Lezioni dalla pandemia: ripensare la mobilità guardando la futuro, non al passato

Servono misure senza precedenti per rimettere in moto l’economia e tra dieci anni ritrovarci con livelli di emissioni paragonabili a quelle di questi giorni di lockdown, ma con una vita di normali relazioni sociali: è questa la sfida della crisi climatica

[29 Aprile 2020]

A causa della pandemia scatenata dal nuovo coronavirus ci siamo tutti ritrovati improvvisamente all’interno di una specie di esperimento di massa, questa volta con gli esseri umani nella parte delle cavie. Le restrizioni che abbiamo dovuto mettere in campo hanno avuto un impatto enorme sui nostri comportamenti individuali e mutato gli assetti dei sistemi economici e sociali all’interno dei quali ci muoviamo. Questi cambiamenti hanno avuto ovviamente una ricaduta diretta anche su quelle pressioni che la nostra specie esercita sul pianeta e che nel corso del tempo hanno alimentato una crisi ecologica globale, di cui il cambiamento climatico rappresenta la principale, ma non unica, minaccia.

Nell’ambito dell’iniziativa Italy for Climate, lanciata a fine dello scorso anno dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e promossa da un gruppo di imprenditori particolarmente sensibili e impegnati nella lotta al cambiamento climatico, abbiamo voluto misurare, sulla base dei primi dati a consuntivo disponibili, l’impatto della pandemia sulle emissioni nazionali del principale dei gas serra, l’anidride carbonica. Analizzando i dati di fine marzo e delle prime settimane di aprile abbiamo potuto valutare quanto incidessero le restrizioni della fase così detta di lockdown sulle nostre emissioni di CO2: abbiamo stimato cautelativamente circa il 35% in meno rispetto a un ipotetico periodo senza restrizioni.

La cosa che probabilmente più ci ha colpito quando abbiamo chiuso i nostri conti è quanto questo valore sia incredibilmente simile al taglio che avremmo dovuto raggiungere nel prossimo decennio per rispettare l’accordo siglato a Parigi cinque anni fa, limitando l’innalzamento della temperatura tra 1,5 e 2°C rispetto al periodo pre-industriale. Ovviamente nessuno di noi si augura di raggiungere questo obiettivo vivendo come abbiamo fatto nelle ultime settimane.

Se guardiamo a quel numero, -35%, e alle nostre città, alle strade deserte, ai negozi e alle fabbriche chiuse, ci rendiamo conto di quanto sia sfidante rispettare questo impegno da qui al 2030, in un quadro di piena attività economica e industriale e di normali relazioni sociali, e di quanto profondamente dovremo cambiare le nostre tecnologie, il nostro modo di spostarci, di produrre e consumare energia, di lavorare. Tutto questo ha reso ancora più evidente l’urgenza di mettere in campo misure senza precedenti, esattamente come senza precedenti è stata questa crisi, per rimettere in moto l’economia e tra dieci anni ritrovarci con livelli di emissioni paragonabili a quelle di questi giorni ma con una vita, ci auguriamo, decisamente migliore di adesso e magari anche di quella che molti di noi hanno conosciuto prima della pandemia.

Per questo è andato crescendo a livello mondiale il dibattito su come si possa e si debba uscire da questa crisi (ri)mettendo al centro un Green new deal. Dibattito guidato dalla consapevolezza che nei prossimi mesi e anni dovremo muovere una quantità di investimenti pubblici e privati come mai abbiamo fatto almeno dal dopoguerra a oggi. E di come questi investimenti determineranno il modo in cui ci troveremo a vivere da qui ai prossimi dieci e più anni e la possibilità di contrastare nuove crisi, forse anche peggiori di quelle che stiamo vivendo. Proprio per questo abbiamo bisogno oggi di mettere in campo una visione coraggiosa e innovativa del nostro futuro comune e fare di tutto per evitare che i Recovery plan che metteremo in campo, invece di accelerare la transizione verso un mondo più resiliente, ci facciano arretrare di anni o decenni, pensando che la soluzione migliore possa essere rintracciata tra le cose che abbiamo fatto prima della crisi, e non tra le nuove idee che dovrebbero permetterci di disegnare un futuro migliore e più sicuro per tutti.

Non penso sia una esagerazione dire che ci troviamo oggi a un bivio della storia, e che la nostra saggezza verrà giudicata da quelli che verranno dopo di noi sulla base delle scelte che faremo da qui ai prossimi mesi. Se avremo il coraggio di immaginare e investire su un futuro diverso per noi e i nostri figli, o se viceversa cederemo alla tentazione di cercare soluzioni più confortevoli guardando al passato.

Tra i settori che forse più di altri dovranno essere ripensati c’è certamente quello dei trasporti, su cui la crisi che stiamo vivendo ha avuto gli impatti maggiori, tanto che oltre metà della riduzione delle emissioni che abbiamo stimato nelle ultime settimane deriva proprio dal calo del consumo di prodotti petroliferi nel settore dei trasporti. Si tratta di un settore che, più di altri, ha a che fare proprio con quei modelli di socialità, di rapporti lavorativi, di interazione tra il sé e il resto – l’ambiente – che non sono riducibili a semplici opzioni tecnologiche.

Questa crisi ci ha mostrato come sia possibile, anche se in condizioni straordinarie e di emergenza, mettere in campo nuove modalità di lavoro, nuove forme di interazione sociale, nuove soluzioni agli spostamenti che fino a ieri consideravamo appannaggio di una stretta minoranza. Sono certo che alcuni insegnamenti rimarranno e continueranno ad avere un impatto anche quando saremo tornati alla “normalità”. Ma non sarà sufficiente. Dovremo mettere in campo politiche e misure coraggiose per fare tesoro di questa esperienza e lasciarci definitivamente alle spalle un modello economico e sociale basato sulla crescita esponenziale degli spostamenti come parametro di progresso, sull’utilizzo del trasporto su mezzi privati e inefficienti, sulla incapacità di sfruttare tecnologie in grado di azzerare le distanze, dando vita al tempo stesso a un modo di vivere le nostre relazioni migliore di quanto abbiamo fatto fino a oggi. Qualcuno potrebbe obiettare che quello che è stato possibile fare in queste settimane è unicamente frutto di una situazione eccezionale e senza precedenti. Sono perfettamente d’accordo. Eccezionale e senza precedenti, come la crisi ecologica e climatica che è la principale minaccia che ci troviamo ad affrontare in questa nostra epoca.

di Andrea Barbabella, responsabile Clima ed energia della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, per greenreport.it