Ieri l’audizione sul Pnrr alle commissioni Ambiente e Industria del Parlamento

La Transizione ecologica del ministro Cingolani, tra lotta alla burocrazia e futurismo

Per le rinnovabili permitting più snello e decreto Fer 2, mentre per l’economia circolare si punta agli End of waste e a colmare il gap impiantisico di gestione rifiuti. Rispunta l’eterna promessa della fusione nucleare

[17 Marzo 2021]

Alle commissioni Ambiente e Industria del Parlamento si è presentato ieri un Roberto Cingolani di lotta e di governo: il ministro della Transizione ecologica è stato audito per molte ore, alla Camera e al Senato, con lo scopo di illustrare le linee programmatiche del dicastero e soprattutto l’approccio al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) atteso in Europa entro il 30 aprile.

Il Cingolani di governo è quello che traspare dal testo ufficiale dell’intervento in Parlamento (disponibile qui, la sintesi è allegata a coda di quest’articolo), incentrato sulla necessità di sostenere la transizione ecologica con una contemporanea transizione burocratica che permetta la messa a terra di progetti altrimenti destinati a rimanere – come finora – su carta.

«La transizione – conferma Cingolani – sta avvenendo troppo lentamente, anche nelle aree di maggior focus, ed in primo luogo a causa delle enormi difficoltà burocratiche ed autorizzative che riguardano in generale i settori infrastrutturali in Italia, ma che in questo contesto hanno frenato il pieno sviluppo di impianti rinnovabili o di trattamento dei rifiuti».

Da qui la necessità di rendere la transizione burocratica il «primo dei fattori abilitanti» del Pnrr, con cinque priorità così definite: semplificare gli iter autorizzativi per lo sviluppo di impianti rinnovabili (oggi tempi medi “effettivi” degli iter autorizzativi ben più protratti rispetto a quanto previsto dalle norme, fino a 4-5 anni); introdurre politiche di green procurement (che in realtà già ci sono e sono molto ampie, ma vengono sistematicamente ignorate dalla Pa vista anche la mancanza di sanzioni), assicurare una governance efficace per gli interventi di efficientamento energetico nell’edilizia pubblica; accelerare le procedure per gli interventi a mitigazione del rischio idrogeologico; sbloccare le soluzioni di gestione dei rifiuti che consentono di ridurre il conferimento in discarica ed aumentare il livello di circolarità (regolamenti end of waste, anch’essi in larga parte fermi al palo).

In tutti i casi «particolare attenzione sarà rivolta dal Dicastero al confronto con la cittadinanza e i portatori di interesse all’insegna di un dibattito pubblico che, nell’alveo degli strumenti della consultazione pubblica, assicuri l’informazione, il confronto (anche dialettico) e la composizione degli interessi».

Come migliorare in particolare la gestione dei rifiuti e dell’economia circolare? Il ministro della Transizione ecologica risponde in primis «ammodernando o sviluppando nuovi impianti di trattamento rifiuti, in particolare colmando il gap tra regioni del Nord e quelle del Centro-Sud (oggi circa 1,3 milioni di tonnellate di rifiuti vengono processate fuori dalle regioni di origine)». Una partita per la quale sarà cruciale la definizione del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti avviato dal precedente Governo. Il dicastero guidato da Cingolani, oltre a dedicarsi alla stesura dei decreti relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste), aggiornerà anche il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e revisionerà il registro della tracciabilità dei rifiuti.

Per quanto riguarda invece il fronte delle rinnovabili, Cingolani annuncia che il Pniec è «attualmente in fase di aggiornamento (e rafforzamento) per riflettere il nuovo livello di ambizione definito in ambito europeo», che «occorre definire il decreto – atteso ormai da anni – relativo agli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (cd. Fer 2) ed estendere la durata temporale del cosiddetto Fer 1, al fine di consentire nuove procedure di asta o registro anche dopo settembre 2021». Si procederà inoltre al «recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (Red II) e alla individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a energia rinnovabili».

Soprattutto, sono «già state avviate interazioni con il ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile per ricercare insieme proposte e interventi normativi, da sottoporre al vaglio parlamentare, atti a rendere le procedure più spedite, e con il ministero della Cultura per realizzare un sistema di permitting che offra procedure, tempi e soluzioni certe sull’intero territorio nazionale». Accorciando cioè i tempi che intercorrono tra la richiesta di valutazione ambientale di un investimento e il rilascio dei titoli necessari a poter “aprire il cantiere”, dato che ad oggi non si riesce ad erogare neanche gli incentivi già disponibili per le rinnovabili dato che mancano gli impianti.

Sulle rinnovabili il target è quello fissato dalla Ue, il 72% al 2030 (oggi la penetrazione nel settore elettrico italiano è al 38%): «Un’impresa epica» secondo il ministro, sottolineando che occorre «potenziare la ricerca e la produzione in Italia di tecnologie per la decarbonizzazione, per non dover dipendere dall’estero in questo settore strategico». Un capitolo sul quale c’è molto da lavorare, dato che il saldo commerciale nazionale sulle tecnologie low-carbon continua a peggiorare, mentre è indispensabile che alla strategia di decarbonizzazione se ne affianchi una di sviluppo industriale in grado di creare lavoro e competenze tecnologiche nei settori della green economy.

Incoraggia dunque sapere che il ministero della Transizione ecologica punta a «rafforzare la ricerca e lo sviluppo nelle aree più innovative» e a promuovere «lo sviluppo in Italia di supply chain competitive nelle aree a maggior crescita che consentano di ridurre la dipendenza da importazioni di tecnologie ed anzi di farne motore di occupazione e crescita». Si parla in particolare di tecnologie per la generazione rinnovabile, per l’accumulo elettrochimico, per la produzione di elettrolizzatori e di mezzi per la mobilità sostenibile come i bus elettrici.

Ma è proprio sul fronte tecnologico, paradossalmente quello più affine al curriculum del ministro, che il Cingolani di governo sembra scontrarsi con quello di lotta. Se nel documento programmatico ufficiale afferma che occorre «puntare decisamente sulla mobilità elettrica sviluppando una tecnologia degli accumuli che permetta di costruire una filiera nazionale delle batterie», l’intervento a braccio in Parlamento sembra andare in direzione opposta: «Fra dieci anni avremo l’idrogeno verde e le automobili che andranno a celle a combustibile. Le batterie le avremo superate, perché hanno un problema di dismissione, e staremo investendo sulla fusione nucleare, che ora sta muovendo i primi passi nei laboratori».

Peccato che ad oggi l’idrogeno appaia più promettente per la decarbonizzazione dei processi industriali pesanti rispetto alla mobilità, che l’Ue abbia già posto le batterie al centro della propria strategia per il Green deal – con le relative possibilità di recupero una volta giunte a fine vita –, e che la fusione nucleare secondo lo stesso Consiglio Ue nella migliore delle ipotesi produrrà elettricità non prima del 2050. Ovvero si tratta di una tecnologia futuribile, sebbene attesa da decenni, ma che sarà forse pronta quando la transizione energetica dell’Ue verso l’obiettivo emissioni nette zero dovrà essere già raggiunto.