ma perché tagliare le tasse in tempo di crisi non funziona per rilanciare l’economia? Come spiegano gli amici di Keynesblog, anche se si danno 1.000 euro in più alle famiglie – come, ad esempio come nel caso del bonus renziano visto in ottica annuale – nessuno ci assicura che esse «utilizzeranno il nuovo reddito disponibile nelle stesse proporzioni del reddito precedentemente disponibile. In tempi normali è probabile che sia così, anche se sappiamo che più il reddito cresce maggiore sarà la percentuale risparmiata, ma quando la fiducia delle famiglie è depressa, come in una crisi, questa assunzione non è più vicina al vero. E’ anzi probabile che la nostra famiglia tenda a risparmiare buona parte di quei 1000 euro, ad esempio perché si teme di perdere il lavoro e quindi si risparmia a scopo precauzionale. Se poi la famiglia è indebitata, le probabilità che i consumi non risentano della manovra aumenta notevolmente. Al limite, possiamo supporre che l’intero reddito disponibile aggiuntivo venga risparmiato e non consumato. Cioè, per ogni unità aggiuntiva di reddito, il consumo aggiuntivo è pari a zero. Siamo di fronte al caso in cui la propensione marginale al consumo è nulla. Ed è proprio la propensione marginale al consumo (e non quella media) che va considerata quando dobbiamo calcolare il moltiplicatore relativo ad una manovra finanziaria».

Se invece consideriamo il caso in cui lo Stato non riduca le tasse ma aumenti la spesa, «le cose si presenteranno in modo del tutto diverso. Anche nell’ipotesi estrema di propensione marginale al consumo nulla, il solo fatto che la spesa sia aumentata ha già aumentato il Pil». Un’operazione che, sottolineano da Keynesblog, come dimostra il cosiddetto Teorema di Haavelmo, è possibile portare avanti «persino in caso di vincoli di bilancio pubblico», come quelli cui l’Italia e l’Europa si stanno autoflagellando da tempo.

Ma quel che più sembra mancare, in questo primo bilancio del governo Renzi, è un’idea chiara di sviluppo – quella che una volta si sarebbe chiamata politica industriale. Gli interventi a pioggia non funzionano, e neanche c’è la liquidità necessaria per sostenerli. Scegliere cosa può e cosa non può crescere rimane la priorità per uno sviluppo che possa dirsi sostenibile, e dunque – nel senso più proprio della parola – che possa perdurare nel tempo. Che sia con la riduzione mirata di tasse o imposte (ad esempio con un ribasso dell’Iva sui prodotti a minor impatto ambientale) o a maggior profitto con spese e investimenti pubblici (ad esempio col Green public procurement) finalmente intelligenti.