L’economia circolare spera nel Recovery plan, ma dobbiamo imparare a spendere i fondi Ue

Ciafani (Legambiente): «Occorre semplificare di molto la normativa, a partire da quella sull’End of waste, completare l’impiantistica di riciclo e accelerare la creazione di un mercato dei prodotti riciclati»

[21 Ottobre 2020]

Per il 72% degli intervistati nel sondaggio Ipsos presentato oggi all’Ecoforum di Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club, il Recovery fund – ovvero il pacchetto di sussidi e prestiti individuato in sede Ue per sostenere la ripresa post-Covid – è importante per un rilancio green dell’economia all’insegna della circolarità, della sostenibilità e della lotta alla crisi climatica.

«La crisi climatica in atto e l’urgenza del rilancio dell’economia – commenta Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto club – ci impongono di scegliere la strada dell’uso efficiente delle risorse e dell’economia circolare. Un’economia che a partire dalla gestione intelligente e integrata dei rifiuti può consentirci anche di creare posti di lavoro e nuova impresa. A patto che si semplifichino norme troppo spesso barocche e che la strada indicata dalla politica sia coerente e non contraddittoria. Da questo punto di vista ennesimo rinvio dell’entrata in vigore della plastic tax di cui si sente parlare, sarebbe una vera sciagura».

Il problema principale sembra stare però nel groviglio di norme e burocrazia che rendono difficile investire in economia circolare anche le risorse che ci sono. Basti pensare che negli ultimi sei anni, a partire dal 2014, l’Italia è riuscita a spendere appena il 40% dei fondi europei destinati al Paese: anche se adesso arriveranno centinaia di miliardi di euro, non si può costringere il cavallo a bere.

«Con il recepimento del pacchetto di direttive europee sull’economia circolare – argomenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – si è definito il contesto in cui occorre muoversi da qui ai prossimi anni. Il raggiungimento, nei tempi previsti, degli obiettivi che l’Europa, e anche l’Italia, si è prefissata avverrà, però, se si faranno i giusti passi per completare al più presto la rivoluzione circolare del Paese e se si inserirà l’economia circolare tra i pilastri del Recovery plan italiano. Per questo tra gli interventi da mettere in campo per far accelerare l’economia circolare, occorre semplificare di molto la normativa, a partire da quella sull’End of waste, completare l’impiantistica di riciclo, a partire dal centro sud del Paese, e accelerare la creazione di un mercato dei prodotti riciclati, obiettivo ancora oggi disatteso».

È questo infatti uno dei principali freni all’economia circolare, come dettaglia l’ultimo osservatorio sugli appalti verdi (Gpp): l’Italia è il primo paese in Europa che ha introdotto dal 2016 l’obbligatorietà dei Criteri ambientali minimi (Cam) in tutte le gare d’appalto, ma su 170 miliardi di euro di spesa pubblica all’anno solo 40 rispettano questi criteri.

Altro problema fondamentale da affrontare per dare gambe all’economia circolare, come emerso chiaramente dall’Ecoforum, è quello dell’impiantistica per gestire correttamente i rifiuti che produciamo: non solo questi impianti non ci sono, ma i cittadini sfibrati da sfiducia e disinformazione spesso neanche li vogliono. Eppure senza di loro l’economia circolare resta una chimera.

«Auspichiamo che i finanziamenti europei che stanno arrivando per l’economia circolare siano usati – sottolinea al proposito Luca Ruini, presidente Conai – anche per risolvere il problema impiantistico. I nostri sforzi devono andare in questa direzione, oltre che in quella della ricerca di nuove tecnologie per il riciclo e della promozione di strumenti per l’eco-design».

I vantaggi ci sarebbero tutti, non “solo” dal punto di vista ambientale ma anche da quello socioeconomico, come mostrano già oggi i numeri dell’economia circolare italiana: «Questa nuova economia – snocciolano da Legambiente – vale 88 miliardi di euro ed impiega circa 575mila lavoratori, in particolare tra i giovani». Stando ai dati diffusi dalla Fondazione Symbola l’Italia «con il 79% di rifiuti totali avviati a riciclo presenta un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea (solo il 38%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei». Anche «la sostituzione di materia seconda nell’economia italiana comporta un risparmio annuale pari a 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO2»; inoltre «siamo primi tra i grandi Paesi Ue anche per riduzione dei rifiuti: 43,2 tonnellate per milione di euro prodotto» e «per ogni chilogrammo di risorsa consumata il nostro Paese genera, a parità di potere d’acquisto, 3,5 euro di Pil».

Eppure molte frazioni di rifiuti ancora non sappiamo come gestirle, vagano in cerca di impiantifinendo spesso all’estero o peggio alimentando i circuiti dell’economia illegale – e come risultato finale l’economia circolare nazionale ha iniziato a peggiorare. Se non vogliamo perdere l’ennesimo treno, occorre invertire rapidamente la rotta.