Intervista all’economista ecologico e capogruppo M5S in commissione Ambiente

L’Abbate: «Il Pnrr italiano pecca di ambizione, la transizione ecologica non è opzionale»

«Concordo con le osservazioni delle associazioni ambientaliste, il Parlamento è pronto sia a recepire nuove istanze che a semplificare e vigilare che la ripresa del Paese sia realmente resiliente»

[5 Maggio 2021]

Il Consiglio dei ministri ha definitivamente approvato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Qual è il suo giudizio complessivo nel merito, in particolare per quanto riguarda la missione Rivoluzione verde e transizione ecologica?

«La grande rivoluzione prefigurata dal pacchetto di direttive europee sull’economia circolare varato nel 2018, già praticata da alcune imprese e filiere territoriali, non decollerà senza investimenti adeguati, che ancora oggi non ci sono, per la ricerca sui nuovi materiali, l’infrastrutturazione del Paese con impianti industriali per il recupero della materia per i rifiuti di origine domestica e produttiva, la riconversione di cicli e siti produttivi verso la nuova frontiera della bioeconomia.

La missione Rivoluzione verde e transizione ecologica, a mio avviso doveva essere trasversale. Tutto deve basarsi sul ripristino dell’equilibrio fra il sistema economico, quello ecologico e quello sociale. Non può esserci una ripresa economica se non tuteliamo il capitale naturale, considerato il capitale critico, limitato. La transizione ecologica non è una scelta opzionale, ma una stringente necessità.  Abbiamo una sfida globale da affrontare, il cambiamento climatico e la pandemia hanno colpito la salute dell’ecosistema e della comunità che vive all’interno di un sistema ecologico.

Le nostre scelte da policy maker devono permettere il passaggio, il più velocemente possibile, da un modello economico insostenibile ad un modello che pone attenzione alle  leggi della natura ed alla equa distribuzione delle risorse. Il Pnrr italiano pecca di ambizione e visione biocentrica. Sarebbe stato opportuno andare oltre il compitino dell’Unione Europea che richiedeva appunto il 37% del fondo per il green.

Tutte le azioni e le riforme devono essere attuate considerando il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. I progetti di riforestazione sono un’ottima cosa, come l’attenzione alla realizzazione di comunità energetiche, l’impegno preso per la decarbonizzazione con il passaggio alle rinnovabili, lo stoccaggio e la produzione di idrogeno: ma si giunge al 51% di riduzione delle emissioni climalteranti nel 2030 rispetto al 1990 contro il 55% richiesto dall’accordo legge clima Europea. La tutela delle risorse naturali e dei servizi ecosistemici hanno poco spazio nel Piano, manca la coerenza con le politiche europee per la tutela della biodiversità, della risorsa idrica, della strategia dal produttore agricolo al consumatore (“Farm to fork”).

Anche sull’economia circolare mi aspettavo una spinta maggiore, abbiamo alcune filiere virtuose in Italia che non decolleranno senza investimenti adeguati. Un supporto all’ecodesign sistemico è fondamentale: la ricerca di nuovi materiali e nuovi processi a basso impatto ambientale, il recupero di materia dai rifiuti, la costruzione della filiera inversa per chiudere il ciclo».

Crede che con la regia del premier Draghi siano stati apportati significativi miglioramenti rispetto alla bozza proposta dall’ex presidente Conte?

«Il Recovery plan inviato in Parlamento dal Governo Draghi non è cambiato in modo sostanziale rispetto a quello del Governo Conte, credo che i miglioramenti siano dovuti semplicemente alla possibilità che si è avuta di chiudere il piano, cosa che è stata frenata della crisi di governo innescata irresponsabilmente. Una lieve diminuzione vi è in alcuni fondi a discapito di altri: purtroppo scende l’investimento per il superbonus 110%, mentre è previsto un aumento per idrogeno e trasporto pubblico locale. Per le infrastrutture calano di poco sia i fondi sull’alta velocità, che quelli per la logistica. L’ultima macro-differenza è la governance: il presidente Conte aveva rimandato a un decreto ad hoc, mentre il presidente Draghi ha incardinato il coordinamento centrale al ministero dell’Economia».

Il Parlamento ha avuto pochissimo tempo per valutare il testo del Pnrr approntato dal Governo Draghi, prestando il fianco a critiche sull’effettiva partecipazione democratica alla stesura del testo. Come sarà possibile tamponare questa lacuna?

«Qualche giorno in più sarebbe stato utile, e inoltre ci rammarica non aver ritrovato nel testo molte osservazioni e proposte inserite nella relazione che tutti i parlamentari hanno presentato e votato in Senato. In futuro ci auguriamo di essere posti al corrente sui progetti e sugli avanzamenti del Piano».

 

Nonostante le principali associazioni ambientaliste siano state ascoltate dall’esecutivo al momento del suo insediamento, Greenpeace, Legambiente e Wwf hanno poi espresso dure critiche – oltre a qualche apprezzamento – all’impianto del Pnrr. Crede che il Parlamento saprà dare ascolto alle loro istanze?

«Personalmente concordo con le osservazioni delle associazioni ambientaliste: sarò di parte? Forse sono semplicemente più un “tecnico” che un politico e affronto le problematiche studiandole con il supporto di basi scientifiche. Il Parlamento ha già dato voce alle loro proposte e molte sono state inserite nella nostra relazione, ma appunto non sono state recepite e inserite nel Piano, mi auguro per mancanza di tempo o perché il Piano segue alcune linee in generale e magari in seguito con i progetti si scenderà nel particolare.

Il premier Draghi durante l’approvazione del Pnrr ha anticipato che il ruolo del Parlamento diventerà fondamentale per l’attuazione del Recovery fund. Speriamo sia così, noi ci siamo, siamo sempre pronti sia a recepire nuove istanze che a semplificare, rimuovere intoppi e vigilare che la ripresa del Paese sia realmente “resiliente” sotto tutti i punti di vista: economico, ecologico e sociale».

Ipertrofia legislativa, complessità burocratica e sindromi Nimby – e soprattutto Nimto, non nel mio mandato – sono stati individuati tra i principali ostacoli alla concretizzazione della transizione ecologica. «Dobbiamo fare in modo che con le migliaia di nuovi cantieri non si inauguri una stagione di guerre civili per le contestazioni sul territorio», osserva nel merito il presidente di Legambiente. La politica saprà spiegare che la transizione ecologica non si compie a “impatto zero” ma tramite impianti industriali sostenibili?

«Sono ostacoli reali, ma nascono quando non si informa o non si coinvolge in prima persona tutti gli stakeholder a livello locale, questo nel caso Nimby. Per il Nimto, questo accade quando il  politico in questione pone al primo posto la sua riconferma e non il bene della comunità, o semplicemente non ha acquisito personalmente la consapevolezza della grandezza dell’azione che sta proponendo. La partecipazione di tutti ad una decisione è fondamentale, se saremo in grado di informare e educare alla cura del prossimo, inteso come altro essere vivente e come risorsa da tutelare, se sapremo spiegare che transizione ecologica non è costruire impianti, ma costruire tutelando l’ambiente e la salute dei cittadini allora potremmo procedere speditamente.

Deve essere garantita la trasparenza, nulla può essere imposto o calato dall’alto, ma trasparenza significa anche porsi una mano sulla coscienza e porre al primo posto il bene comune».

L. A.