Lavoro, la pandemia in Toscana si è portata via 26mila posti di lavoro rispetto al 2019

Irpet: «Le categorie più colpite dalla crisi occupazionale sono i giovani con meno di 35 anni, gli stranieri e le donne»

[31 Dicembre 2020]

Il confronto tra gli undici mesi del 2020 e del 2019 restituisce, su base tendenziale, una variazione negativa di 26mila posti di lavoro (-2,4%) in Toscana: un risultato composto dalla perdita di 34mila contratti a termine, compresi gli apprendisti, e dalla sostanziale tenuta dell’indeterminato (+8mila).

È quanto emerge dall’ultimo barometro Covid-19 dell’Irpet, pubblicato ieri, dove si spiega che il settore dei servizi turistici ha contribuito per più della metà alla contrazione complessiva dei posti di lavoro, seguono il commercio, gli altri servizi e la manifattura del Made in Italy, in particolare la moda. L’unico settore che ha un numero di dipendenti superiore ai livelli del 2019 è quello delle costruzioni, a seguito della ripartenza di attività quali i cantieri anti-dissesto idrogeologico o per l’edilizia residenziale pubblica, scolastica e penitenziaria.

Nel confronto con i primi undici mesi del 2019 le categorie più colpite dalla crisi occupazionale sono i giovani con meno di 35 anni, gli stranieri e le donne, poiché maggiormente attivi nei settori interessati per primi dalle chiusure e in cui è più frequente l’utilizzo di contratti a termine; tra i più giovani sono gli immigrati che hanno visto ridursi in misura molto accentuata le occasioni di lavoro, tra gli adulti sono le donne ad avere subito la contrazione maggiore, anche se in misura molto più contenuta rispetto ai giovani.

Ma il peggio, come già anticipato dall’Istituto regionale programmazione economica della Toscana, potrebbe ancora dover arrivare: finora le misure messe in campo dal governo hanno limitato il bagno di sangue occupazionale dovuto alla pandemia, ma il 2021 è carico d’incertezze. Occorre puntare su una ripartenza che possa essere davvero inclusiva e sostenibile, ovvero in grado di durare nel tempo: investendo in primis in quei settori che hanno mostrato la maggiore resilienza di fronte alla crisi e che al contempo costituiscono le colonne portanti di un’economia più verde, come i servizi pubblici essenziali, ricerca e istruzione, manifattura ad alto valore aggiunto.