Il tasso di circolarità dovrà raddoppiare in un decennio

L’Europarlamento «accoglie con favore» il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare

«L’economia circolare ha la potenzialità di aumentare il Pil dell'Ue di un ulteriore 0,5% e di creare oltre 700.000 nuovi posti di lavoro entro il 2030». E invita gli Stati a inserirla nei Pnrr

[10 Febbraio 2021]

Con 574 voti favorevoli, 22 contrari e 95 astensioni, dal Parlamento europeo riunito in plenaria è arrivato ieri l’ok – insieme a una serie di raccomandazioni – al Piano d’azione per l’economia circolare promosso dalla Commissione Ue poco meno di un anno fa.

Secondo i deputati, sono necessari in particolare «obiettivi vincolanti per il 2030 sull’impronta ecologica dei materiali e dei consumi per l’intero ciclo di vita dei prodotti per ogni categoria di prodotto immessa sul mercato dell’Ue. Nel testo, si invita pertanto la Commissione a proporre obiettivi vincolanti specifici per prodotto e/o per settore relativi al contenuto riciclato. Inoltre, l’Europarlamento «esorta la Commissione a presentare una nuova legislazione nel 2021 che estenda l’ambito di applicazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile per includere i prodotti non legati all’energia. Ciò dovrebbe stabilire delle norme specifiche per prodotto, in modo che i prodotti immessi sul mercato dell’Ue forniscano prestazioni, durabilità, riutilizzabilità, riparabilità, non tossicità, possibilità di miglioramento, riciclabilità, contenuto riciclato ed efficienza dal punto di vista energetico».

Resta l’impianto originario del Piano d’azione, che ha lo scopo di «ridurre l’impronta dei consumi dell’Ue e raddoppiare la percentuale di utilizzo dei materiali circolari nel prossimo decennio, sostenendo al contempo la crescita economica». Ad oggi infatti, come rimarca l’Europarlamento, solo «il 12 % dei materiali utilizzati dall’industria dell’Ue proviene dal riciclaggio».

È questa la misura della nostra economia circolare, anzi ad essere precisi un po’ meno. Secondo i dati riportati da Eurostat (aggiornati al 2017) è leggermente più basso: 11,2%. In Italia va meglio, ma siamo comunque fermi al 17,7%, ovvero la media globale richiesta per affrontare in modo efficiente la crisi climatica in corso: un dato molto lontano rispetto a quanto richiesto per un Paese d’antica industrializzazione come il nostro.

Si tratta di un percorso obbligato, e non solo in termini ambientali. Non a caso l’Europarlamento nella relazione approvata ieri «reputa che l’economia circolare sia la strada che l’Ue e le imprese europee devono seguire per restare innovative e competitive sul mercato globale, riducendo nel contempo la loro impronta ambientale». Da ultimo anche la «pandemia di Covid-19 ha dimostrato la necessità di un contesto favorevole all’economia circolare», e per questo il Parlamento europeo «invita gli Stati membri a integrare l’economia circolare nei loro piani nazionali di ripresa e di resilienza».

Sul punto in Italia resta molto da lavorare, ed è l’occasione per agganciare finalmente il treno dello sviluppo sostenibile: «L’economia circolare ha la potenzialità di aumentare il Pil dell’Ue di un ulteriore 0,5% e di creare oltre 700.000 nuovi posti di lavoro entro il 2030, migliorando nel contempo la qualità dei posti di lavoro», concludono dall’Europarlamento.