La bussola è l’Agenda Onu per lo sviluppo sostenibile

La fase 2 è iniziata davvero, ma per andare dove? La “normalità” di prima non è la risposta

Giovannini (ASviS): «L’obiettivo delle politiche pubbliche deve essere quello di ridurre al massimo gli effetti negativi dello shock e stimolare la “resilienza trasformativa” del sistema socioeconomico»

[18 Maggio 2020]

Dopo oltre due mesi di quarantena, oggi la fase 2 italiana inizia davvero con ri-aperture generalizzate lungo tutto lo Stivale. Per andare dove, però, ancora non è chiaro. Si vocifera – giustamente – che non dobbiamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema, ma allora quali dovrebbero essere i cardini della ripresa dopo l’emergenza sanitaria? Una bussola, chiara e concreta, la offre l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), con il suo rapporto Politiche per fronteggiare la crisi da Covid-19 e realizzare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, pubblicato nei giorni scorsi.

«L’Italia deve decidere che direzione prendere – spiega il portavoce dell’ASviS, Enrico Giovannini – se proseguire su quella indicata dalla legge di Bilancio per il 2020, molto più orientata alla sostenibilità delle precedenti, e degli orientamenti strategici dell’Unione europea o se, in nome della crescita del Pil a tutti i costi, sacrificherà i progressi fatti o programmati per i prossimi anni, primo fra tutti il processo di decarbonizzazione, la sicurezza dei lavoratori e l’equità sociale».

Una crisi economica come quella indotta dalla pandemia, nonostante le temporanee riduzioni nell’emissione di inquinanti, gas ad effetto serra e nella produzione di (alcuni) rifiuti, di per sé non porta benefici per lo sviluppo sostenibile. Anzi, peggiora la situazione.

Come argomenta l’ASviS lo shock da Covid-19 ha un grave impatto sul capitale economico (drastica riduzione della capacità produttiva, accelerata dalla caduta degli investimenti, e quindi dell’accumulazione di capitale; caduta della ricchezza attuale e prospettica), sul capitale umano (la disoccupazione e la sottoccupazione riducono le conoscenze degli individui; il lockdown ha un impatto negativo sulle attività formative nei confronti dei giovani, degli adulti e dei lavoratori) e sul capitale sociale (riduzione delle interazioni; difficoltà operative per il Terzo Settore).

Anche i temporanei effetti positivi sul capitale naturale, dovuti al lockdown, possono presto tramutarsi in rimbalzi negativi durante la ripartenza appena avviata: occorre adottare misure per lo smaltimento corretto di dispositivi di protezione individuali come mascherine e guanti, ridurre l’uso di plastica e altri materiali monouso nelle attività di ristorazione, evitare il ricorso generalizzato ai mezzi di trasporto privati e più in generale l’abbandono dei programmi di transizione ecologica e di decarbonizzazione. Già nel 2009, ad esempio, a causa della crisi finanziaria le emissioni globali di CO2 calarono dell’1,44% lasciando ben sperare sulle possibilità di introdurre un modello di sviluppo più sostenibile. Poi nel 2010 crebbero del 5,13%, ovvero molto più velocemente rispetto al pre-crisi, col risultato che ancora oggi siamo profondamente in ritardo rispetto agli obiettivi climatici imposti dall’Accordo di Parigi.

Per questo la ripartenza dev’essere segnata da investimenti per sostenere il sistema produttivo, l’occupazione, l’istruzione e per arginare povertà e disuguaglianze, in linea con l’Agenda 2030 e il Green deal europeo: occorre un deciso cambio di paradigma produttivo, che consenta al Paese di “rimbalzare in avanti”, scongiurando il semplice ritorno al passato, in coerenza con gli orientamenti europei.

Partendo da quest’evidenza il rapporto ASviS propone una serie di azioni, sia trasversali sia specifiche, a favore dello sviluppo sostenibile in tutte le sue dimensioni (economiche, sociali, ambientali e istituzionali).

Tra le più rilevanti spicca la semplificazione delle procedure amministrative per consentire un’attivazione rapida degli investimenti pubblici, anche in vista di un utilizzo tempestivo dei futuri fondi europei; l’accelerazione della transizione digitale come driver per lo sviluppo sostenibile, da affiancare a misure per la conciliazione tra vita e lavoro, con effetti positivi sulla mobilità e vantaggi per il clima e la qualità dell’aria; considerare centrale il capitale naturale, base della nostra salute, del nostro benessere e del modello di sviluppo, e promuovere un piano di azione per le politiche abitative riqualificando il patrimonio edilizio; salvaguardare e rafforzare l’infrastruttura culturale in tutte le sue forme, dalla scuola e dalla formazione continua per gli adulti, al turismo; più in generale il ripensamento del ruolo dello Stato, a integrazione e supporto dell’azione del settore privato, per la salvaguardia dei beni comuni e la promozione di comportamenti economici orientati al benessere di tutti. Ciò comporta l’accelerazione della transizione all’economia circolare, una maggiore protezione della salute e dei diritti dei lavoratori, l’estensione alle medie imprese dell’obbligo di rendicontazione dell’impatto sociale e ambientale della loro attività, l’introduzione di finanziamenti con garanzia pubblica per lo sviluppo sostenibile.

«L’obiettivo delle politiche pubbliche – conclude Giovannini – deve essere quello di ridurre al massimo gli effetti negativi dello shock e stimolare la “resilienza trasformativa” del sistema socioeconomico. Per questo si devono “ricostruire” al più presto tutte le forme di capitale deteriorato dalla crisi, specialmente quello umano».

L. A.